Джанни Родари - Favole al telefono

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Dopo Filastrocche in cielo e in terra (1960), le Favole al telefono (1962) hanno costituito il secondo importante appuntamento di Rodari col grande pubblico infantile, sono entrate a pieno titolo nella scuola e nelle case dei bambini di tutto il mondo e hanno mostrato che la straordinaria capacità di invenzione dello scrittore poteva coniugarsi con l'osservazione della realtà contemporanea senza scadere mai nel moralismo e in una soffocante vocazione didattica; alcune «favole al telefono», d'altra parte, erano già state «collaudate» con successo sul «Corriere dei piccolissimi», inserto del «Corriere dei piccoli», e avevano portato alla ribalta personaggi destinati ad occupare ruoli da protagonisti nel ricchissimo universo rodariano, dalla minuscola Alice Cascherina a Giovannino Perdigiorno, imprevedibile viaggiatore in straordinari paesi. Anche l'invenzione della «cornice» è decisamente stimolante: il ragionier Bianchi, rappresentante di commercio degli anni Sessanta, che al telefono ogni sera raccontava alla sua bambina favole dagli esiti imprevedibili (magari oggi userebbe con altrettanta disinvoltura il «cellulare» o il fax), appartiene alla nostra vita quotidiana, può essere uno di noi ed è anche per questo che Favole al telefono sono un testo ormai classico, non conoscono il passare del tempo, conservano immutate le doti originali di eleganza, di ironia, di freschezza: i personaggi anticonformisti e gli eventi imprevisti, le dolcissime strade di cioccolato, i saporitissimi palazzi di gelato, i numeri paradossali e le domande assurde costituiscono i punti di forza di quella inesauribile capacità di invenzione che Gianni Rodari sapeva coniugare con la puntuale, seria e civile osservazione della realtà contemporanea.

LO SCAFFALE D'ORO

© 1993, Edizioni EL, S. Dorligo della Valle (Trieste) © 1993, Altan/Quipos S.r.l. per le illustrazioni © 1995, Edizioni EL, per la presente edizione

ISBN 88-7926-201-7

Gianni Rodari

Favole al telefono

Illustrazioni di Francesco Altan

Favole al telefono - изображение 1

Einaudi Ragazzi

A Paoletta Rodari e ai suoi amici di tutti i colori

Favole al telefono

C'era una volta...

... il ragionier Bianchi, di Varese. Era un rappresentante di commercio e sei giorni su sette girava l'Italia intera, a Est, a Ovest, a Sud, a Nord e in mezzo, vendendo medicinali. La domenica tornava a casa sua, e il lunedì mattina ripartiva. Ma prima che partisse la sua bambina gli diceva: - Mi raccomando, papà: tutte le sere una storia.

Perché quella bambina non poteva dormire senza una storia, e la mamma, quelle che sapeva, gliele aveva già raccontate tutte anche tre volte. Così ogni sera, dovunque si trovasse, alle nove in punto il ragionier Bianchi chiamava al telefono Varese e raccontava una storia alla sua bambina. Questo libro contiene appunto le storie del ragionier Bianchi. Vedrete che sono tutte un po' corte: per forza, il ragioniere pagava il telefono di tasca sua, non poteva mica fare telefonate troppo lunghe. Solo qualche volta, se aveva concluso buoni affari, si permetteva qualche «unità» in più. Mi hanno detto che quando il signor Bianchi chiamava Varese le signorine del centralino sospendevano tutte le telefonate per ascoltare le sue storie. Sfido: alcune sono proprio belline. Il cacciatore sfortunato

- Prendi il fucile, Giuseppe, prendi il fucile e vai a caccia, - disse una mattina al suo figliolo quella donna. - Domani tua sorella si sposa e vuol mangiare polenta e lepre.

Giuseppe prese il fucile e andò a caccia. Vide subito una lepre che balzava da una siepe e correva in un campo. Puntò il fucile, prese la mira e premette il grilletto. Ma il fucile disse: Pum! , proprio con voce umana, e invece di sparar fuori la pallottola la fece cadere per terra.

