"Andiamo, bastardi! Inseguite me!"
Ma l'elicottero non lo inseguì. Invece, virò per allinearsi con la poppa della Goya e si posò sul ponte. "No!" Corky inorridì al pensiero di aver lasciato i due amici alla mercé degli assassini.
A quel punto era compito suo trasmettere un messaggio di soccorso. A tastoni, trovò la radiotrasmittente. Pigiò l'interruttore e non successe niente. Niente luci. Niente rumore di fondo. Girò il pomello del volume al massimo. Niente. "Dai!" Mollò il timone e si inginocchiò per vedere meglio. Sentì un dolore lancinante alla gamba. Si concentrò sulla radio. Non poteva crederci: il cruscotto era stato mitragliato e il quadrante della trasmittente era fracassato. Alcuni fili penzolavano sconnessi.
"Fra tutte le sfortune…"
Con le gambe tremanti, Corky si raddrizzò. Peggio di così non poteva andare. Uno sguardo alla Goya confermò i suoi timori: due soldati armati saltarono dall'elicottero sul ponte della nave; poi il velivolo decollò di nuovo, puntando verso di lui alla massima velocità.
Corky si sentì crollare. "Dividi il nemico e vincerai." Evidentemente, non era stato l'unico ad avere avuto la brillante idea, quella notte.
Delta-Tre stava facendosi strada sul ponte della nave. Mentre si avvicinava alla rampa che portava sottocoperta, udì le urla di una donna provenire da un punto indefinito sotto di lui. Si voltò e fece cenno a Delta-Due che sarebbe sceso a indagare. Il compagno annuì. Sarebbe rimasto sul ponte superiore, per coprirlo. I due uomini potevano tenersi in contatto via Cryp-Talk: l'ingegnoso sistema di disturbo elettronico del Kiowa lasciava infatti aperta un'oscura frequenza per le loro comunicazioni.
Imbracciando la mitraglietta, Delta-Tre si avvicinò silenziosamente alla rampa. Con la cautela del killer bene addestrato cominciò a discendere molto adagio, l'arma pronta al tiro.
L'inclinazione della rampa limitava la visibilità. Delta-Tre dovette accucciarsi per vedere meglio. Continuò a scendere; adesso poteva udire le grida più chiaramente. A metà strada, era in grado di scorgere il groviglio di passerelle contorte, attaccate al ventre della Goya. Le grida divennero più sonore.
Poi la vide. Al centro della passatoia, Rachel Sexton si sporgeva dal parapetto chiamando disperatamente Michael Tolland.
"Tolland è caduto in mare? Forse per via dell'esplosione?"
In quel caso tutto sarebbe stato ancora più facile del previsto. Un altro mezzo metro e spararle sarebbe stato facile come tirare ai pesci in un barile. Per un attimo, avverti un vago timore per il fatto che la donna era vicina a un armadietto dell'equipaggiamento aperto. Forse era armata. Ma un arpione o un fucile da squali, la cosiddetta "lupara", non erano comunque all'altezza della sua mitraglietta. Sicuro d'avere la situazione in pugno, Delta-Tre spianò la sua arma e scese un altro gradino. Rachel Sexton era quasi completamente in vista. Portò il calcio della mitraglietta alla spalla.
"Ancora un passo."
Sotto di lui, qualcosa si agitò. Delta-Tre fu più confuso che spaventato nel vedere Michael Tolland, sotto la scaletta, che lanciava un'asta di alluminio verso i suoi piedi. Benché fosse stato ingannato, Delta-Tre quasi rise di fronte a quel tentativo maldestro di fargli lo sgambetto.
Poi sentì l'estremità dell'asta toccare il suo tallone.
Al contatto, una scossa di dolore fortissimo fece tremare ogni fibra del suo corpo quando il piede destro esplose sotto di lui.
Perdendo l'equilibrio, Delta-Tre ruzzolò giù. La mitraglietta rimbalzò sulla rampa e cadde fuoribordo mentre lui si accasciava sulla passerella. Si contorse nell'angoscia, cercando di afferrarsi il piede, ma il piede non c'era più.
Tolland torreggiava sul suo aggressore, brandendo la lupara antisqualo, un dispositivo a testa esplosiva. L'asta d'alluminio, lunga un metro e mezzo, era sormontata da una camera nella quale veniva posta una cartuccia a pallini, calibro dodici, attivata a pressione. Tolland aveva riarmato il congegno con un'altra cartuccia e ne puntava l'estremità seghettata, ancora fumante, al pomo d'Adamo dell'aggressore. L'uomo giaceva sulla schiena, come paralizzato, e fissava Tolland con rabbia incredula.
