RAYMOND CHANDLER - TROPPO TARDI

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– Conoscenza, signorina Weld… non un semplice sospetto.

La ragazza affronto Endicott con aria decisa.

– No.

Il Procuratore distrettuale si alzo, e fece un inchino.

– Questo e tutto, per il momento, signorina Weld. Grazie per esser venuta.

Farrel e Mavis Weld si alzarono. Io non mi mossi. L'avvocato domando:

– Terrete una conferenza stampa?

– Credo che mi convenga lasciare l'incarico a voi, signor Farrell. Siete sempre stato molto abile nel manovrare i giornalisti.

Farrell annui e mosse verso la porta. Se ne andarono. Lei non mi guardo nemmeno, uscendo, ma qualcosa mi sfioro lievemente il collo. Forse per caso. La sua manica.

Endicott guardo la porta chiudersi. Poi si volto a guardare me.

– Farrell rappresenta anche voi? Mi sono dimenticato di chiederglielo.

– Non posso permettermi una spesa simile. Quindi sono vulnerabile.

Il Procuratore sorrise forzatamente.

– Prima permetto a quei due di impaniarmi con tutti i trucchi possibili, e adesso mi salvo la faccia maltrattandovi, eh?

– Non potrei impedirvelo.

– Non siete precisamente molto orgoglioso di come avete condotto le cose, vero, Marlowe?

– Sono partito col piede sbagliato. E dopo ho dovuto barcamenarmi come potevo.

– Non credete di avere degli obblighi verso la legge?

– Lo crederei… se la legge fosse come voi.

Lui si passo le lunghe dita pallide fra i capelli neri, arruffati.

– Potrei rispondervi molte cose, a questo proposito – disse. – Ma stringi stringi il senso sarebbe uno solo. Il cittadino e la legge. In questo paese non siamo ancora riusciti a capirlo. Pensiamo alla legge come a un nemico. Abbiamo la fobia dei questurini.

– Ci vorra molta buona volonta per cambiare questo stato di cose – affermai. – Da una parte e dall'altra.

Endicott si chino in avanti e premette il pulsante di un campanello.

– E vero – disse tranquillamente. – Ma bisogna pure che qualcuno cominci. Grazie per essere venuto.

Mentre me ne andavo, da un'altra porta entro la sua segretaria con un grosso raccoglitore in mano.

CAPITOLO XXXII

Dopo che mi fui raso ed ebbi fatto il bis della prima colazione cominciai a sentirmi un po' meno simile alla cassetta di trucioli dove la gatta aveva fatto i gattini. Andai in ufficio, apersi la porta e respirai l'aria viziata e l'odore della polvere. Apersi la finestra e mi riempii i polmoni dell'odore di fritto del caffe vicino. Mi sedetti alla scrivania e sentii il ruvido della polvere sotto le dita. Mi appoggiai allo schienale della poltroncina e mi guardai intorno.

– Salve – dissi.

Parlavo ai mobili dell'ufficio, ai tre stipi verdi d'archivio, al tappeto liso, alla poltrona per i clienti, di fronte a me, alla boccia del lampadario, sul soffitto, dove giacevano tre falene morte, da almeno sei mesi. Parlavo al vetro smerigliato, ai serramenti tetri, allo stiloforo, sulla scrivania, allo stanco, stanchissimo telefono. Parlavo alle scaglie dell'alligatore, un alligatore che si chiamava Marlowe, investigatore privato della nostra piccola comunita operosa. Non un cervellone, ma ragionevole in fatto di prezzi.

Cominciava a buon mercato e finiva piu a buon mercato ancora.

Affondai una mano nell'ultimo cassetto e posai la bottiglia di whisky Old Forrester sul piano della scrivania. Era ancora piena per un terzo. Old Forrester. Ma di un po', chi te l'ha data, buon uomo! E roba di prima qualita. Roba di classe. Troppo per te. Dev'essere stato un cliente. Ho avuto un cliente, una volta.

E cosi mi misi a pensare alla ragazzina, e forse ho i pensieri piu magnetici di quanto non creda. Il telefono squillo, e la strana vocetta precisa mi apostrofo esattamente nel tono della prima volta.

