Jack Mars - Il ritorno dell’Agente Zero

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Il ritorno dell’Agente Zero: краткое содержание, описание и аннотация

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Uno dei migliori thriller di quest’anno. Books and Movie Reviews (re A ogni costo) In questo molto atteso esordio di un’epica serie spy thriller dello scrittore di bestseller #1 Jack Mars, i lettori sono trascinati in un’avventura al cardiopalma per tutta l’Europa, mentre il presunto agente della CIA Kent Steele, perseguitato dai terroristi e dalla sua stessa identità, deve risolvere il mistero di chi lo vuole morto, chi è, quale sia l’obiettivo dei terroristi, e chi è la bellissima donna che continua a vedere nella propria mente. Kent Steele, 38 anni, un brillante professore di storia europea alla Columbia University, vive una vita tranquilla in un sobborgo di New York con le sue due figlie adolescenti. Tutta cambia quando riceve una visita a tarda notte, viene rapito da tre terroristi, e si ritrova dall’altra parte dell’oceano, sotto interrogatorio, in uno scantinato di Parigi. Sono convinti che Kent sia la spia più letale che la CIA abbia mai conosciuto. Lui è convinto che abbiano preso l’uomo sbagliato. È così?Circondato da una cospirazione, avversari furbi quanto lui, e un assassino alle costole, questo perverso gioco del gatto col topo condurrà Kent su una strada pericolosa, che potrebbe riportarlo a Langley e a una shoccante rivelazione sulla sua stessa identità. IL RITORNO DELL’AGENTE ZERO è un thriller di spionaggio che non riuscirete a posare fino alla fine. Il thriller al suo meglio. Midwest Book Review (re A ogni costo) Inoltre è disponibile la serie thriller besteller di Jack Mars LUKE STONE (7 libri), che inizia con A ogni costo (Libro #1), un download gratuito con più di 800 recensioni a cinque stelle!

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Non voleva nemmeno pensare a come fosse il suo volto in quel momento.

Esci di qui, gli gridò il suo cervello. Ne possono arrivare altri.

“Okay,” disse ad alta voce, come se stesse concordando con qualcun altro nella stanza. Cercò di rallentare i suoi ansimi meglio che poté e scrutò l’ambiente dove si trovava. Il suo sguardo offuscato si concentrò su certi dettagli, come la Beretta. Un rigonfiamento rettangolare nella tasca del suo interrogatore. Uno strano segno sul collo del gigante.

Si inginocchiò di fianco al grosso uomo e fissò la cicatrice. Era vicina alla mascella, parzialmente oscurata dalla barba, e non più grande di una monetina. Sembrava una specie di marchio, inciso a fuoco nella pelle, e con l’aspetto di un glifo, come una lettera di un altro alfabeto. Non lo riconosceva. Reid lo studiò per diversi secondi, memorizzandolo.

Cercò rapidamente nella tasca dell’interrogatore morto e trovò un antico telefono cellulare. Probabilmente un telefono usa e getta , gli comunicò il suo cervello. In tasca all'uomo alto c’era un pezzo di carta bianca, con un angolo macchiato di sangue. In una scrittura scarabocchiata e quasi illeggibile c’era una lunga serie di numeri che iniziava per 963, il prefisso internazionale per chiamare la Siria.

Su nessuno degli uomini c’erano segni identificativi, ma l’ultimo con la pistola aveva una grossa mazzetta di banconote in euro, forse qualche migliaio. Reid si infilò anche quella in tasca, e infine prese la Beretta. Il peso dell'arma gli sembrava stranamente naturale tra le mani. Calibro nove millimetri. Cartuccia di quindici colpi. Cilindro da centoventicinque millimetri .

Le sue mani estrassero abilmente il caricatore in un gesto fluido, come se fossero controllate da qualcun altro. Tredici colpi. Lo rinfilò e l’armò.

Poi uscì di lì.

Fuori dalle grosse porte di metallo c’era uno squallido corridoio che finiva in una scalinata, che a sua vota portava verso l’alto. In cima si intravedeva la luce del giorno. Reid fece cautamente le scale, con la pistola alzata, ma non udì niente. L’aria diventava sempre più fresca man mano che saliva.

Si trovò in una piccola cucina sporca, con le pareti scrostate e pile di piatti coperti di rimasugli dentro il lavandino. Le finestre erano traslucide, imbrattate di grasso. Il radiatore in un angolo era freddo al tocco.

Reid controllò il resto dalla casetta; non c’era nessun altro a parte i quattro uomini morti nello scantinato. L’unico bagno era in uno stato persino peggiore della cucina, ma vi trovò un kit di pronto soccorso dall’aria antica. Non osò guardarsi allo specchio mentre si lavava quanto più sangue poteva dal volto e dal collo. Tutto, dalla testa ai piedi, gli faceva male, era indolenzito o bruciava. Il piccolo tubetto di antisettico era scaduto tre anni prima, ma lo usò ugualmente, sussultando mentre premeva le bende sui tagli aperti.

