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Джанни Родари: Favole al telefono

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Non parliamo poi dei presidenti: c'erano più presidenti che mendicanti. Tutti quei nasi di lusso erano abbastanza a portata di mano. I loro proprietari infatti scambiavano la tastatina di Giovannino Perdigiorno per un omaggio alla loro autorità e qualcuno si spinse fino a suggerire ai suoi dipendenti di fare altrettanto, dicendo:

- D'ora in avanti, invece di farmi l'inchino, potreste tastarmi il naso. È un'usanza più moderna e più raffinata.

I dipendenti, in principio, non osavano allungare le mani sui nasi dei loro superiori. Questi però li incoraggiavano con sorrisi larghi così, e allora giù toccatine, strizzatine, tastatelle: i nasi altolocati diventavano lucidi e rossi per la soddisfazione.

Giovannino non aveva dimenticato il suo scopo principale, che era di toccare il naso del re, e aspettava soltanto l'occasione buona. Questa si presentò durante un corteo. Giovannino notò che ogni tanto qualcuno dei presenti usciva dalla folla, balzava sui gradini della carrozza reale e consegnava al re una busta, certo una supplica, che il re passava sorridendo al suo primo ministro.

Quando la carrozza fu abbastanza vicina, Giovannino saltò sul predellino e mentre il re gli rivolgeva un sorriso invitante, lui disse:

- Compermesso, - allungò il braccio e strofinò la punta del suo dito indice sulla punta del naso di sua Maestà.

Il re si toccò il naso stupefatto, aprì la bocca per dire qualcosa ma Giovannino, con un salto indietro, si era già messo al sicuro tra la folla. Scoppiò un grande applauso e subito altri cittadini si affrettarono con entusiasmo a imitare l'esempio di Giovannino: saltavano sulla carrozza, acchiappavano il re per il naso e gli davano una buona scrollatina.

- E un nuovo segno di omaggio, maestà, - mormorava sorridendo il primo ministro nelle orecchie del re.

Ma il re non aveva più tanta voglia di sorridere: il naso gli faceva male e cominciava a colare e lui non aveva nemmeno il tempo di asciugarsi la candela perché i suoi fedeli sudditi non gli davano tregua e continuavano allegramente a prenderlo per il naso.

Giovannino tornò al paese soddisfatto.

La famosa pioggia di Piombino

Una volta a Piombino piovvero confetti. Venivano giù grossi come chicchi di grandine, ma erano di tutti i colori: verdi, rosa, viola, blu. Un bambino si mise in bocca un chicco verde, tanto per provare, e trovò che sapeva di menta. Un altro assaggiò un chicco rosa e sapeva di fragola.

- Sono confetti! Sono confetti!

E via tutti per le strade a riempirsene le tasche. Ma non facevano in tempo a raccoglierli, perché venivano giù fitti fitti.

La pioggia durò poco ma lasciò le strade coperte da un tappeto di confetti profumati che scricchiolavano sotto i piedi. Gli scolari, tornando da scuola, ne trovarono ancora da riempirsi le cartelle. Le vecchiette ne avevano messi insieme dei bei fagottelli coi loro fazzoletti da testa.

Fu una grande giornata.

Anche adesso molta gente aspetta che dal cielo piovano confetti, ma quella nuvola non è passata più né da Piombino né da Torino, e forse non passerà mai nemmeno da Cremona.

La giostra di Cesenatico

Una volta a Cesenatico, in riva al mare, capitò una giostra. Aveva in tutto sei cavalli di legno e sei jeep rosse, un po' stinte, per i bambini di gusti più moderni. L'ometto che la spingeva a forza di braccia era piccolo, magro, scuro, e aveva la faccia di uno che mangia un giorno sì e due no. Insomma, non era certo una gran giostra, ma ai bambini doveva parere fatta di cioccolato, perché le stavano sempre intorno in ammirazione e facevano capricci per salirvi.

«Cos'avrà questa giostra, il miele?» si dicevano le mamme. E proponevano ai bambini: - Andiamo a vedere i delfini nel canale, andiamo a sederci in quel caffè coi divanetti a dondolo.

Niente: i bambini volevano la giostra.

