Respirò dal naso sforzandosi di non imprecare ad alta voce e guardò il vecchio ebreo che stava uscendo dalla sinagoga. Lo vedeva chiaramente, illuminato dalla luce interna. Basso, grassoccio, con uno di quegli stupidi zuccotti in testa.
L’ebreo allungò un braccio dentro la chiesa e fu di nuovo tutto buio. Ma per non più di un secondo, perché ora il vecchio stava aprendo lo sportello di un’automobile.
Non quello del posto di guida, lo sportello posteriore a sinistra. Qualcuno dentro la macchina si alzò a sedere, scese, si sgranchì. Proprio come aveva fatto lui poco prima.
L’ebreo gli parlò.
Era più basso dell’ebreo. Un bambino.
Nascosto in macchina. Doveva essere il bambino. Se no perché si sarebbe nascosto?
La taglia era quella giusta ed era sdraiato sul sedile posteriore. Chi altri avrebbe potuto essere?
Il bambino montò di nuovo in macchina, si distese, scomparve.
Dunque ecco dov’era andato a cacciarsi. Lo avevano nascosto i giudei. Per forza, venticinquemila dollari. Roba da farli venire nei calzoni.
Vedremo come va a finire.
L’ebreo avviò il motore e accese i fari. Mantenendosi nella zona d’ombra, Zhukanov corse verso l’automobile. L’ebreo cominciò a indietreggiare nel vicolo nel momento in cui il russo arrivava abbastanza vicino da leggere la targa.
Lettere e numeri. Zhukanov recitò mentalmente la formula magica. All’inizio il cervello si rifiutò di collaborare.
Ma il vecchio ebreo lo aiutò impiegando molto tempo per uscire dal vicolo a marcia indietro e fare manovra. Prima che avesse finito, Zhukanov aveva imparato la targa a memoria.
Non c’era tempo di andare a prendere il suo macinino per seguirlo. Avrebbe scritto il numero e chiamato la Motorizzazione. Dare le generalità di un proprietario a uno sconosciuto era illegale, ma lui conosceva un pidocchio di Odessa che lavorava all’ufficio distaccato di Hollywood e che lo avrebbe accontentato per cinquanta dollari.
Visto che cosa gli avrebbe fruttato, era un investimento con i fiocchi.
Alle dieci di sera la perquisizione della casa di Montecito non aveva ancora dato frutti.
«È praticamente vuota», riferì Sepulveda a Petra. «Qualche mobile in soggiorno e in una sola camera da letto. In tutte le altre stanze non c’è niente.»
«Avete controllato se ci sono passaggi segreti?» domandò lei scherzando solo per metà.
Sepulveda la osservò rimanendo serio. «Se salta fuori il Fantasma dell’Opera, glielo faccio sapere.»
Petra ripartì per Los Angeles con Ron. Aveva incrementato la sua bolletta del telefono parlando con i funzionari delle compagnie aeree, alcuni impressionati dalla sua qualifica, altri scettici. Allo stato attuale non risultava nessun Balch e da un aggiornamento telefonico ricevuto da Wil alle dieci meno dieci aveva saputo che a lui non era andata meglio. Perché il lavoro venisse concluso a norma di regolamento, c’era da passare parecchio tempo alla scrivania. L’avrebbe fatto l’indomani. Era stanca morta e in collera con Schoelkopf che li obbligava a non divulgare la notizia che Balch era l’indiziato numero uno.
Ha sbattuto il bambino in prima pagina, ma con Balch si muove con i piedi di piombo.
Ne parlarono fino a Oxnard. I superiori erano sempre un facile bersaglio. Quando furono a Camarillo, nell’abitacolo calò il silenzio e Petra vide che aveva gli occhi chiusi.
Ron si svegliò quando lei fermò la macchina davanti a casa sua.
«Bentornato», lo salutò scherzosa.
Lui fece un sorriso imbambolato, si scusò, poi si protese per baciarla.
Lei si spostò sul sedile per farglisi incontro. Lui le fece scivolare una mano dietro la testa, gliela premette con delicatezza. L’altra scese sul seno. Quando era stanco era più garbato.
Strinse piano piano, poi cominciò a togliere la mano. Lei gliela trattenne. Il bacio successivo durò molto. Fu lui il primo a ritrarsi e ora sembrava completamente sveglio.
