Kate Wilhelm - La casa che usside

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La casa che usside: краткое содержание, описание и аннотация

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«Ho capito!» esclamò, e rientrò a chiamare Constance. Quell’estate erano stati investiti per tre volte da tempeste elettriche che avevano fatto saltare la corrente. Una scarica aveva danneggiato il televisore e la stufa elettrica dei Mitchum, i loro vicini.

Staccarono le spine dalle prese in tutta la casa e si sedettero in terrazza ad aspettare che il temporale li rispedisse dentro. Si stava alzando il vento. La temperatura sembrò aumentare e l’aria sapeva di ozono. Charlie si augurò che venisse un bell’acquazzone, che rinfrescasse l’aria e mettesse fine all’ondata di caldo che giorno dopo giorno lo stava facendo sciogliere come ghiaccio al sole.

«Se la casa, o il computer della casa, ha veramente ucciso due persone, non pensi che potrebbe essere un luogo pericoloso?» gli domandò Constance tra un rombo di tuono e l’altro. "La pioggia si sta allontanando" pensò con rammarico.

«Staremo alla larga da ascensori e vasche idromassaggio. Sei nervosa all’idea di andare in quella casa?»

«Non particolarmente, era solo una considerazione. Se si erano messi tutti in agitazione per un gioco, immagina come saranno stavolta quando si riuniranno. Ora sanno che la casa è in grado di uccidere o che tra loro c’è un assassino.»

«Quel dannato temporale passerà a sud di casa nostra» disse Charlie deluso. «Almeno sulla costa dell’Oregon farà fresco.»

Per un istante Constance ebbe la netta sensazione che il marito avesse accettato quel caso assurdo semplicemente per sfuggire all’ondata di caldo. Stava per dire qualcosa e protestare, ma rinunciò. Se quella gente era preoccupata quanto lo sarebbe stata lei nella loro situazione, probabilmente Charlie avrebbe fatto di tutto per tornare a casa molto velocemente.

«Charlie, ora che hai parlato con Milton e hai letto il materiale che ci ha fornito, pensi ancora che sia stato il computer?»

«Vedi, quando una persona vuole uccidere qualcuno di solito si serve di un’arma che gli è familiare: una pistola, una mazza, un mattone, del veleno o qualsiasi altra cosa, oppure afferra quello che ha a portata di mano, per esempio una padella, un’arma eccellente. La cara vecchia padella nera viene sbattuta sulla testa della vittima e la testa si rompe, ma utilizzare una borsa di rete o affogare qualcuno in una vasca idromassaggio mi lascia perplesso. Come ho detto a Milton Sweetwater, daremo una rapida occhiata, cercheremo di mantenere il più a lungo possibile una mente aperta a ogni ipotesi e alla fine addosseremo la colpa al computer. Andiamo a dormire. Non arriverà nessun acquazzone stasera, e c’è più caldo di un’ora fa.»

Quella mattina il benzinaio della stazione di servizio che si trovava nell’Oregon, poche miglia a sud di Bandon, aveva detto a Beth che gli abitanti della costa durante l’estate si spostavano nell’entroterra per scaldarsi. Era una giornata grigia e freddina. La nebbia fitta che poco prima avvolgeva ogni cosa si era dileguata non appena Beth aveva raggiunto quella zona. Da lì a Smart House c’era meno di un’ora.

"Devo essere pazza" si disse rabbrividendo mentre guidava verso Smart House, assalita da un déjà vu , lo stomaco talmente chiuso da non riuscire a rilassarlo nonostante le numerose inspirazioni. "Completamente pazza."

La porta d’ingresso si aprì ancor prima di aver scaricato la valigia dall’auto e Jake le venne incontro a grandi passi. Si fermò a poca distanza da lei, questa volta però senza arrivare a toccarla, esaminò il suo volto attentamente poi annuì. «Perché non hai risposto a nessuna delle mie telefonate?»

«Non lo so. Mi sembrava inutile, credo.»

Beth si voltò sfuggendo al suo sguardo inquisitorio e aprì la portiera posteriore, ma Jake la scavalcò e tirò fuori la valigia. Entrarono in casa senza dire una parola, e nessuno dei due propose di prendere l’ascensore. Mentre salivano le scale dell’ingresso, la casa pareva misteriosamente silenziosa. Raggiunto il corridoio del primo piano, Beth si affacciò a guardare l’atrio deserto e bello come sempre. La cascata era in funzione, gli spruzzi riflettevano una delle luci a soffitto, l’acqua scintillava e si frangeva creando un infinito effetto caleidoscopico. Qualcuno doveva aver lasciato aperta una porta, pensò Beth distrattamente, l’odore del cloro era penetrato dappertutto.

