JAMES CHASE - Piombo e tritolo
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JAMES HADLEY CHASE
PIOMBO E TRITOLO
(Twelve Chinks And A Woman, 1940)
1
Fenner apri un occhio quando le eleganti curve di Paula Dolan e la sua vaporosa testolina fecero capolino dalla porta dell'ufficio. La contemplo con sguardo vago, e poi si sistemo meglio sulla sedia. Aveva appoggiato i suoi enormi piedi sull'immacolato sottomano della scrivania e la sedia girevole era pericolosamente inclinata all'indietro. Borbotto assonnato: «Fila via, Dizzy, giocheremo dopo. Adesso sto pensando.»
Le curve riempirono la porta semiaperta e Paula si avvicino alla scrivania. «Svegliati, Morfeo» disse. «Ti cercano.»
Fenner grugni. «Mandali via. Di' che abbiamo chiuso l'ufficio. Devo pur dormire anch'io, qualche volta, no?»
«Ma a che cosa ti serve il letto?» ribatte Paula, stizzita.
«Non fare certe domande» bofonchio Fenner, scivolando ancora di piu sulla sedia.
«Scuotiti, Dave» imploro la ragazza. «C'e una madonna addolorata di la, e pare che voglia dividere con te un grave peso.»
Di nuovo Fenner apri un occhio. «Cos'hai detto che e?» chiese. «Magari cerca l'elemosina.»
Paula si sedette sull'orlo della scrivania. «Ci sono volte in cui mi domando perche lasci quella targa fuori dalla porta. Non vuoi trovar lavoro?»
Fenner scosse il capo. «No, se appena posso» rispose. «Siamo al verde?
Be', pigliatela comoda.»
«Stai rinunciando a un bel bocconcino. Comunque, se la pensi cosi…»
Paula scivolo dalla scrivania.
«Ehi, un minuto» Fenner si drizzo sulla sedia e scosto il cappello dagli occhi. «E davvero una madonna addolorata?»
Paula annui. «Deve essersi cacciata in qualche imbroglio, Dave.»
«Va bene, va bene, falla entrare, falla entrare.»
Paula apri la porta. Disse: «Volete accomodarvi, prego?»
Una voce rispose: «Grazie» e una giovane donna entro. Passo davanti a Paula lentamente, guardando Fenner coi grandi occhioni azzurri sgranati per la curiosita.
Era un tantino piu alta della media, snella e flessuosa. Aveva gambe lunghe, mani e piedi piccoli, e il corpo molto eretto. I capelli, appuntati sotto il grazioso cappellino, erano neri come l'ebano. Portava un severo tailleur, e appariva molto giovane e molto spaventata.
Paula l'incoraggio con un sorriso e usci, chiudendosi gentilmente la porta alle spalle.
Fenner tolse i piedi dalla scrivania e si alzo. «Sedetevi» disse «e ditemi cosa posso fare per voi.» Le indico la poltrona accanto alla scrivania.
Lei scosse il capo. «Preferisco restare in piedi» mormoro senza fiato.
«Forse non potro fermarmi a lungo.»
Fenner si rimise a sedere. «Potete fare quello che vi pare» ribatte conciliante. «Tutti sono come a casa propria, qui.»
Rimasero a guardarsi l'un l'altra per un lungo minuto. Poi Fenner riprese:
«Sara meglio che vi sediate. Dovete raccontarmi tante cose e sembrate stanca.»
Vedeva che la donna non aveva paura di lui, era spaventata da qualcosa di cui non sapeva niente. Lei si guardava attorno come se fosse pronta a scappar fuori dalla porta.
Ancora una volta, la donna scosse il capo. «Dovete cercare mia sorella» disse, ansante. «Sono cosi preoccupata per mia sorella! Quanto costera?
Voglio dire, quali sono le vostre tariffe?»
Fenner lancio un'occhiata furtiva al calamaio che aveva a portata di mano. «Non preoccupatevi per le spese. Pensate soltanto a rilassarvi, e a raccontarmi tutto» rispose. «Ditemi chi siete, tanto per cominciare.»
Squillo il telefono, al suo fianco. La reazione della ragazza fu impressionante. Scatto indietro con una mossa aggraziata, mentre gli occhi le si dilatavano, appannandosi.
Fenner le sorrise. «Fa anche a me lo stesso effetto» osservo tranquillo, allungando la mano verso il ricevitore. «Quando mi addormento e squilla il telefono, e come se mi sparassero addosso.»
Lei rimase immobile, tesa, accanto alla porta, e lo guardava.
