Джанни Родари - Favole al telefono

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- Ah, non lo so nemmeno io. Io dovevo soltanto aspettare in quella vetrina fin che il nostro agente segreto si fosse fatto vivo.

- Interessante, - disse il professore, - avete anche degli agenti segreti sulla Terra. E se andassimo a raccontarlo alla polizia?

- Ma sì, andate in giro a parlare di un pulcino cosmico, e vi farete ridere dietro.

- Giusto anche questo. Allora, giacché siamo tra noi, ci dica qualcosa di più su quegli agenti segreti.

- Essi sono incaricati di individuare i terrestri che sbarcheranno su Marte Ottavo tra venticinque anni.

- È piuttosto buffo. Noi, per adesso, non sappiamo nemmeno dove si trovi Marte Ottavo.

- Lei dimentica, caro professore, che lassù siamo avanti col tempo di venticinque anni. Per esempio sappiamo già che il capitano dell'astronave terrestre che giungerà su Marte Ottavo si chiamerà Gino.

- Toh, - disse il figlio maggiore del professor Tibolla, - proprio come me.

- Pura coincidenza, - sentenziò il cosmopulcino. - Si chiamerà Gino e avrà trentatre anni. Dunque, in questo momento, sulla Terra, ha esattamente otto anni.

- Guarda guarda, - disse Gino, - proprio la mia età. - Non mi interrompere continuamente, - esclamò con severità il comandante dell'uovo spaziale. - Come stavo spiegandovi, noi dobbiamo trovare questo Gino e gli altri membri dell'equipaggio futuro, per sorvegliarli, senza che se ne accorgano, e per educarli come si deve.

- Cosa, cosa? - fece il professore. - Forse noi non li educhiamo bene i nostri bambini?

- Mica tanto. Primo, non li abituate all'idea che dovranno viaggiare tra le stelle; secondo, non insegnate loro che sono cittadini dell'universo; terzo, non insegnate loro che la parola nemico, fuori della Terra, non esiste; quarto...

- Scusi comandante, - lo interruppe la signora Luisa, - come si chiama di cognome quel vostro Gino?

- Prego, vostro, non nostro. Si chiama Tibolla. Gino Tibolla.

- Ma sono io! - saltò su il figlio del professore. - Urrà!

- Urrà che cosa? - esclamò la signora Luisa. - Non crederai che tuo padre e io ti permetteremo...

Ma il pulcino cosmico era già volato in braccio a Gino.

- Urrà! Missione compiuta! Tra venticinque anni potrò tornare a casa anch'io.

- E l'uovo? - domandò con un sospiro la sorellina di Gino.

- Ma lo mangiamo subito, naturalmente. E così fu fatto.

Processo al nipote

GIUDICE Imputato, alzatevi! Come vi chiamate? IMPUTATO Rossi Alberto, nipote di Rossi Pio. GIUDICE Conosco il signor Rossi Pio: ottima persona

sotto tutti i punti di vista. Di che cosa siete accusato? PUBBLICO MINISTERO Per l'appunto, signor

Giudice, l'imputato è accusato di avere gravemente offeso

suo zio. Si figuri che in un tema in classe ha scritto: «Lo

zio è il padre dei vizi»!

LO ZIO Capisce? E non sono nemmeno sposato!

PUBBLICO MINISTERO I testimoni sono tutti

concordi: il signor zio è un modello di virtù. Non beve,

non fuma, non esce la sera, non gioca al totocalcio, non

consuma i tacchi delle scarpe, non si asciuga i piedi

nell'asciugamano delle mani, non prende il sale con le

dita, non si mette le dita nel naso, non ficca il naso negli

affari altrui.

GIUDICE È vero tutto questo? Imputato, rispondete. IMPUTATO È verissimo, signor Giudice.

GIUDICE E voi avete osato calunniare vostro zio?

Avete osato scrivere nel vostro tema che questo cittadino

esemplare è, nientemeno, il padre dell'invidia,

dell'avarizia, della gola, dell'ira, e chissà di quali altri

terribili e viziosissimi teddy-boy?

IMPUTATO Ma signor Giudice, è stata tutta colpa di

un apostrofo.

GIUDICE Quale apostrofo? Io qui non vedo apostrofi. IMPUTATO Appunto. Si tratta di un apostrofo

mancante.

GIUDICE Capisco, si è dato alla macchia. Diventerà

un bandito da strada.

