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JAMES CHASE: Piombo e tritolo

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Paula gemette.

«Si. Ti conviene correre a casa, far la valigia e trasferirti qui. Puoi dormire sul divano» continuo Fenner.

Paula si alzo in piedi. «Mentre tu vai a casa e dormi nel tuo lettuccio caldo, vero?»

«Cio che faccio io non t'interessa. Ti faro sapere dove rintracciarmi.»

«Se il portinaio viene a sapere che dormo qui, chissa cosa pensera» disse Paula e indosso cappello e giacca.

«Lascia perdere. Sa che sono un tipo strano. Non ne fara uno scandalo.»

Paula infilo la porta e la richiuse dietro di se, con uno scatto deciso.

Fenner ebbe un mezzo sorriso e poi afferro il telefono. Compose un numero.

«La polizia? Datemi Grosset, per favore. Ditegli che lo vuole Fenner.»

Grosset si mise in linea dopo aver lasciato gracchiare il telefono per qualche istante. «Salve, Fenner. Avete cambiato idea e volete parlare?»

Fenner ghigno nel ricevitore.

«Non ancora, amico» rispose. «Voglio che parliate voi, invece. Di quel cinese che avete trovato. Scoperto niente di interessante su di lui?»

«Perdio, Fenner! Avete del fegato. Non vi aspetterete informazioni da me, spero?» scoppio a ridere Grosset.

«Statemi a sentire, Grosset» disse, serio, Fenner «questo caso non ha ancora avuto uno sbocco. Una specie di sesto senso mi dice che quando lo avra, ci sara chi ci lascera la pelle. Io intendo impedire che trovi uno sbocco.»

«Vi avverto Fenner, se mi tacete qualcosa, mal ve ne verra. Se succede qualcosa che io avrei potuto evitare, e scopro che voi lo sapevate, vi distruggero.»

Fenner si mosse sulla sedia.

«Lasciamo stare, capo» replico stizzito. «Sapete benissimo che e nel mio diritto coprire il cliente. Se vi va di essere gentile e darmi qualche informazione adesso, vi ricambiero con gli interessi appena cominciano le grane. Che ve ne pare?»

«Siete un bel tipo, voi» disse Grosset, dubbioso. «Comunque, quello che so io non vi aiutera molto. Non abbiamo scoperto niente.»

«Come l'hanno portato lassu?»

«Non e stato difficile. L'hanno messo in una cesta della biancheria, sono passati per l'entrata di servizio e l'hanno tirato fuori in un ufficio deserto, prima di scaraventarlo nel vostro.»

«Non scherziamo» replico Fenner. «Non l'hanno portato da me. L'hanno lasciato nell'ufficio vuoto.»

Grosset emise un suono simile allo strappo di una tela di cotone.

«Nessuno ha visto chi l'ha portato?»

«No.»

«Bene, grazie, amico. Vi rendero il favore un giorno. Nient'altro? Niente di strano?»

«Be', no, non credo. Gli hanno tagliato la gola e gliel'hanno ricucita… e abbastanza strano, mi pare.»

«Gia, capisco. Nient'altro, uhm?»

«Credo di no.»

Fenner riabbasso il ricevitore. Rimase a fissare l'apparecchio per parecchi minuti, un'espressione vuota sul viso e lo sguardo perplesso.

Quando Paula torno, un paio d'ore piu tardi, lo trovo sbracato sulla sedia, i piedi sulla scrivania, la cenere della sigaretta sparsa sulla giacca, e la stessa perplessita dipinta sul volto. Deposito una valigetta nell'ingresso e si tolse la giacca e il cappello. «Niente di nuovo?»

Fenner scosse il capo. «Se non fosse per quel cinese morto, chiuderei la partita. Non avrebbero corso il rischio di trascinare il cadavere fin quassu, se non fossero stati fin troppo ansiosi di togliermi di mezzo.»

Paula apri la valigetta e ne tolse un libro. «Io ho gia cenato» disse, sedendosi sulla poltrona accanto alla scrivania. «Sono a posto. Puoi anche andare.»

Fenner fece un cenno d'assenso. Si alzo e si spazzolo la giacca con la mano. «Bene. Torno tra poco. Se telefona, dille che ho assolutamente bisogno di vederla. Fatti dare il suo indirizzo e ripetile il solito discorsino.

Voglio metter le mani su quella damigella.»

«Lo sospettavo» mormoro Paula, ma Fenner si diresse alla porta senza darle retta. Sulla porta, trovo due uomini, spalla a spalla, vestiti di nero.