Rachel corse su per la passerella. Il piano prevedeva che lei s'impadronisse della mitraglietta del soldato ma, sfortunatamente, l'arma era caduta in mare.
La trasmittente alla cintura dell'uomo gracchiò. Una voce sintetica. «Delta-Tre, rispondi. Ho sentito uno sparo.»
Il soldato ferito non rispose.
L'apparecchio crepitò ancora. «Delta-Tre, rispondi. Hai bisogno di rinforzi?»
Subito dopo, un'altra voce sintetica, ma distinguibile dalla prima per il rumore di un elicottero in sottofondo, s'intromise nella comunicazione. «Qui Delta-Uno. Sto inseguendo il battello in fuga. Delta-Tre, rispondi. Sei stato colpito? Hai bisogno di rinforzi?»
Tolland premette l'asta contro la gola del soldato. «Di' all'elicottero di interrompere l'inseguimento. Se ammazzano il mio amico, sei morto.»
L'uomo sussultò per il dolore, mentre si portava il microfono alle labbra. Poi, fissando Tolland, pigiò il tasto e parlò. «Qui Delta-Tre. Tutto bene. Distruggete il battello.»
Gabrielle Ashe tornò nel bagno privato di Sexton per arrampicarsi e uscire da dov'era entrata. La telefonata del senatore l'aveva messa in ansia. C'era stata certamente una pausa quando Gabrielle gli aveva detto di essere nel proprio ufficio, come se Sexton sapesse che lei stava mentendo. In tutti i casi, non era riuscita ad accedere al computer e adesso era indecisa sul da farsi.
"Sexton sta aspettando."
Arrampicandosi sul lavandino, pronta a sollevarsi, sentì il rumore di qualcosa che rotolava sulle piastrelle del pavimento. Con irritazione, vide che aveva fatto cadere un paio di gemelli da polso, che evidentemente erano stati lasciati sul bordo del lavabo.
"Lasciare le cose esattamente come si sono trovate."
Scese, raccolse i gemelli e li rimise sul lavandino; poi, invece di risalire, si fermò a osservarli. Normalmente li avrebbe semplicemente ignorati, ma quella sera le cifre sui gioielli catturarono la sua attenzione. Due "esse" intrecciate, come su quasi tutti, gli oggetti monogrammati di Sexton.
Gabrielle ricordò in un lampo la vecchia password del senatore: SSS. Ripensò al calendario da tavolo… POTUS… alle immagini della Casa Bianca sullo schermo del computer di Sexton; al nastro che sventolava all'infinito, con il suo messaggio speranzoso:
IL PRESIDENTE DEGLI STATI UNITI SEDGEWICK SEXTON… IL PRESIDENTE DEGLI STATI UNITI SEDGEWICK SEXTON… IL PEESIDENTE DEGLI…
"Possibile che sia così sicuro di sé?"
Ci sarebbe voluto poco per accertarsene. Ritornò in fretta nell'ufficio, si sedette al computer e digitò le sette lettere:
POTUSSS.
Incredula, vide svanire il salvaschermo. "Mai sottovalutare la vanità di un politico."
Il Crestliner Phantom filava nella notte, ma Corky Marlinson non era ai comandi. Sapeva che la barca avrebbe continuato a muoversi in linea retta, lungo il percorso di minima resistenza, con o senza un timoniere.
Corky era a poppa del motoscafo che sobbalzava, cercando di valutare la gravità della ferita alla gamba. Un proiettile era penetrato nella parte anteriore del polpaccio, mancando d'un soffio la tibia. Non c'era un foro d'uscita, quindi il bossolo doveva essere ancora conficcato nel muscolo. Non riuscì a trovare nulla per fermare l'emorragia: c'erano solo pinne, un boccaglio, un paio di giubbotti salvagente, ma nessuna valigetta del pronto soccorso. Freneticamente Corky aprì una cassetta e trovò qualche utensile, straccetti, olio lubrificante e nastro adesivo. Guardò la gamba insanguinata e si chiese di lì a quanto sarebbe stato finalmente al sicuro dagli squali. "Dio! Devo allontanarmi molto di più…"
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