Robin Cook - Vite in pericolo

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Un’agghiacciante incursione nel lato più oscuro dell’assistenza sanitaria, nel fatidico incrocio tra il valore supremo dell’esistenza umana e i cinici interessi del mondo finanziario, capace di subordinare la vita e la morte alla pericolosa seduzione del denaro. Dopo lunghi anni trascorsi nei corridoi di un grande ospedale di Boston, Angela e David Wilson, un’affiatata coppia di medici, decidono di abbandonare la frenesia della metropoli per trasferirsi, con la figlioletta Nikki gracile e malata, in campagna, in una tranquilla cittadina del Vermont. La bellezza e la serenità del luogo, insieme all’affettuosa accoglienza dei suoi abitanti, appaiono un sogno divenuto realtà, destinato a infondere un’ondata di entusiasmo alle loro esistenze: verdi distese di prati, laghi cristallini incastonati in una cornice incantevole di montagne, al posto dell’inquinamento e della criminalità della città. E, nello stesso tempo, si profila per entrambi i coniugi la possibilità di lavorare in un centro gestito in modo dinamico e moderno, dotato di attrezzature all’avanguardia. Ma dopo il primo magnifico, romantico autunno, a Bartlet comincia a profilarsi un paesaggio spoglio e desolato, che rivela, dietro i tristi scheletri degli alberi, oscure e macabre macchinazioni...
A poco a poco, poi a un ritmo sempre più rapido, il paradiso terrestre dei Wilson si sgretola: numerosi pazienti con strani sintomi cominciano a morire misteriosamente, inquietanti trame si nascondono nelle stanze del loro ospedale; un incubo mortale li minaccia... Coinvolti in un sistema medico criminale, nel quale la polizia non intende indagare, Angela e David dovranno combattere con le loro sole forze per non essere travolti dall’orrore e salvaguardare così la felicità della loro famiglia.

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Traynor sentì un tuffo al cuore. Una simile eventualità non gli era mai venuta in mente e aveva sempre sperato che la mancanza di altri ospedali vicini gli desse un certo potere contrattuale. Evidentemente, però, non era così.

«Non voglio dire che non desidero lavorare con voi», aggiunse Kelley. «Il nostro dovrebbe essere un rapporto dinamico, dopotutto abbiamo lo stesso scopo: la salute della comunità.» Sorrise ancora, come se volesse fare bella mostra dei suoi denti perfettamente allineati.

«Il problema è che l’attuale quota di contributo individuale è troppo bassa», disse Traynor senza mezzi termini. «I ricoveri per il CMV superano del dieci per cento quelli previsti. Non possiamo sopportare a lungo questa eccedenza, dobbiamo rinegoziare la tariffa. Tutto qua.»

«La tariffa non si tocca fino quando non scade il contratto», precisò Kelley con tono amichevole. «Per chi ci prendete? Ci avete offerto quella attuale in una gara di appalto, in competizione con altri, e avete firmato il contratto. Ciò che posso fare è dare inizio alle contrattazioni per la quota di contributo individuale per i servizi di pronto soccorso, che non sono compresi nell’accordo iniziale.»

«Applicare il regime di contributi individuali anche al pronto soccorso non è una cosa che si possa fare in questo momento.» Traynor sentiva il sudore colargli dalle ascelle. «Prima di tutto dobbiamo risistemare i nostri conti, che sono in rosso.»

«E siamo arrivati al motivo di questa riunione», intervenne Helen Beaton, che presentò la versione finale del programma di incentivi.

«Ogni medico del CMV otterrà un premio, se il numero di giorni di degenza per ogni assistito rimarrà a un certo livello. Se il livello scende, il premio aumenta, e viceversa.»

Kelley rise. «Mi pare un esempio di corruzione ben congegnata. Visto come sono sensibili i medici agli incentivi economici, dovrebbe ridurre di certo i ricoveri e gli interventi chirurgici.»

«È la stessa pratica che utilizzate nel vostro ospedale di Rutland.»

«Se funziona là, dovrebbe funzionare anche qua», affermò Kelley. «Non ho problemi ad accettarlo, purché non costi niente al CMV.»

«Sarà finanziato completamente dall’ospedale», lo rassicurò Helen Beaton.

«Ne parlerò ai miei superiori. La riunione è conclusa?»

«Sì.»

Kelley si alzò.

«Apprezzeremmo molto la rapidità», raccomandò Traynor. «C’è troppo inchiostro rosso sui nostri libri contabili.»

«Mi muoverò oggi stesso», gli promise Kelley. «Cercherò di ottenere una risposta definitiva entro domani.» Dopo avere stretto la mano a tutti, se ne andò, lasciando agli altri i commenti su come si era svolta la riunione.

«È andata bene», fu il parere di Helen Beaton, «ma non mi è piaciuta la minaccia di trasportare i pazienti a Rutland.»

«Mi sta venendo in mente una cosa», disse Traynor. «Abbiamo tenuto una riunione fondamentale per il futuro dell’ospedale e non era presente nemmeno un medico.»

«È un segno dei tempi», gli rispose Helen. «Il fardello della crisi della sanità ricade su noi amministratori.»