Poi si sedette sul water e si strinse la testa tra le mani, prendendosi un momento per recuperare la calma. Potresti andartene , si disse. Hai dei soldi. Vai all’aeroporto. No, non hai un passaporto. Vai all’ambasciata. O trova un consolato. Ma…

Ma aveva appena ucciso quattro uomini, e il suo sangue era sparso per tutto lo scantinato. E c'era anche un altro problema, molto più grave.

“Non so chi sono,” mormorò ad alta voce.

Quei lampi, quelle visioni che gli apparivano nella mente, erano tutti dalla sua prospettiva. Il suo punto di vista. Ma non aveva, non avrebbe mai fatto niente del genere. Soppressione della memoria, aveva detto l’interrogatore. Era mai possibile? Pensò di nuovo alle sue figlie. Erano al sicuro? Avevano paura? Erano… sue?

Quell’idea lo scosse nel profondo. E se, in qualche modo, quello che aveva creduto fosse reale non lo fosse stato affatto?

No , si disse con fermezza. Erano le sue figlie. Era stato presente alla loro nascita. Le aveva cresciute. Nessuna di quelle visioni bizzarre e intrusive lo contraddiceva. E doveva trovare un modo per contattarle, per accertarsi che stessero bene. Erano la sua priorità principale. Non poteva usare il cellulare usa e getta per contattare la sua famiglia, non sapeva se fosse tracciato o chi potesse essere in ascolto.

Improvvisamente ricordò il pezzo di carta con sopra il numero di telefono. Si alzò e lo tirò fuori dalla tasca. Fissò la carta macchiata di sangue. Non sapeva di cosa si trattasse o perché credessero che fosse una persona diversa da quella che diceva di essere, ma nelle profondità della sua coscienza c’era una certa urgenza, qualcosa che diceva che suo malgrado era stato coinvolto in un affare molto, molto più grande di lui.

Con mani tremanti, fece il numero sul cellulare.

Una burbera voce maschile rispose al secondo squillo. “Avete fatto?” chiese in arabo.

“Sì,” rispose Reid. Cercò di mascherare la voce il meglio possibile e di fingere l’accento giusto.

“Hai le informazioni?”

“Mh.”

La voce rimase in silenzio per un lungo momento. Il cuore di Reid gli tamburellava nel petto. Aveva capito che non era l’interrogatore?

“Rue de Stalingrad 187,” disse alla fine l’uomo. “Alle otto di sera.” E riappese.

Reid chiuse il cellulare e fece un profondo respiro. Rue de Stalingrad? pensò. In Francia?

Non sapeva ancora cosa fare. Gli sembrava che la sua mente avesse buttato giù un muro e che avesse scoperto un’altra stanza dall’altra parte. Non poteva tornare a casa senza sapere che cosa gli stava succedendo. E anche se lo avesse fatto, quanto ci sarebbe voluto perché ritrovassero lui e le ragazze, come la prima volta? Tutto quello che aveva era un indizio. Doveva seguirlo.

Uscì dalla piccola casa e si ritrovò in un vicolo stretto, che si apriva su una strada chiamata Rue Marceau. Capì subito dove era, un sobborgo di Parigi, a poca distanza dalla Senna. Gli venne quasi da ridere. Aveva creduto di essere in mezzo alle strade distrutte dalla guerra di una città del Medio Oriente. Invece era in un viale pieno di negozi e casette a schiera, dove normali passanti si godevano il pomeriggio, infagottati contro la gelida brezza di febbraio.

Si infilò la pistola nella vita dei jeans e uscì in strada, mescolandosi alla folla e cercando di non attirare l’attenzione sulla maglia sporca di sangue, le bende o gli ovvi lividi. Si strinse le braccia attorno al corpo. Avrebbe avuto bisogno di nuovi abiti, una giacca, e qualcosa di più caldo di una camicia.

Doveva accertarsi che le sue ragazze fossero al sicuro.

Poi avrebbe trovato delle risposte.

CAPITOLO QUATTRO

Camminare per le strade di Parigi era un sogno, solo che c’era finito in una maniera che nessuno si sarebbe auspicato. Reid raggiunse l’incrocio tra Rue de Berri e Avenue des Champs-Élysées, una zona sempre frequentata di turisti nonostante il tempo freddo. L’Arc de Triomphe si profilava in lontananza a nord-ovest, il monumento centrale di Place Charles de Gaulle, ma la sua grandezza era invisibile agli occhi di Reid. Una nuova visione gli era apparsa nella mente.

Sono già stato qui. Sono stato in questo punto a guardare i cartelli stradali. Indossavo jeans e una giacca nera da motociclista, i colori del mondo appiattiti dagli occhiali scuri…

Voltò verso destra. Non era certo di che cosa avrebbe trovato, ma aveva lo strano sospetto che l’avrebbe capito quando lo avesse visto. Era una sensazione bizzarra, non sapere dove stava andando fino a quando non fosse arrivato a destinazione.

Si sentiva come se ogni nuovo panorama portasse con sé un vago ricordo, ognuno sconnesso dall’altro, ma in un certo modo congruenti. Sapeva che il bar all’angolo vendeva i migliori pasticcini che avesse mai gustato. Il profumo dolce della pasticceria dall'altra parte della strada gli faceva venire l’acquolina in bocca e voglia di ventagli di pasta sfoglia. Ma non li aveva mai mangiati. Non era così?

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