Fredric Brown - Il bicchiere della staffa

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Il bicchiere della staffa: краткое содержание, описание и аннотация

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«Basta!» lo interruppi. «Mi state spezzando il cuore. Accetterei di corsa la vostra offerta, se solo lo potessi. Non avete bisogno di insistere. Ma non posso, a meno che l’offerta non sia ancora valida di qui a quattordici mesi.» E, naturalmente, dovetti spiegargli l’accordo che avevo fatto con Hetherton.

Tom corrugò la fronte. «Un accordo del genere non è morale. Sapevo che Hetherton era un figlio di puttana, ma ignoravo che lo fosse fino a quel punto. Specie se si tiene presente che vi ha fatto lasciare il posto che occupavate prima di mettervi con le spalle al muro.»

«Sì, ma è stata colpa mia. Prima di buttarmi, avrei dovuto appurare che cosa intendeva per “un periodo di tempo ragionevole”. Maledizione, vorrei che fosse un contratto scritto; lo impugnerei e lascerei che mi muovesse o cercasse di muovermi causa, almeno in tribunale farebbe la figura dello stupido, come me, tale e quale. La mia onestà è semplicemente normale, Tom. Non ci penso due volte a contravvenire alle leggi, nel limite del ragionevole, o a impugnare un contratto scritto. Ma una promessa verbale… forse sono stato educato male, ma non mi va di venire meno a una promessa verbale. E adesso me ne devo andare. Posso solo sperare che la vostra offerta sia ancora valida fra quattordici mesi.»

«Non dovete preoccuparvi se sarà ancora valida o meno. Voglio dire, dipenderà dalle circostanze, qui a Bisbee, ma, con l’esperienza che vi siete fatto, sia pure con Hetherton, non vi riuscirà certo difficile trovare un posto.»

Marna Acres disse: «Vedo una scappatoia, Bob.» Tutti e due la guardammo, e lei continuò: «Non avete promesso di non fare, fuori dal lavoro, qualcosa che possa costringerlo a licenziarvi. Diventate l’amante di sua moglie, bruciategli la casa o simili…»

Risi. «Se aveste visto la moglie di Hetherton, capireste che al mondo c’è un destino peggiore di quello di lavorare per il Sun. E tutto quanto, prescindendo da quell’orribile suggerimento, potrebbe convincerlo a licenziarmi mi farebbe finire in prigione, e che vantaggio ne ricaverei allora?»

«Nessuno,» ammise Marna.

Nemmeno Tom ed io vedemmo a che cosa avrebbe potuto giovarmi di finire in prigione, e lasciammo le cose a questo punto.

Ed ora, a due mesi di distanza, stavo finendo di raccontare la mia storia a McNulty e allo sceriffo. Oh, non la conversazione che ho appena riferito, quella no; non accennai nemmeno al fatto di aver ricevuto un’altra offerta di lavoro. Parlai solo dei termini del contratto verbale che avevo stretto con Hetherton e delle circostanze che mi avevano spinto ad accettarlo. Dissi quel tanto che bastava per rispondere alla domanda di McNulty e per chiarire la situazione.

E parve che l’avessi chiarita davvero. La voce di McNulty era più amichevole di quanto non lo fosse stata da molto tempo. Da un pezzo ormai dovevo rappresentare per lui una specie di punto interrogativo. Ma si limitò a dire: «Credo che siamo a posto,» poi guardò lo sceriffo. «Non sembra anche a voi? O avete qualche altra domanda da rivolgere?»

Lo sceriffo scosse la testa, ma poi ci ripensò. «Una soltanto: continuate a riflettere su quelle chiacchierate che avete avuto con Amy. Forse ricorderete qualcosa che potrebbe fornirci un indizio. Qualche altra località dove ha abitato, oltre Kansas City, qualche bar che ha affermato di aver frequentato… roba del genere, insomma.»

«Certo,» risposi, «continuerò a riflettere. A proposito Mac, Hetherton mi ha detto di chiedervi se è saltato fuori qualcosa di nuovo, dopo che lui se n’è andato.»

«Niente. A che ora andate in macchina?»

«Di solito, verso le dieci, ma forse stasera tardiamo un po’.»

«Va bene. Ci fermeremo qui fino a chissà che ora. Se salta fuori qualcosa di importante, vi avvertirò.»