Giuseppe la raccattò e la guardava meravigliato. Poi osservò attentamente il fucile, e pareva proprio lo stesso di sempre, ma intanto invece di sparare aveva detto: Pum! , con una vocetta allegra e fresca. Giuseppe scrutò anche dentro la canna, ma com'era possibile, andiamo, che ci fosse nascosto qualcuno? Difatti dentro la canna non c'era niente e nessuno.

- E la mamma che vuole la lepre. E mia sorella che vuol mangiarla con la polenta...

In quel momento la lepre di prima ripassò davanti a Giuseppe, ma stavolta aveva un velo bianco in testa, e dei fiori d'arancio sul velo, e teneva gli occhi bassi, e camminava a passettini passettini.

- Toh, - disse Giuseppe, - anche la lepre va a sposarsi. Pazienza, tirerò a un fagiano.

Un po' più in là nel bosco, difatti, vide un fagiano che passeggiava sul sentiero, per nulla spaventato, come il primo giorno della caccia, quando i fagiani non sanno ancora che cosa sia un fucile.

Giuseppe prese la mira, tirò il grilletto, e il fucile fece: Pam! , disse: Pam! Pam! , due volte, come avrebbe fatto un bambino col suo fucile di legno. La cartuccia cadde in terra e spaventò certe formiche rosse, che corsero a rifugiarsi sotto un pino.

- Ma benone, - disse Giuseppe che cominciava ad arrabbiarsi, - la mamma sarà contenta davvero se torno col carniere vuoto.

Il fagiano, che a sentire quel pam, pam , si era tuffato nel folto, ricomparve sul sentiero, e stavolta lo seguivano i suoi piccoli, in fila, con una gran voglia di ridere addosso, e dietro a tutti camminava la madre, fiera e contenta come se le avessero dato il primo premio.

- Ah, tu sei contenta, tu, - borbottò Giuseppe. - Tu ti sei già sposata da un pezzo. E adesso a che cosa tiro? Ricaricò il fucile con gran cura e si guardò intorno. C'era soltanto un merlo su un ramo, e fischiava come per dire: «Sparami, sparami».

E Giuseppe sparò. Ma il fucile disse: Bang! , come i bambini quando leggono i fumetti. E aggiunse un rumorino che pareva una risatina. Il merlo fischiò più allegramente di prima, come per dire: «Hai sparato, hai sentito, hai la barba lunga un dito».

- Me l'aspettavo, - disse Giuseppe. - Ma si vede che oggi c'è lo sciopero dei fucili.

- Hai fatto buona caccia, Giuseppe? - gli domandò la mamma, al ritorno.

- Sì, mamma. Ho preso tre arrabbiature belle grasse. Chissà come saranno buone, con la polenta.

Il palazzo di gelato

Una volta, a Bologna, fecero un palazzo di gelato proprio sulla Piazza Maggiore, e i bambini venivano di lontano a dargli una leccatina.

Il tetto era di panna montata, il fumo dei comignoli di zucchero filato, i comignoli di frutta candita. Tutto il resto era di gelato: le porte di gelato, i muri di gelato, i mobili di gelato.

Un bambino piccolissimo si era attaccato a un tavolo e gli leccò le zampe una per una, fin che il tavolo gli crollò addosso con tutti i piatti, e i piatti erano di gelato al cioccolato, il più buono.

Una guardia del Comune, a un certo punto, si accorse che una finestra si scioglieva. I vetri erano di gelato alla fragola, e si squagliavano in rivoletti rosa.

- Presto, - gridò la guardia, - più presto ancora!

E giù tutti a leccare più presto, per non lasciar andare perduta una sola goccia di quel capolavoro.

- Una poltrona! - implorava una vecchiettina, che non riusciva a farsi largo tra la folla, - una poltrona per una povera vecchia. Chi me la porta? Coi braccioli, se è possibile.

Un generoso pompiere corse a prenderle una poltrona di gelato alla crema e pistacchio, e la povera vecchietta, tutta beata, cominciò a leccarla proprio dai braccioli.

Fu un gran giorno, quello, e per ordine dei dottori nessuno ebbe il mal di pancia.

Ancora adesso, quando i bambini chiedono un altro gelato, i genitori sospirano: - Eh già, per te ce ne vorrebbe un palazzo intero, come quello di Bologna.

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