Fenner disse: «Scusatemi» mentre alzava il ricevitore. «Si?»
La linea era disturbata. Poi qualcuno chiese con un accento indefinibile:
«Parla Fenner?»
«Si.»
«C'e una ragazza che dovrebbe venire da un momento all'altro a trovarvi.
Non lasciatela scappare, finche non arrivo io. Vengo subito al vostro ufficio. D'accordo?»
Fenner lascio cadere gli occhi sulla ragazza, e le sorrise rassicurante.
«Non capisco» disse al telefono.
«Statemi a sentire, basta che capiate questo. Verra una ragazza da voi e vi raccontera qualcosa su una sorella che non si trova piu. Ebbene, tenetela li, per conto mio. Si e ammalata in seguito a delle delusioni. E scappata ieri da un manicomio, e so che sta venendo da voi. Trattenetela, e basta.»
Fenner abbasso il cappello fin sull'arco del naso. «Chi diavolo siete?» chiese.
Ci furono altri disturbi sulla linea. «Ve lo spieghero appena arrivo. Vengo subito. Sarete pagato profumatamente, se mi aiutate.»
Fenner rispose: «Va bene, vi aspetto.»
La ragazza chiese: «Vi ha detto che sono pazza?» La mano che non reggeva la borsetta tormentava la cucitura della gonna.
Fenner rimise a posto il ricevitore. Fece un breve cenno d'assenso.
La ragazza chiuse gli occhi per un secondo, poi le palpebre si sollevarono come quelle di una bambola messa a sedere. Disse, disperata: «E cosi difficile non credergli.» Poi appoggio la borsa sulla scrivania, si tolse i guanti e si strappo via la giacca. Fenner rimase perfettamente immobile, la mano sul telefono, guardandola. Lei sospiro e poi, con mani tremanti, comincio a slacciarsi la camicetta.
Fenner si mosse. «Non occorre niente del genere» disse, imbarazzato.
«Mi interessa il vostro caso senza alcuna dimostrazione.»
Ancora una volta lei prese fiato con un sospiro e poi gli volse le spalle.
Si tolse la camicetta. Fenner allungo la mano verso il campanello. Forse questa madamigella era pazza davvero e voleva incriminarlo per aggressione. Poi si irrigidi e ritiro la mano. Sulla schiena della ragazza c'erano dei lividi bluastri, molto evidenti, che spiccavano sulla pelle bianca. Alcuni di essi avevano la forma di impronte digitali. Lei si rimise la camicetta, l'abbottono, e poi infilo la giacca. Infine si volto e i suoi occhioni, piu grandi che mai, si spalancarono su Fenner.
«Adesso ci credete, che sono nei pasticci?» chiese.
Fenner scosse il capo. «Non c'era bisogno di farlo» rispose. «Siete venuta da me a cercare aiuto. Vi aiutero, perche preoccuparsi? Non dovete avere paura.»
Lei resto in piedi a torturarsi il labbro inferiore coi denti brillanti. Poi apri la borsetta e ne tolse un rotolo di biglietti di banca. Li depose sulla scrivania.
«Bastano per assicurarmi il vostro impegno?» disse.
Fenner tocco il rotolo con dita impacciate. Senza contarli non poteva esserne sicuro, ma era pronto a scommettere che c'erano almeno seimila cucuzze in quel rotolo. Scatto in piedi, prese il danaro e ando alla porta.
«Restate qui» disse, e usci.
Nella stanza accanto, Paula era seduta alla macchina da scrivere, le mani in grembo, gli occhi ansiosi.
«Metti il cappello e porta quella bambola al Baltimora Hotel» le ordino Fenner. «Trovale una stanza e dille di chiudersi dentro a chiave. Prendi anche questi, e quando l'hai sistemata, portali in banca. Cerca di sapere tutto quello che puoi sul suo conto. Dille che mi pigliero cura di lei. Falle il discorso del non-preoccuparti-sei-in-buone-mani. Un bel discorso, lungo, convincente. La ragazza ha i nervi a pezzi, e in una brutta situazione ed e ancora abbastanza giovane da aver bisogno di una madre.»
Ritorno nel suo ufficio. «Come vi chiamate?» chiese.
La ragazza giunse le mani. «Portatemi via da qui» prego.
Fenner le appoggio una mano sul braccio. «Vi faccio uscire assieme alla mia segretaria. Ci pensera lei a voi. C'e un tizio che vi cerca e sta venendo qui. Io pensero a lui. Come vi chiamate?»
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