«D’accordo.» Mi diressi verso la porta, ma, prima che la raggiungessi, entrò Charlie Sanger, ed allora mi scostai e tornai indietro. Puntò dritto sulla scrivania di McNulty e gli consegnò qualcosa. Disse: «Abbiamo un indirizzo, Mac. La patente di guida. È proprio vero che qualcuno lascia i documenti nello scomparto dei guanti.»

Girai dietro la scrivania e guardai, al disopra della spalla di McNulty, la patente che egli stava osservando. Era una patente del Missouri, infilata in una custodia di cuoio e celluloide. Signora Amy Waggoner, 712 Olive Street, Kansas City, Mo. E la descrizione corrispondeva: un metro e sessantacinque, cinquantun chili, capelli biondi, occhi azzurri. L’età, trentacinque, mi sorprese un poco; era quella che avevo immaginato dal viso, ma il suo corpo aveva un aspetto molto più giovanile.

«Bene.» disse McNulty. «Adesso che abbiamo un indirizzo, telefonerò subito a Kansas City.» Allungò un braccio verso il ricevitore, ma lo ritirò subito e guardò Charlie Sanger. «Niente altro nella macchina?»

«Niente nel portabagagli. Qualche altra roba nello scomparto dei guanti, ma niente di importante. Un paio di cartine stradali, occhiali da sole, una scatola di Kleenex. Niente lettere.»

«Portate qui tutto, in ogni modo. Ci daremo un’occhiata.» Si voltò per rivolgermi la parola. «Questo indirizzo significa qualcosa per voi, Bob?»

«Niente di particolare. Deve essere vicino al centro, e credo che sia una zona di case d’affitto.»

Annuì e tornò ad allungare il braccio verso il telefono, ed io seguii fuori Charlie. Ammesso che McNulty riuscisse a sapere qualcosa da Kansas City, lo avrebbero richiamato più tardi, ed era perfettamente inutile che io restassi lì ad aspettare. Probabilmente Hetherton si stava già chiedendo come mai la mia assenza durava tanto.

Quando comparvi, mi fulminò con una occhiata. «Niente di nuovo?»

Cominciai a parlargli della patente, ma egli mi interruppe bruscamente. «Scrivete tutto.»

Scrissi il pezzo, glielo mostrai, gli lasciai correggere due parole e lo portai in tipografia. E, quando tornai, dissi: «Dobbiamo richiamare Bisbee per quei pezzi che avete scritto voi e per questo?»

«No. Non dedicherà all’avvenimento più di due righe, e ne ha più che a sufficienza.»

Ma, mentre mi sedevo al mio posto, cambiò idea. «Sì, chiamate Acres. Trasmettetegli quei pezzi.» Sollevai il ricevitore e riconobbi la voce di Doris, ma, con Hetherton lì presente, mi limitai a chiederle di passarmi Tom Acres. Hetherton mi gridò: «Già che gli parlate, chiedetegli se c’è qualcosa di nuovo per noi.»

Sentii la voglia di ridere, perchè era questa la vera ragione per cui mi aveva detto di chiamare. Cercava di risparmiare un dollaro. Le comunicazioni erano a pagamento in arrivo, e, se Tom ci avesse trasmesso qualcosa, l’interurbana sarebbe figurata sul suo conto, non sul nostro.

Ma Tom conosceva il trucco e sogghignò quando, dopo avergli dettato le altre notizie su Amy, gli chiesi se aveva qualcosa di nuovo per noi. Rispose che non aveva niente. Ma ci richiamò, pagamento in arrivo, dieci minuti più tardi, per trasmetterci una notizia che, diceva, aveva ricevuto in quel momento per telescrivente da Phoenix: niente di straordinario, ma un pezzo che avremmo pubblicato perchè si trattava di un intrigo politico che riguardava la contea di Cochise e, indirettamente, anche Mayville.

Battei il pezzo e lo passai a Hetherton, che aveva appena terminato di scriverne un altro. Disse: «Li porterò io in tipografia. E credo che sia tutto; abbiamo finito più presto di quanto immaginavo, a meno che non salti fuori qualcosa di nuovo sul delitto. Fate una corsa a vedere.»

Tornai nell’ufficio di polizia. Charlie Sanger non c’era, ma c’erano McNulty e lo sceriffo.

«Stiamo per andare in macchina,» dissi. «Qualcosa di nuovo su Amy?»

McNulty scosse la testa. «Kansas City non ha ancora richiamato. Ma dubito che richiamino stanotte, se hanno raccolto solo informazioni di carattere generale. A meno che non capitino su qualcosa di interessante che possa aver l’aria di èssere stato un movente del delitto…»

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