Carlo Collodi - Le avventure di Pinocchio
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— Che cosa volevi da me?
— Non sai il grande avvenimento? Non sai la fortuna che mi è toccata?
— Quale?
— Domani finisco di essere un burattino e divento un ragazzo come te, e come tutti gli altri.
— Buon pro ti faccia.
— Domani, dunque, ti aspetto a colazione a casa mia.
— Ma se ti dico che parto questa sera.
— A che ora?
— Fra poco.
— E dove vai?
— Vado ad abitare in un paese… che è il più bel paese di questo mondo: una vera cuccagna!…
— E come si chiama?
— Si chiama il «Paese dei balocchi». Perché non vieni anche tu?
— Io? no davvero!
— Hai torto, Pinocchio! Credilo a me che, se non vieni, te ne pentirai. Dove vuoi trovare un paese più sano per noialtri ragazzi? Lì non vi sono scuole: lì non vi sono maestri: lì non vi sono libri. In quel paese benedetto non si studia mai. Il giovedì non si fa scuola: e ogni settimana è composta di sei giovedì e di una domenica. Figurati che le vacanze dell'autunno cominciano col primo di gennaio e finiscono coll'ultimo di dicembre. Ecco un paese, come piace veramente a me! Ecco come dovrebbero essere tutti i paesi civili!…
— Ma come si passano le giornate nel «Paese dei balocchi»?
— Si passano baloccandosi e divertendosi dalla mattina alla sera. La sera poi si va a letto, e la mattina dopo si ricomincia daccapo. Che te ne pare?
— Uhm!… - fece Pinocchio; e tentennò leggermente il capo, come dire: — «È una vita che la farei volentieri anch'io!»
— Dunque, vuoi partire con me? Sì o no? Risolviti.
— No, no, no e poi no. Oramai ho promesso alla mia buona Fata di diventare un ragazzo per bene, e voglio mantenere la promessa. Anzi, siccome vedo che il sole va sotto, così ti lascio subito e scappo via. Dunque addio, e buon viaggio.
— Dove corri con tanta furia?
— A casa. La mia buona Fata vuole che ritorni prima di notte.
— Aspetta altri due minuti.
— Faccio troppo tardi.
— Due minuti soli.
— E se poi la Fata mi grida?
— Lasciala gridare. Quando avrà gridato ben bene, si cheterà — disse quella birba di Lucignolo.
— E come fai? Parti solo o in compagnia?
— Solo? Saremo più di cento ragazzi.
— E il viaggio lo fate a piedi?
— Fra poco passerà di qui il carro che mi deve prendere e condurre fin dentro ai confini di quel fortunatissimo paese.
— Che cosa pagherei che il carro passasse ora!…
— Perché?
— Per vedervi partire tutti insieme.
— Rimani qui un altro poco e ci vedrai.
— No, no: voglio ritornare a casa.
— Aspetta altri due minuti.
— Ho indugiato anche troppo. La Fata starà in pensiero per me.
— Povera Fata! Che ha paura forse che ti mangino i pipistrelli?
— Ma dunque — soggiunse Pinocchio — tu sei veramente sicuro che in quel paese non ci sono punte scuole?…
— Neanche l'ombra.
— E nemmeno i maestri?
— Nemmen uno.
— E non c'è mai l'obbligo di studiare?
— Mai, mai, mai!
— Che bel paese! — disse Pinocchio, sentendo venirsi l'acquolina in bocca. - Che bel paese! Io non ci sono stato mai, ma me lo figuro!…
— Perché non vieni anche tu?
- È inutile che tu mi tenti! Oramai ho promesso alla mia buona Fata di diventare un ragazzo di giudizio, e non voglio mancare alla parola.
— Dunque addio, e salutami tanto le scuole ginnasiali!… e anche quelle liceali, se le incontri per la strada.
— Addio, Lucignolo: fa' buon viaggio, divertiti e rammentati qualche volta degli amici. -
Ciò detto, il burattino fece due passi in atto di andarsene: ma poi, fermandosi e voltandosi all'amico, gli domandò:
— Ma sei proprio sicuro che in quel paese tutte le settimane sieno composte di sei giovedì e di una domenica?
— Sicurissimo.
— Ma lo sai di certo che le vacanze abbiano principio col primo di gennaio e finiscano coll'ultimo di dicembre?
