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RAYMOND CHANDLER: TROPPO TARDI

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La ragazza sorrise.

– Le strade del mondo sono lastricate di mariti scartati.

– Verita sacrosanta. Se ne trovano dovunque. Persino a Bay City.

Non ottenni nulla. Lei si strinse educatamente nelle spalle.

– Non ne dubito.

– Forse c'e persino qualche laureato alla Sorbonne. Forse si spreca a esercitare in una cittadina miserabile… e aspetta e spera. Questa e una coincidenza che sarei disposto ad accettare. Ha un tocco di poesia.

Il sorriso cortese rimase fermo sul bel viso di Dolores.

– Siamo diversi, ormai – disse. – Siamo mille miglia lontano. Ed eravamo cosi uniti, un tempo.

Abbassai gli occhi e mi guardai le dita. La testa mi doleva. Non ero nemmeno il quaranta per cento di quel che avrei dovuto essere. La mia ospite mi porse una scatola di cristallo piena di sigarette ed io mi servii. Lei ne infilo una, per se, nelle mollette d'oro. L'aveva presa da un'altra scatola.

– Vorrei provarne una delle vostre – dissi.

– Ma il tabacco messicano brucia la gola, alla maggior parte della gente.

– Fin che e tabacco… – mormorai, osservandola attentamente. Poi mi decisi. – No, avete ragione, non mi piacerebbe.

– Che cosa significano, queste battute d'aspetto? – mi domando con aria cauta.

– L'impiegato ricevitore fuma marijuana.

Annui, lentamente.

– L'ho avvertito di stare attento. Parecchie volte.

– Amigo – dissi.

– Che?

– Voi non vi servite molto dello spagnolo, vero? Forse non ne sapete molto, di spagnolo. "Amigo" e cosi frusto che cade in pezzi.

– Non vogliamo ricominciare come ieri nel pomeriggio, spero – disse lentamente.

– No, Di messicano avete ben poco: una dozzina di parole e un modo preciso calcolato di parlare, come chi si serve d'una lingua che ha dovuto studiare. Evitate rigorosamente le abbreviazioni ad esempio. Cose di questo genere.

Non rispose. Fumava elegantemente la sigaretta e sorrideva.

– Sono in un brutto guaio, con la polizia – continuai. – A quanto pare la signorina Weld ha avuto il buon senso di dire tutto al suo principale…

Jules Oppenheimer… e lui non l'ha lasciata colare a picco. Le ha procurato Lee Farrell. Non credo che alla polizia pensino che Mavis Weld abbia ucciso Steelgrave. Pero pensano che io sappia chi e stato e non mi vogliono piu bene.

– E lo sapete davvero, amigo?

– Ve l'ho detto al telefono, che lo sapevo.

Mi guardo dritto in faccia, per un lungo istante.

– Ero presente. – La sua voce aveva un tono composto e grave, per una volta tanto.

– E stato molto curioso, davvero. La piccola aveva voglia di visitare una casa da gioco. Non aveva mai visto niente di simile e i giornali ne avevano parlato…

– Abitava qui, con voi?

– Non nel mio appartamento, amigo. In una stanza che avevo preso per lei.

– Non c'e da meravigliarsi che non abbia voluto dirmi dove stava – osservai. – Comunque immagino che non abbiate avuto tempo per insegnarle il mestiere…

Corrugo lievemente la fronte e abbozzo un gesto vago con la sigaretta bruna. Guardai il fumo scrivere una parola misteriosa, nell'aria immobile.

– Vi prego. Come vi dicevo, la piccola desiderava andare in quella casa. Cosi io ho telefonato, e lui ha detto che andassimo pure. Quando siamo arrivate lui era ubriaco. Non l'avevo mai visto prima in quello stato. Si e messo a ridere, ha passato un braccio intorno alla vita della piccola Orfamay e le ha detto che aveva guadagnato bene i suoi quattrini. Poi ha aggiunto che aveva qualcosa da darle e ha tirato fuori di tasca un portafogli avvolto in un pezzo di stoffa. Quando la piccola l'ha svolto, ha visto che c'era un buco, nel centro del portafogli. E il buco era sporco di sangue.

– Questo non e stato carino – dichiarai. – Non lo definirei nemmeno caratteristico.

– Voi non lo conoscevate.

– Giusto. Continuate.

