Michael Palmer - Sindrome atipica

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Sindrome atipica: краткое содержание, описание и аннотация

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Il dottor Rutledge ha la certezza che ci sia qualcosa di sospetto nelle morti dei suoi pazienti. Troppe banali influenze degenerate in incomprensibili complicanze non hanno lasciato scampo ai malati. L’uomo nutre un sospetto: che nell’evoluzione fatale delle malattie sia coinvolto il giacimento di carbone, la cui aria nera copre il cielo della sua città, nel West Virginia. Ma presto il dottore capisce che le sue indagini lo stanno portando a scoprire segreti molto più pericolosi di quanto potesse immaginare.

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«Maledizione, Matthew, non è così che si trattano quelli del tuo stesso sangue!… Chi andrà a trovare tua madre se io non sarò più in giro?… Tua madre !… Questo le spezzerà il cuore, ed è tutta colpa tua… Io sono il tuo padrino, Matthew… Ellen, Ellen, lei che appartiene alla mia generazione, spieghi a mio nipote l’importanza della famiglia. Io sono suo zio, geneticamente questo vuole dire che, per il venticinque per cento, siamo la stessa cosa. Venticinque per cento! È come vendere un quarto di te stesso…»

«Non ce la faremo», disse Ellen, dando un’occhiata all’orologio di Matt. «Non arriveremo in tempo.»

«Possiamo fare solo del nostro meglio», ribatté Matt, tirando la corda un po’ più del necessario. «Abbiamo una possibilità, a seconda del traffico, ma è più concreta di quanto lei creda.»

«Può continuare da solo?»

«Certo, perché?»

«Devo fare una telefonata. Il mio amico Rudy Peterson deve essere terribilmente preoccupato per me. Inoltre, conosce delle persone, forse qualcuno da chiamare.»

«Si sbrighi. Qui ne ho ancora per uno o due minuti, poi vorrei partire. Senta, l’amica di Hal, Heidi, vive qui. Perché non fruga tra le sue cose alla ricerca di qualche indumento caldo? Un viaggio in motocicletta può essere molto freddo.»

Ellen si appropriò di un paio di pantaloni scuri, di una felpa e di una giacca in pelle, corse poi in cucina, mentre Matt annodava l’ultimo pezzo di corda alle caviglie di Hal e poi alla gamba in fondo al letto. La morte di Lyle Slocumb e la confessione, senza alcun cenno di rimorso, dello zio avevano sconvolto Matt. L’Alzheimer aveva reso sua madre meno consapevole di alcune cose, ma di certo si sarebbe resa conto che suo fratello non andava più a trovarla, se ne sarebbe resa conto e ne avrebbe sofferto. Malgrado la situazione e l’urgenza di raggiungere Washington, Matt si ritrovò a inventare spiegazioni da dare alla madre, più gentili dell’orribile verità.

«Non puoi lasciarmi qui così», gridava Hal, ogni volta sempre più disperato, sempre più patetico di prima. «E se avessi un attacco di cuore? E se dovessi andare a fare pipì? In questo paese si è considerati presunti innocenti fino a che non viene dimostrata la colpevolezza. Chi ti ha reso giudice, giuria e boia? Per amor di Dio, Matthew, ascoltami. Ti conosco da quando sei nato. Non puoi farmi questo!»

«Hal, dove sono le chiavi della tua auto?»

«Le mie cosa?»

«Le chiavi della tua auto.»

Matt aveva trovato la motocicletta nel garage e le chiavi sulla mensola della cucina, ma se voleva percorrere i duecentosettanta chilometri dalla Virginia a Washington a centotrenta chilometri all’ora, avrebbe preferito farlo in una berlina Mercedes che appollaiato su una Harley con una dilettante, che odiava le motociclette e si dimenava sul sedile dietro di lui.

Hal smise di blaterare e scoppiò a ridere.

«Se le avessi di certo non te le darei. A meno che tu non mi lasciassi andare. Ma, grazie a te, non ho alcuna chiave.»

«Che intendi dire?»

«Ho un solo mazzo di chiavi, l’altro ce l’ha Heidi, e il mio l’aveva Larry in tasca quando ha fatto quel gran tuffo. Peccato.»

«Hal», commentò Matt, controllando per l’ultima volta i nodi, «spero che, per il resto della tua vita, non avrai più il piacere di guidare un’automobile.»

Si fermò in corridoio e prese la giacca in pelle con interno in lana di Hal, corse poi nel garage, si infilò il casco e mandò su di giri la Harley. Aveva già compiuto quel viaggio in due ore e mezzo. Togliendo quindici minuti a quel tempo, le possibilità di farcela, crescevano. Controllò poi l’indicatore del livello della benzina e gemette. Appena sotto il mezzo serbatoio, due galloni e mezzo, al massimo. Alla velocità che intendeva mantenere, sarebbero bastati per ottanta chilometri, era impossibile fare quel percorso senza fermarsi. Non ci avrebbe messo molto a fare benzina, ma tra il rallentare per entrare nella stazione di servizio, fare benzina e uscire avrebbe perso almeno tre, se non quattro minuti. Eppure, a seconda di quando sarebbe stata realmente fatta quella iniezione e di quanto sarebbero stati fortunati appena raggiunta la clinica, era ancora possibile farcela.