Avrebbe preferito che ci fosse stato qualcun altro ad accoglierla o anche nessuno. Poteva benissimo portarla da sola la valigia. In effetti, Jake aveva chiamato parecchie volte e aveva lasciato molti messaggi nella segreteria telefonica, ma lei l’aveva sempre spenta. "A cosa sarebbe servito?" si ripeté. Arrivarono davanti alla porta.

«Il… il computer è acceso?» domandò Beth con una certa esitazione.

«No» le rispose bruscamente. «Quella dannata macchina è stata spenta una volta per tutte.» Jake aprì la porta. «C’è una catena di sicurezza all’interno, una semplice antiquata, meccanica catena. L’ho montata poco fa.»

«Dovrò aprire da sola le tende e regolare la temperatura dell’acqua della vasca da bagno…» Beth trasalì. Aveva udito il suono di una risata, la risata di Gary. Beth si aggrappò allo stipite della porta.

«Non te la prendere» le disse Jake che l’aveva afferrata saldamente per un braccio. «Si è esercitato a lungo.»

«Era ora che arrivassi!» gridò Bruce dall’ascensore in fondo al corridoio. «Tra cinque minuti in giardino ci sarà una riunione di famiglia.»

«Oh, mio Dio!» mormorò Beth fissando Bruce. In passato Bruce aveva sempre cercato di mettere in risalto le piccole differenze tra lui e Gary: lui indossava la giacca, Gary i maglioni, Bruce portava scarpe lustre, Gary le scarpe da ginnastica, i capelli di Bruce erano relativamente ordinati, quelli del fratello sempre spettinati, una zazzera di ricci che tagliava solo quando gli scendevano sugli occhi. Quel giorno Bruce indossava un maglione, calzoni sportivi e scarpe da ginnastica con le stringhe slacciate, mentre i capelli erano scompigliati e arruffati.

"Persino le parole" pensò Beth. "Bruce ricordava persino quello che Gary aveva pronunciato l’ultima volta."

«Come ho detto» ripeté rabbiosamente Jake «ha fatto molta pratica.» Posò la valigia in camera mentre Beth si fermò sulla soglia.

Ora Jake sembrava impacciato. Beth si spostò per lasciarlo passare ma lui non si mosse. «Beth, non raccogliere le sue provocazioni, d’accordo? Hai degli amici all’interno della società, lo sai. Milton, io. Bruce è stato sgradevole ma non ha nessun potere e se ne rende conto. Non può fare assolutamente niente, per cui non te la prendere.»

Beth annuì. «Grazie, Jake, apprezzo il tuo interessamento.»

«Ci vediamo dopo.» E si allontanò in fretta.

Beth chiuse la porta e dopo un istante mise la catena. Solo allora avanzò nella stanza, la stessa stanza rosa e gialla in cui aveva dormito l’ultima volta. Aprì le tende e guardò il mare. L’orizzonte era indefinito, si vedevano solo l’oceano e il cielo grigio che si confondevano l’uno nell’altro. "Nessuna via di fuga in quel mare" pensò. "Si potrebbe prendere il largo sino all’orizzonte ma poi il cielo ti rispedirebbe indietro." Voltò le spalle. Il computer, silenzioso e vacuo, se ne stava lì e la fissava. Beth stava tremando. Con movimenti rapidi andò in bagno, prese un asciugamano e coprì lo schermo. «Ecco qui» sussurrò alla macchina. Senza fretta disfece la valigia, si lavò faccia e mani e s’infilò una felpa senza sapere se il freddo che provava fosse dovuto a un raffreddore o a una disfunzione del suo organismo. Ma questo non era importante, stava gelando.

Giunta al piano terra, scorse Maddie e Bruce vicino al bar. L’aria era calda e umida in quell’ambiente. Doveva essere fiorito qualche nuovo fiore, si ritrovò a pensare, qualcosa che emanava un profumo penetrante e dolciastro. Gardenie forse? Abbracciò Maddie che aveva uno sguardo vitreo, tranquillo, e sapeva di gin tonic. Sul bancone del bar c’era una caffettiera con delle tazzine. Beth annuì leggermente a Bruce e si versò del caffè.

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