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RAYMOND CHANDLER: TROPPO TARDI

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Mi strinsi nelle spalle e tornai alla camera quindici. Sul comodino c'era una piccola radio, di sotto al letto disfatto spuntava un paio di pantofole; un vecchio accappatoio era appeso all'avvolgibile verde, pieno di spiragli, per parare il riverbero del sole.

Esaminai tutto questo come se significasse qualcosa, poi uscii sul pianerottolo e richiusi la porta col passe-partout. Dopo di che feci un altro pellegrinaggio alla camera quattordici. Ora la porta non era piu chiusa a chiave. Perquisii il locale con meticolosa attenzione e non trovai nulla che avesse a che vedere con Orrin P. Quest. Non m'aspettavo di trovarlo. Non vi era ragione perche dovessi trovarlo. Ma bisogna sempre guardare.

Scesi a pianterreno, ascoltai dietro la porta del direttore e non udii nulla.

Entrai e andai a deporre le chiavi sulla scrivania. Lester B. Clausen giaceva di fianco, sul divano, col viso rivolto al muro: morto per il mondo. Perquisii la scrivania, trovai un vecchio mastro che pareva riguardare gli affitti ricevuti e le spese fatte e nient'altro. Sfogliai di nuovo il registro degli ospiti. Non era aggiornato ma il tipo che dormiva sul divano bastava a spiegare questa negligenza. Orrin P. Quest se ne era andato. Un'altra persona aveva occupato la stanza registrata a nome di Hicks. L'ometto che contava il danaro in cucina si intonava magnificamente col quartiere. Il fatto che girasse con una pistola e un pugnale in saccoccia era un'eccentricita mondana che non avrebbe causato alcun commento, in Idaho Street.

Presi la piccola guida telefonica di Bay City, che pendeva da un gancio, accanto alla scrivania. Pensavo che non sarebbe stato molto faticoso pescare l'individuo che si faceva chiamare "dottore" o "Vince" e aveva un numero di telefono che cominciava con uno-tre-cinque-sette-due. Innanzitutto sfogliai il registro degli ospiti. Una cosa che avrei dovuto fare prima. La pagina con la registrazione di Orrin P. Quest era stata strappata. Un tipo prudente, il signor George W. Hicks. Molto prudente.

Chiusi il registro, lanciai un'altra occhiata a Lester B. Clausen, arricciai il naso all'aria viziata, all'odore dolciastro e nauseante del gin e di svariate altre cose, e mi avviai alla porta d'ingresso. Come vi giunsi mi venne improvvisamente un'idea. Un ubriaco del tipo di Clausen avrebbe dovuto russare molto forte. Avrebbe dovuto russare da spellarsi la laringe, con un bell'assortimento di grugniti, gorgoglii e sbuffamenti. Invece non emetteva alcun suono. Aveva una coperta marrone dell'esercito avvolta intorno alle spalle e alla parte inferiore del capo. Sembrava molto tranquillo, molto a suo agio. Gli andai vicino, e guardai giu. Qualcosa che non era una piega della stoffa, fatta a caso, gli rialzava la coperta sul collo. Scostai un lembo della stoffa. Un'impugnatura quadrata di legno giallo sporgeva dalla nuca di Lester B. Clausen. Sul fianco dell'impugnatura una scritta diceva: Omaggio delle Ferramenta Crumsen e C. L'oggetto spuntava proprio sotto al rilievo occipitale.

Era il manico d'uno scalpello da ghiaccio.

Lasciai il quartiere guidando tranquillamente, a cinquanta all'ora. Ai margini della citta, mi chiusi in una cabina telefonica stradale e chiamai il comando di Polizia.

– Polizia di Bay City, parla Moot – annunzio una voce velata.

Io dissi:

– Idaho Street, numero quattrocentoquarantanove. Nell'appartamento del direttore. Si chiama Clausen.

– E con questo? – chiese la voce – Noi che si fa?

– Non saprei – risposi. – E un problema, per me. Ma l'uomo si chiama Lester B. Clausen. L'avete annotato?

– E perche e tanto importante? – domando la voce, senza alcun sospetto.

– Il giudice istruttore ci terra a saperlo – risposi e attaccai il ricevitore.