«Come prima uscita non è niente male», commentò lei.
«La seconda. La prima è stata quando siamo andati a mangiare insieme.»
«Vero.» Petra si accorse ora di averla classificata come un preambolo per fare conoscenza.
«Be’, hai un sacco di cose da fare», le disse. «È meglio che vai.»
Lei diede inizio a un terzo bacio. Lui non cercò di accarezzarla, mantenne le mani al di sopra del collo. Poi le prese il mento. Con Nick non le piaceva, la faceva sentire troppo confinata. Lui aveva un modo diverso di farlo. Lei gli esplorò la bocca con la lingua e lui emise un mugolio baritonale di piacere.
«Oh, Gesù…» mormorò. «Ho tanta voglia di vederti di nuovo. So che non è il momento giusto per pensare a uscire insieme.»
«Tu chiama», lo esortò lei. «Se ti dico che ho troppo da fare, sarà la verità.»
Lui le baciò la punta dei mento. «Sei così carina. La prima volta che ti ho visto ho…» Scosse la testa, scese, si frugò in tasca cercando la chiave di casa e la salutò con l’altra mano.
«Aspetta», lo richiamò lei quando già si stava girando per allontanarsi.
Ron si fermò.
«Il tuo telefono.»
Lui rise, tornò indietro, prese il cellulare.
«Ricordati di mandarmi la bolletta», si raccomandò lei. «Sarà una botta.»
«Non mancherò», rispose lui. Poi la baciò di nuovo.
Sulla 101 guidò faticando a tenere gli occhi aperti. Una stanchezza così ottenebrante nonostante tutta l’adrenalina scaricata durante quel giorno, poteva solo significare che era in grave debito di sonno. Casa, una dose di caffeina, un’oretta ancora di lavoro al telefono, poi giù la serranda.
Arrivò a casa che erano ormai le 11.23. Un messaggio in segreteria. Lo rimandò a più tardi, indossò una camicia da notte e preparò un caffè extraforte. Ricordò di non aver ancora chiamato Stu. Troppo tardi, ormai. Ci restò male. Un giorno quel caso sarebbe finito, mentre l’esperienza di Kathy sarebbe durata per sempre. Stu l’avrebbe ricordata come insensibile durante quel momento di crisi della sua vita?
Era stato lui a telefonare, alle 11.09, invitandola a richiamare fino a mezzanotte. La centralinista del St. Joe’s oppose qualche resistenza data l’ora tarda, ma finalmente udì la voce di Stu domandare: «Petra?»
«Sono davvero mortificata di non aver chiamato prima. Kathy come sta?»
«Bene», rispose lui. «Riposa.» A una persona che non lo conoscesse sarebbe sembrato del tutto normale.
«È andato tutto liscio?»
«Liscissimo. Le hanno praticato una mastectomia. Un seno. Il chirurgo dice che si riprenderà completamente.»
«È una buona notizia.»
«Ho passato quattro anni di TV Guide. »
«Non ci pensare, Stu. Come posso aiutare?»
«Grazie, ma è tutto sotto controllo.»
«Sei sicuro? Le ragazze non hanno bisogno di niente?»
«Solo della loro mamma», rispose lui e la sua voce cambiò. «Ne verranno fuori, Petra. Tutti noi ne verremo fuori.»
«Lo so.» Un seno…
«Dimmi, comunque», riprese Stu. «A te com’è andata?»
A parte questo, signora Lincoln, com’era lo spettacolo? Tenendola a distanza. Una volta aveva pianto fra le sue braccia, probabilmente aveva giurato di non lasciarsi andare mai più.
«Per la verità è scoppiato un vero bubbone, Stu.» Gli riferì di Estrella Flores, delle tracce di sangue sulla Lexus, del tentativo di Balch di prendere il largo con l’aereo della compagnia privata. Poi di William Bradley Straight, identificato, ma ancora ricercato, rimasto senza una madre.
«Povero bambino», commentò lui. «Ti lascio sola per un giorno e guarda in che pasticcio ti sei andata a cacciare.»
I tasselli andavano a riempire il mosaico e lui non aveva contribuito nemmeno in parte. Avrebbe voluto dirgli che non importava, ma non era vero.
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