Ellen si precipitò fuori dalla porta d’entrata e lo raggiunse mentre stava facendo indietreggiare la Harley, all’altezza della Mercedes di Hal. Con la giacca in pelle e i pantaloni neri di Heidi, sembrava in tutto e per tutto una motociclista.

«Facciamo questo tentativo», disse, montando dietro di lui.

«Indossi soltanto il casco, si inclini all’indietro, si rilassi, resista e guardi il mondo scorrerle accanto», ordinò Matt, imboccando il vialetto in accelerazione. «È riuscita a parlare con il suo amico?»

«No, ma gli ho lasciato un messaggio. Di solito a quest’ora sta pescando nello stagno dietro casa sua. Oggi spero stia camminando su e giù, preoccupato perché non ha avuto mie notizie.»

«Sono certo che lo è. Ebbene, si parte. Seconda stella a destra e diritti fino al mattino.»

«Non si preoccupi per me, ma corra il più possibile.»

Corra… Dannazione a te, Hal.

Con vivide e tremende immagini delle vittime della sindrome di Belinda in pieno controllo della sua mente, Matt imboccò l’autostrada e diede gas.

«Sher, è arrivata la limousine», gridò Don. «Una limousine bianca. Niente male.»

«Siamo quasi pronte», lo avvisò Sherrie dalla camera da letto. «Voglio che questa ragazzina sia bellissima per il debutto sulla televisione nazionale.»

«Televisione mondiale», la corresse Don.

Osservò l’uomo e la donna, occhiali da sole e abito da ufficio, scendere dalla limousine e imboccare il vialetto. Men in Black , pensò.

«Ta-da», canticchiò Sherrie, sollevando la bambina verso il marito.

«Siete entrambe splendide», disse Don, raggiante. «Veramente belle.» Prese in braccio la neonata e baciò Sherrie sulla bocca. «Nessuno potrebbe credere che tu abbia avuto questa piccola solo quattro giorni fa.»

«Sta raccogliendo una bella serie di punti, signore», scherzò lei, osservando la scena sotto la loro finestra. «Non tutti i bambini vanno a farsi vaccinare scortati dai servizi segreti. Sei pronto?»

«Prontissimo. Nemmeno quando combattevo per il Golden Gloves sono mai stato tanto agitato.»

«Tu, nervoso? Perché mai?»

«Che tu ci creda o no, per la piccola.»

Stupita, Sherrie si girò lentamente e lo fissò, mentre un’ombra di preoccupazione le offuscava il viso.

«Intendi dire l’iniezione?»

«Già.»

Lei sospirò.

«Anch’io», ammise. «Avevo paura di parlartene, perché temevo che pensassi che fossi matta o… o ingrata. So che la signora Marquand ci ha detto che un sacco di persone, neonati e adulti, hanno ricevuto questo vaccino quando è stato testato. Eppure, Donelle sarà la prima a riceverlo dopo l’approvazione.»

«Lo so.»

«Stavo parlando ieri sera con Andrea di suo figlio Randy. Ha compiuto un anno a maggio. Ha continui attacchi e il medico dice che sono provocati da una reazione a una delle vaccinazioni. Deve assumere farmaci e ora Andrea sostiene che la medicina lo sta scombussolando.»

«Questo non lo sapevo. Quel vaccino è uno di quelli che riceverà anche Donelle?»

«Deve esserlo. Lei riceverà trenta vaccini in un colpo solo, tutti quelli di cui avrà bisogno.»

«Vorrei saperne di più», confessò Don.

Sherrie attraversò la stanza e abbracciò figlia e marito.

«Anch’io», ammise, proprio mentre gli agenti dei servizi segreti bussavano alla porta.

Fortunatamente, era una giornata soleggiata e calda. Matt spinse la Harley al massimo delle sue possibilità, oltre il confine della Virginia, quindi, lungo strade a due corsie, attraverso le lussureggianti montagne Shenandoah e gli Appalachi. In meno di un’ora, avevano imboccato la Route 81 a Staunton e si stavano dirigendo a nord verso la 66. Matt mantenne la velocità a centotrenta chilometri all’ora, aggiungendovene un paio quando aveva l’impressione che non vi fossero poliziotti in giro. Grazie al parabrezza e ad ammortizzatori di gran classe sembrava di non superare i sessanta. A Harrisonburg misero quattro galloni di benzina nel serbatoio e vennero a sapere di trovarsi a centosettancinque chilometri da Washington. Mancava un’ora e mezzo prima che venisse sparato quel famoso «botto sentito in tutto il mondo».

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