AVVOCATO DIFENSORE Signor Giudice,

l'imputato Rossi Alberto aveva intenzione di scrivere:

«l'ozio è il padre dei vizi». Ma l'apostrofo, forse

consigliato dai cattivi compagni, è fuggito dalla penna. LO ZIO Sì, signor Giudice, sono convinto anch'io che

mio nipote, in fondo, è un bravo ragazzo.

GIUDICE Un bravo ragazzo? Dica piuttosto che si

merita la galera.

LO ZIO Capisco, signor Giudice. Ma mi

dispiacerebbe molto vederlo finire dentro. Vede, avevo

fatto dei progetti sul suo conto. Io sono titolare di un

avviato negozio di elettrodomestici. Vendo a rate, faccio

ottimi sconti alla clientela.

GIUDICE Lasciamo perdere gli elettrodomestici. LO ZIO Ecco, io avevo intenzione di assumere mio

nipote in qualità di commesso, appena finite le scuole. Io

non ho figli miei: se non aiuto Albertino, chi dovrei

aiutare?

GIUDICE (commosso) Lei è proprio una persona di

buon cuore. Faremo come dice lei. Imputato, avete

sentito?

IMPUTATO Sì, signor Giudice.

GIUDICE Cercherete di rintracciare l'apostrofo

fuggitivo e di convincerlo a rientrare anche lui sulla retta

via?

IMPUTATO Lo prometto, signor Giudice.

GIUDICE Va bene: per questa volta siete perdonato.

(Zio e nipote si abbracciano. Anzi: s'abbracciano, con

l'apostrofo.)

A sbagliare le storie

- C'era una volta una bambina che si chiamava

Cappuccetto Giallo.

- No, Rosso!

- Ah, Sì, Cappuccetto Rosso. La sua mamma la chiamò

e le disse: Senti, Cappuccetto Verde...

- Ma no, Rosso!

- Ah, Sì, Rosso. Vai dalla zia Diomira a portarle questa

buccia di patata.

- No: vai dalla nonna a portarle questa focaccia.

- Va bene. La bambina andò nel bosco e incontrò una

giraffa.

- Che confusione! Incontrò un lupo, non una giraffa.

- E il lupo le domandò: «Quanto fa sei per otto?»

Niente affatto. Il lupo le chiese: «Dove vai?»

- Hai ragione. E Cappuccetto Nero rispose... - Era

Cappuccetto Rosso, rosso, rosso!

- Sì, e rispose: «Vado al mercato a comperare la salsa

di pomodoro».

- Neanche per sogno: «Vado dalla nonna che è malata,

ma non so più la strada».

- Giusto. E il cavallo disse... - Quale cavallo? Era un

lupo.

- Sicuro. E disse così: «Prendi il tram numero

settantacinque, scendi in piazza del Duomo, gira a destra,

troverai tre scalini e un soldo per terra, lascia stare i tre scalini, raccatta il soldo e comprati una gomma da

masticare».

- Nonno, tu non sai proprio raccontare le storie, le

sbagli tutte. Però la gomma da masticare me la comperi lo

stesso.

- Va bene: eccoti il soldo.

E il nonno tornò a leggere il suo giornale.

Promosso più due

- Aiuto, aiuto, - grida fuggendo un povero Dieci.

- Che c'è? Che ti succede?

- Ma non vedete? Sono inseguito da una Sottrazione. Se mi raggiunge sarà un disastro.

- Eh, via, addirittura un disastro...

Ecco, è fatta: la Sottrazione ha acchiappato il Dieci, gli balza addosso menando fendenti con la sua spada affilatissima. Il povero Dieci perde un dito, ne perde un altro. Per sua fortuna passa una macchina straniera lunga così, la Sottrazione si volta un momento a guardare se è il caso di accorciarla e il buon Dieci può svignarsela, scomparire in un portone. Ma intanto non è più un Dieci: è soltanto un Otto, e per giunta perde sangue dal naso.

- Poverino, che ti hanno fatto? Ti sei picchiato coi tuoi compagni, vero?

Misericordia, si salvi chi può: la vocina è dolce e compassionevole, ma la sua proprietaria è la Divisione in persona. Lo sventurato Otto bisbiglia «buonasera», con un filo di voce, e cerca di riguadagnare la strada, ma la Divisione è più svelta, e con un solo colpo di forbici, zac, ne fa due pezzi: Quattro e Quattro. Uno se lo mette in tasca, l'altro ne approfitta per scappare, torna in strada di corsa, salta su un tram.

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