— Di certissimo!
— Che bel paese! — ripeté Pinocchio, sputando dalla soverchia consolazione. Poi, fatto un animo risoluto, soggiunse in fretta e furia:
— Dunque, addio davvero: e buon viaggio.
— Addio.
— Fra quanto partirete?
— Fra poco!
— Sarei quasi quasi capace di aspettare.
— E la Fata?…
— Oramai ho fatto tardi!… e tornare a casa un'ora prima o un'ora dopo, è lo stesso.
— Povero Pinocchio! E se la Fata ti grida?
— Pazienza! La lascerò gridare. Quando avrà gridato ben bene, si cheterà. -
Intanto si era già fatta notte e notte buia: quando a un tratto videro muoversi in lontananza un lumicino… e sentirono un suono di bubboli e uno squillo di trombetta, così piccolino e soffocato, che pareva il sibilo di una zanzara!
— Eccolo! — gridò Lucignolo, rizzandosi in piedi.
— Chi è? - domandò sottovoce Pinocchio.
- È il carro che viene a prendermi. Dunque, vuoi venire, sì o no?
— Ma è proprio vero — domandò il burattino — che in quel paese i ragazzi non hanno mai l'obbligo di studiare?
— Mai, mai, mai!
— Che bel paese!… che bel paese!… che bel paese!… -
Capitolo XXXI
Dopo cinque mesi di cuccagna Pinocchio, con sua gran maraviglia, sente spuntarsi un bel pajo d'orecchie asinine, e diventa un ciuchino, con la coda e tutto.
Finalmente il carro arrivò: e arrivò senza fare il più piccolo rumore, perché le sue ruote erano fasciate di stoppa e di cenci.
Lo tiravano dodici pariglie di ciuchini, tutti della medesima grandezza, ma di diverso pelame.
Alcuni erano bigi, altri bianchi, altri brizzolati a uso pepe e sale, e altri rigati da grandi strisce gialle e turchine.
Ma la cosa più singolare era questa: che quelle dodici pariglie, ossia quei ventiquattro ciuchini, invece di esser ferrati come tutte le altre bestie da tiro o da soma, avevano in piedi degli stivaletti da uomo fatti di pelle bianca.
E il conduttore del carro?…
Figuratevi un omino più largo che lungo, tenero e untuoso come una palla di burro, con un visino di melarosa, una bocchina che rideva sempre e una voce sottile e carezzevole, come quella d'un gatto, che si raccomanda al buon cuore della padrona di casa.
Tutti i ragazzi, appena lo vedevano, ne restavano innamorati e facevano a gara nel montare sul suo carro, per esser condotti da lui in quella vera cuccagna conosciuta nella carta geografica col seducente nome di «Paese de' balocchi».
Difatti il carro era già tutto pieno di ragazzetti fra gli otto e i dodici anni, ammonticchiati gli uni sugli altri come tante acciughe nella salamoia. Stavano male, stavano pigiati, non potevano quasi respirare: ma nessuno diceva ohi! nessuno si lamentava. La consolazione di sapere che fra poche ore sarebbero giunti in un paese, dove non c'erano né libri, né scuole, né maestri, li rendeva così contenti e rassegnati, che non sentivano né i disagi, né gli strapazzi, né la fame, né la sete, né il sonno.
Appena che il carro si fu fermato, l'Omino si volse a Lucignolo, e con mille smorfie e mille manierine, gli domandò sorridendo:
— Dimmi, mio bel ragazzo, vuoi venire anche tu in quel fortunato paese?
— Sicuro che ci voglio venire.
— Ma ti avverto, carino mio, che nel carro non c'è più posto. Come vedi, è tutto pieno!…
— Pazienza! — replicò Lucignolo — se non c'è posto dentro, mi adatterò a star seduto sulle stanghe del carro. -
E spiccato un salto, montò a cavalcioni sulle stanghe.
— E tu, amor mio — disse l'Omino volgendosi tutto complimentoso a Pinocchio — che intendi fare? Vieni con noi, o rimani?…
— Io rimango — rispose Pinocchio. - Io voglio tornarmene a casa mia: voglio studiare e voglio farmi onore alla scuola, come fanno tutti i ragazzi perbene.
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