CAPITOLO VI

Ritornai a Hollywood e mi chiusi a chiave in ufficio con la guida telefonica di Bay City. Mi ci volle un quarto d'ora per scoprire che l'utente del numero uno-tre-cinque-sette-due a Bay City era un certo dottor Vincent Lagardie che si dichiarava neurologo e aveva abitazione e studio in Wyoming Street, una via che, secondo la mia mappa, non si trovava nel centro del quartiere piu aristocratico, ma non ne era completamente al di fuori.

Chiusi la guida di Bay City nella scrivania e scesi al bar dell'angolo per un panino imbottito e una tazza di caffe. Poi mi servii del telefono a gettone per chiamare il dottor Lagardie. Mi rispose una donna ed ebbi qualche difficolta, per comunicare col dottore in persona. Quando arrivo all'apparecchio era impaziente. Era molto occupato, mi disse, era nel bel mezzo d'una visita. Non ho mai conosciuto un medico che non lo fosse. Conosceva per caso un certo Lester B. Clausen? No. Non l'aveva mai sentito nominare.

Per quale ragione gli rivolgevo quella domanda?

– Il signor Clausen ha cercato di telefonarvi, questa mattina – spiegai.

– Ma era troppo ubriaco per parlare in maniera intelligibile.

– Ma io non conosco il signor Clausen – rispose la voce fredda del medico. Pareva che non avesse piu tanta premura, adesso.

– Tutto bene, allora – dichiarai. – Volevo solo assicurarmene. Qualcuno gli ha piantato uno scalpello da ghiaccio nel collo.

Vi fu una pausa di silenzio. La voce del dottor Lagardie era gentile, ora, quasi untuosa.

– Il fatto e stato denunziato alla polizia?

– Certo – l'assicurai. – Ma la cosa non deve preoccuparvi, a meno che non si tratti del vostro scalpello da ghiaccio, naturalmente.

Lui non raccolse l'insinuazione.

– E chi parla? – s'informo, in tono soave.

– Hicks – risposi. – George W. Hicks. Me ne sono appena andato di la. Non voglio trovarmi immischiato in certe faccende. Solo ho pensato, quando Clausen ha cercato di telefonarvi… prima che morisse, beninteso,… ho pensato che la cosa potesse interessarvi.

– Mi duole, signor Hicks – disse la voce del dottor Lagardie. – Ma io non conosco il signor Clausen. Non l'ho mai sentito nominare e non ho mai avuto niente a che fare, con lui. Eppure ho una memoria eccellente per i nomi.

– Be', e una gran bella cosa – affermai. – E ora non avrete piu occasione di fare la sua conoscenza. Pero puo darsi che qualcuno desideri sapere perche aveva tentato di telefonarvi… a meno che io mi dimentichi di passare l'informazione a chi di dovere.

Vi fu una pausa di silenzio assoluto. Poi il dottor Lagardie disse:

– Non riesco a trovare un commento da fare, a questo proposito.

– Nemmeno io – replicai. – Puo darsi che vi telefoni ancora. Ma non mi fraintendete, dottor Lagardie. Non sto cercando di ricattarvi. Sono solo un pover'uomo un po' confuso, che ha bisogno di un amico. Avevo pensato che un dottore… come un prete…

– Sono a vostra completa disposizione – dichiaro Lagardie. – Prego, consultatemi pure liberamente.

– Grazie mille, dottore – risposi con slancio. – Tante, tante, tante grazie.

E deposi il ricevitore. Se il dottor Vincent Lagardie aveva la coscienza pulita ora avrebbe telefonato alla centrale di Polizia di Bay City e avrebbe raccontato tutto. Se non avesse telefonato alla polizia voleva dire che non aveva la coscienza pulita. Il che poteva essere utile a sapersi. Come poteva non esserlo.

CAPITOLO VII

Il telefono, sulla mia scrivania, squillo alle quattro in punto.

– Avete trovato Orrin, signor Marlowe?

– Non ancora. Dove siete?

– Ma… nel drugstore vicino al…

– Venite su, e piantatela di fare la Mata Hari.

– Possibile che non riusciate mai ad essere educato? – scatto lei.

Deposi il ricevitore e mi versai un bicchierino di whisky per prepararmi i nervi per il colloquio. Stavo ancora centellinandolo quando udii i passi della ragazza ticchettare lungo il corridoio. Mi alzai e andai ad aprirle la porta.

– Venite per di qua, e fuggite la folla urlante – invitai.

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