Sembravano messicani, ma non lo erano. Entrambi tenevano la mano destra nella tasca della giacca attillata. Erano vestiti nello stesso modo: abito nero, feltro nero, camicie bianche e cravatte sgargianti. Sembravano delle comparse di una commedia lacrimosa, solo guardandoli negli occhi si cominciava a pensare ai serpenti e ad altri esseri striscianti.

«Cercate me?» chiese Fenner. Senza che glielo dicessero, sapeva di avere due rivoltelle puntate contro il ventre. Non c'era da sbagliarsi, con quelle tasche gonfie.

«Si, pensavamo di farti una visitina» replico il piu basso dei due.

Fenner rientro in ufficio. Paula apri il cassetto della scrivania e mise la mano sulla 38 di Fenner. Il piu basso fece: «Ferma!» Parlava tra i denti, e dava un tono molto convincente a cio che diceva.

Paula si appoggio allo schienale e incrocio le mani in grembo.

Il piccoletto passo nella seconda stanza e si guardo in giro. Sembrava perplesso. Si avvicino al grande armadio dove Paula teneva le carte dell'ufficio e ci guardo dentro. Poi grugni.

«Se non vi dispiace aspettare, possiamo offrirvi la cena e un letto. Vorremmo che vi sentiste come a casa vostra» disse Fenner.

Il piccoletto raccolse un pesante portacenere che aveva a portata di mano, lo soppeso e, con quello, colpi violentemente Fenner al viso. L'investigatore tento di voltare la testa, ma non fu abbastanza svelto. Le punte sbalzate del portacenere lo presero di striscio al viso.

L'altro tolse dalla tasca un'automatica a canna corta e la pianto nel fianco di Paula. Lo fece con tanta violenza che la ragazza strillo.

«Una mossa, e ti facciamo correre le budella sul pavimento» fece il piccoletto.

Fenner si tolse il fazzoletto dal taschino e se lo passo sul viso. Cosi facendo, il sangue gli colo sulla mano e macchio il polsino della camicia.

«Ci rivedremo» disse tra i denti.

«Spalle al muro. Voglio frugare le stanze» replico il piccoletto. «Sbrigati, se non vuoi che te ne arrivi un altro.»

Improvvisamente, Fenner capi che erano cubani. Erano il tipo di persone che si incontra nell'ambiente del porto di una qualsiasi citta costiera, andando verso sud. Fenner si mise con le spalle al muro, le mani alzate. Era cosi furioso che avrebbe colto l'occasione per fargliela pagare a quei due, se non fosse stato per Paula. Si rendeva conto che erano un po' troppo violenti, per correre rischi.

Il cubano basso frugo Fenner. «Togliti la giacca e dammela» gli disse.

Fenner gliela getto. Il cubano si sedette sull'orlo della scrivania e frugo nella fodera molto attentamente. Tolse il libretto di appunti di Fenner e l'esamino. Poi butto la giacca per terra. Si accosto a Fenner e lo frugo ancora una volta. Fenner sentiva l'odore del cibo abbondantemente condito di spezie che quello doveva aver appena mangiato. Gli prudevano le mani dalla voglia di prenderlo per il collo.

Il cubano fece un passo indietro, grugnendo. Poi volse il capo. «Tu, vieni qui.»

Con la bocca tirata, Paula avanzo di un passo. «Non toccarmi con le tue sporche mani» disse con voce piana.

Il cubano parlo in spagnolo con il compare, che fece un cenno a Fenner.

«Vieni qui.»

Fenner attraverso la stanza e, mentre gli passava accanto, il cubano piu basso lo colpi alla nuca con il calcio della pistola. Fenner cadde sulle ginocchia, stordito, mettendo avanti le mani. Il cubano gli diede un calcio con la scarpa dalla punta quadra, colpendolo poco sopra il collo della camicia, sotto l'orecchio. Era un calcio molto violento e Fenner si rovescio sull'altro lato.

Paula apri la bocca per gridare, ma l'altro cubano le ficco la canna della rivoltella nello stomaco. Invece di gridare, lei trattenne il fiato dal dolore e si piego sulle ginocchia.

Il cubano la prese per le ascelle e la tenne dritta. Il piccoletto la frugo.

Non trovo cio che cercava, e in un accesso di rabbia, le picchio il viso con la mano aperta. L'altro la butto sul divano e poi si sedette sull'orlo del tavolo.

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