– La piccola Orfamay ha preso il portafogli e l'ha fissato un po', poi si e messa a fissare Steelgrave con un faccino bianco e immobile. Ha ringraziato, ha aperto la borsa per riporre il portafogli, o almeno io credevo… e stato molto curioso.

– Una cannonata – dichiarai. – Mi avrebbe fatto restare col fiato sospeso. -…ma invece, ha tirato fuori una rivoltella, dalla borsa. Era una rivoltella che lui aveva regalato a Mavis, mi pare. Era uguale e…

– So benissimo com'era – dichiarai. – Ci ho giocato un po'.

– Poi la piccola si e voltata di scatto e l'ha freddato, con un colpo solo.

E stato molto drammatico.

Si porto la sigaretta bruna alla bocca e mi sorrise. Un sorriso strano, distante, come se stesse pensando a una cosa lontana.

– E voi le avete fatto confessare tutto a Mavis Weld – dissi.

La ragazza annui.

– Mavis non avrebbe creduto a voi, immagino.

– Non volevo correre rischi.

– Non siete stata voi a dare i mille dollari a Orfamay, vero, cara? Per farle raccontare quella storia? E una ragazzina disposta a molte cose, per mille dollari.

– Non desidero rispondere a certe insinuazioni – replico Dolores con dignita.

– No. Quindi ieri sera quando mi avete trascinato lassu di gran carriera sapevate gia che lui era morto e che non c'era niente da temere. Ragion per cui tutta quella scena con la rivoltella… era soltanto una scena.

– Non mi piace dover recitare la parte del Destino – sussurro. – La situazione era intricata e io sapevo che in un modo o nell'altro ne avreste tirato fuori Mavis. Nessuno ci sarebbe riuscito, all'infuori di voi. Mavis era decisa ad addossarsi tutta la colpa.

– Avrei bisogno di un cicchetto – borbottai. – Sono sfinito.

Balzo in piedi e si diresse al mobile bar. Poco dopo ritorno con due enormi bicchieri di whisky e acqua. Me ne porse uno e mi osservo sopra l'orlo del suo, mentre assaggiavo il liquore. Era magnifico. Ne bevvi qualche sorso. Lei si lascio cadere di nuovo sulla sua poltrona e prese le mollette d'oro.

– L'ho cacciata via – ripresi, finalmente. – Sto parlando di Mavis. Mi aveva detto che l'aveva ucciso. Aveva in tasca la pistola. La gemella di quella che avevate data a me. Probabilmente non vi eravate accorta che la vostra aveva sparato.

– Me ne intendo pochissimo di armi – rispose sommessamente.

– Sicuro. Ho contato i proiettili e, posto che all'inizio il caricatore fosse stato pieno, mancavano due colpi. Quest era stato ucciso con due colpi di automatica, calibro trentadue. Lo stesso calibro. Avevo raccolto i bossoli, nel salottino, laggiu.

– Laggiu dove, amigo?

Stava cominciando a darmi sui nervi. Troppi "amigo". Assolutamente troppi.

– Naturalmente non potevo esser certo che si trattasse della stessa arma, ma mi e parso che valesse la pena di tentare. Se non altro per confondere un po' le cose e dare un minimo di possibilita di cavarsela a Mavis.

Cosi l'ho appioppata al morto, e ho deposto la sua rivoltella sotto il banco del bar. La sua era una trentotto, nera. Molto piu in carattere. Anche su un'impugnatura ruvida si possono lasciare tracce, ma con un calcio di avorio, si e quasi certi di lasciare una bella serie di impronte sul lato sinistro.

Steelgrave non avrebbe mai portato un'arma di quel genere.

I suoi occhi erano tondi, vuoti e perplessi.

– Temo di non riuscire a seguirvi – bisbiglio.

– E se Steelgrave avesse ucciso qualcuno l'avrebbe ucciso del tutto, e si sarebbe assicurato che fosse morto. Il ragazzo si e rialzato ed e andato un po' in giro.

Nei suoi occhi brillo un lampo, e subito si spense.

– Mi piacerebbe poter dire che ha parlato un po' – continuai. – Ma non l'ha fatto. Aveva i polmoni pieni di sangue. E morto ai miei piedi.

Laggiu.

– Ma laggiu dove? Non mi avete detto dove e accaduta questa..

– Devo proprio?

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