«Penso che sia l’equivalente, per il mondo della medicina, dell’espressione: ‘La guerra è troppo importante per lasciarla fare ai generali’», scherzò Traynor, facendo ridere tutti e sciogliendo così la tensione.

«Per quanto riguarda il dottor Portland, devo fare qualcosa?» domandò Caldwell.

«Non penso che si debba fare niente», fu il parere di Helen Beaton. «Ho sentito solo parlare bene delle sue capacità professionali. Non ha di certo violato nessuna regola o regolamento. Penso che dovremmo aspettare e vedere che cosa fa il CMV.»

«Mi è parso che non stesse bene», ripeté Traynor. «Non sono uno psichiatra e non so che aspetto abbia una persona prossima al crollo nervoso, ma me la immagino proprio nelle sue condizioni.»

Il ronzio del citofono li colse tutti di sorpresa, soprattutto Helen Beaton che aveva dato esplicite istruzioni di non essere disturbata.

«Cattive notizie», riferì agli altri dopo avere riattaccato. «Tom Baringer è morto.»

Tutti e tre rimasero in silenzio. Traynor fu il primo a parlare: «Niente come la morte ci ricorda che, nonostante i conti in rosso, in un ospedale si tratta tutt’altro genere di affari».

«È vero», confermò Helen. «Il grave di questo lavoro è tale che l’intera città e l’intera regione diventano come una sola grande famiglia. Come in qualsiasi grande famiglia, c’è sempre qualcuno che muore.»

«Qual è il tasso di mortalità, qui al Bartlet Community Hospital?» domandò Traynor. «Non ho mai pensato di chiedervelo.»

«Siamo nella media», gli rispose Helen. «Più o meno dell’uno per cento. Il nostro tasso è migliore rispetto a quasi tutti gli ospedali urbani.»

«È un sollievo sentirlo. Per un momento ho temuto che ci fosse qualche altra cosa di cui doversi preoccupare.»

«Ora basta con questi discorsi tetri», intervenne Caldwell. «Ho una buona notizia. La coppia di medici che abbiamo reclutato io e il CMV ha deciso di venire a Bartlet. Così avremo una patologa superbamente addestrata.»

«Mi fa piacere sentirlo», disse Traynor. «Questo farà fare grandi passi avanti al reparto di patologia.»

«Hanno persino comprato la vecchia casa degli Hodges.»

«Accidenti, non scherzano!» esclamò Traynor. «Questo mi piace, c’è un che di meravigliosamente ironico in tutto ciò.»

Charles Kelley scivolò nella sua Ferrari coupé e mise in moto, poi uscì dal parcheggio assaporando la maniera in cui l’automobile rispondeva alla sua guida.

Dopo la riunione con quelli dell’ospedale, aveva immediatamente telefonato a Duncan Mitchell, ritenendo che quella fosse una buona opportunità per farsi conoscere dal grande capo. Mitchell era direttore generale del CMV e di numerosi altri enti mutualistici nel Sud e, per fortuna di Kelley, aveva l’ufficio principale nel Vermont, dove possedeva anche una fattoria.

Al telefono con lui si era mostrato cordiale e, nonostante stesse per partire per Washington, aveva acconsentito a incontrarlo al Burlington Airport.

Mentre il jet privato del CMV completava le operazioni di rifornimento, Mitchell invitò Kelley a salire sulla sua limousine e gli offrì un drink, che lui rifiutò con garbo.

Duncan Mitchell era un uomo che destava timore. Pur essendo meno alto di Kelley, emanava un senso di potere. Era vestito con molta cura, con un completo tradizionale, con tanto di cravatta di seta e gemelli d’oro. I mocassini italiani erano di coccodrillo.

Kelley si presentò, rammentando a Mitchell di essere il direttore regionale della zona in cui era compreso pure il Bartlet Community Hospital, ma il suo capo appariva bene informato su di lui.

«Prima o poi lo compreremo noi quell’ospedale», disse Duncan Mitchell.

«Avevo pensato a questa possibilità», replicò Kelley. «È per questo che volevo parlare direttamente con lei.»

Mitchell sfilò di tasca un portasigarette d’oro ed estrasse una sigaretta, che batté pensieroso sul coperchio. «C’è un sacco di profitto da spremere da questi ospedali rurali», affermò, «ma bisogna muoversi con prudenza.»

«Non potrei essere più d’accordo.»

«Di che cosa mi voleva parlare?»

«Di due cose. La prima riguarda un premio che vogliono istituire, simile all’incentivo che usiamo nei nostri ospedali, per diminuire la durata dei ricoveri.»

«E l’altra?»

«Uno dei nostri medici ha cominciato ad agire in maniera bizzarra, per reazione alle complicazioni postoperatorie di alcuni suoi pazienti. Dice che la colpa non è sua e che nell’ospedale c’è qualcosa che non va.»

«Ha precedenti psichiatrici?»

«Non ci risulta.»

«Per la prima questione, lasciate che attuino il loro programma di incentivi. A questo punto, non importa come va il loro bilancio.»

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