Una sera un vecchio signore, dopo aver messo il nipote in una jeep, salì lui pure sulla giostra e montò in sella a un cavalluccio di legno. Ci stava scomodo, perché aveva le gambe lunghe e i piedi gli toccavano terra, rideva. Ma appena l'ometto cominciò a far girare la giostra, che meraviglia: il vecchio signore si trovò in un attimo all'altezza del grattacielo di Cesenatico, e il suo cavalluccio galoppava nell'aria, puntando dritto il muso verso le nuvole. Guardò giù e vide tutta la Romagna, e poi tutta l'Italia, e poi la terra intera che si allontanava sotto gli zoccoli del cavalluccio e ben presto fu anche lei

una piccola giostra azzurra che girava, girava, mostrando uno dopo l'altro i continenti e gli oceani, disegnati come su una carta geografica.

«Dove andremo?» si domandò il vecchio signore. In quel momento gli passò davanti il nipotino, al volante della vecchia jeep rossa un po' stinta, trasformata in un veicolo spaziale. E dietro a lui, in fila, tutti gli altri bambini, tranquilli e sicuri sulla loro orbita come tanti satelliti artificiali.

L'omino della giostra chissà dov'era, ormai; però si sentiva ancora il disco che suonava un brutto cha-chacha : ogni giro di giostra durava un disco intero.

«Allora il trucco c'era, - si disse il vecchio signore. - Quell'ometto dev'essere uno stregone».

E pensò anche: «Se nel tempo di un disco faremo un giro intero della terra, batteremo il record di Gagarin». Ora la carovana spaziale sorvolava l'Oceano Pacifico con tutte le sue isolette, l'Australia coi canguri che spiccavano salti, il Polo Sud, dove milioni di pinguini stavano col naso per aria. Ma non ci fu il tempo di contarli: al loro posto già gli indiani d'America facevano segnali col fumo, ed ecco i grattacieli di Nuova York, ed ecco un solo grattacielo, ed era quello di Cesenatico. Il disco era finito. Il vecchio signore si guardò intorno, stupito: era di nuovo sulla vecchia, pacifica giostra in riva all'Adriatico, l'ometto scuro e magro la stava frenando dolcemente, senza scosse.

Il vecchio signore scese traballando.

- Senta, lei, - disse all'ometto. Ma quello non aveva tempo di dargli retta, altri bambini avevano occupato i cavalli e le jeep, la giostra ripartiva per un altro giro del mondo.

- Dica, - ripeté il vecchio signore, un po' stizzito. L'ometto non lo guardò nemmeno. Spingeva la giostra, si vedevano passare in tondo le facce allegre dei bambini che cercavano quelle dei loro genitori, ferme in cerchio, tutte con un sorriso d'incoraggiamento sulle labbra.

Uno stregone quell'ometto da due soldi? Una giostra magica quella buffa macchina traballante al suono di un brutto cha-cha-cha ?

- Via, - concluse il vecchio, - è meglio che non ne parli a nessuno. Forse riderebbero alle mie spalle e mi direbbero: «Non sa che alla sua età è pericoloso andare in giostra, perché vengono le vertigini?»

Sulla spiaggia di Ostia

A pochi chilometri da Roma c'è la spiaggia di Ostia, e i romani d'estate ci vanno a migliaia di migliaia, sulla spiaggia non resta nemmeno lo spazio per scavare una buca con la paletta, e chi arriva ultimo non sa dove piantare l'ombrellone.

Una volta capitò sulla spiaggia di Ostia un bizzarro signore, davvero spiritoso. Arrivò per ultimo, con l'ombrellone sotto il braccio, e non trovò il posto per piantarlo. Allora lo aprì, diede un'aggiustatina al manico e subito l'ombrellone si sollevò per aria, scavalcò migliaia di migliaia di ombrelloni e andò a mettersi proprio in riva al mare, ma due o tre metri sopra la punta degli altri ombrelloni. Lo spiritoso signore aprì la sua sedia a sdraio, e anche quella galleggiò per aria; si sdraiò all'ombra dell'ombrellone, levò di tasca un libro e cominciò a leggere, respirando l'aria del mare, frizzante di sale e di iodio.

La gente, sulle prime, non se ne accorse nemmeno. Stavano tutti sotto i loro ombrelloni, cercavano di vedere un pezzetto di mare tra le teste di quelli che stavano davanti, o facevano le parole crociate, e nessuno guardava per aria. Ma ad un tratto una signora sentì qualcosa cadere sul suo ombrellone, pensò che fosse una palla, uscì per sgridare i bambini, si guardò intorno, guardò per aria e vide lo spiritoso signore sospeso sulla sua testa. Il signore guardava in giù e disse a quella signora:

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