– Sono in quella cabina telefonica – disse. – Se siete solo vengo su.

– Accomodatevi.

– Immagino che sarete furioso con me.

– Non sono furioso con nessuno. Sono solo stanco.

– Oh, si che lo siete – affermo la vocina compunta. – Ma vengo su ugualmente. Non me ne importa, se siete in collera.

E attacco il ricevitore. Tolsi il tappo alla bottiglia di Old Forrester e annusai il liquore. Rabbrividii. Questo defini la questione. Quando non potevo sentir l'odore del whisky senza rabbrividire, bere era fuori questione.

Riposi la bottiglia e andai a girare la chiave della porta di comunicazione. Poi la sentii arrivare, frettolosa, lungo il corridoio. Avrei riconosciuto dovunque quei passetti brevi, contenuti. Apersi la porta e lei entro e mi lancio un'occhiata timida.

Era sparito tutto. Gli occhiali obliqui, la nuova pettinatura, il cappellino alla moda, il profumo e l'aria d'esser tirata a pomice. I gioiellini falsi, il rossetto sulle labbra, tutto. Non c'era piu nulla. Era tornata esattamente al punto di partenza. Lo stesso abito fatto marrone, la stessa borsa quadra, gli stessi occhiali senza montatura, lo stesso sorrisino manierato, gretto, provinciale.

– Sono io – disse. – Torno a casa.

Mi segui, nel mio pensatoio privato, si sedette con affettato decoro; io mi sedetti come capitava e la fissai.

– Tornate a Manhattan – dissi. – Mi meraviglio che ve l'abbiano permesso.

– Puo darsi che debba venire qui ancora.

– Potete affrontare la spesa?

Diede una risatina breve, vagamente imbarazzata.

– Non mi costera nulla. – Alzo una mano e sfioro gli occhiali senza montatura. – Questi mi sembrano estranei ora – mi confido. – Gli altri mi piacevano. Ma il dottor Zugsmith non li approverebbe, assolutamente.

– Depose la borsa sulla scrivania e traccio una riga lungo il piano di vetro con la punta d'un dito. Anche questo, era come la prima volta.

– Non riesco a ricordare se vi ho reso i vostri venti dollari o no – dissi.

– Ce li siamo passati, avanti e indietro, tante volte che ho perso il conto.

– Oh, me li avete resi. Grazie.

– Sicura?

– Non mi sbaglio mai, coi soldi. State bene? Non vi hanno picchiato?

– Alla polizia? No. E mi hanno trattato con una durezza infinitamente inferiore al normale.

Lei mostro un'innocente sorpresa. Poi le brillarono gli occhi.

– Dovete essere terribilmente coraggioso.

– E tutta questione di fortuna – affermai.

Presi una matita e ne tastai la punta. Era molto acuminata, ottima per chiunque desiderasse scrivere qualcosa. Io non desideravo scrivere niente.

Allungai il braccio, feci passare la matita nella cinghia della borsa della ragazza e la tirai verso di me.

– Non toccate la mia borsetta – scatto lei, e fece per afferrarla.

Sorrisi e misi l'oggetto fuori dalla sua portata.

– Va bene. Ma e una borsettina cosi carina. Vi somiglia tanto.

Lei si appoggio allo schienale della poltrona. C'era una luce vaga di preoccupazione, nei suoi occhi, ma le labbra sorridevano.

– Davvero mi giudicate carina… Philip? Sono un tipo cosi comune…

– Non direi.

– Davvero?

– Perdiana, no. Per me, siete una delle ragazze piu straordinarie che abbia mai conosciuto.

Afferrai la borsetta per la cinghia e l'appesi a un angolo della scrivania.

Orfamay vi incollo gli occhi sopra, immediatamente, ma si umetto le labbra e continuo a sorridermi.

– Scommetto che avete conosciuto una terribile quantita di ragazze.

Perche… – abbasso gli occhi e di nuovo traccio una riga sulla scrivania.

– Come mai non vi siete sposato?

Pensai a tutte le risposte che le potevo dare. Pensai a tutte le donne che mi erano piaciute tanto da farmi desiderare il matrimonio. No, non a tutte.

Ma ad alcune di loro.

– Credo di sapere la risposta – dichiarai. – Ma a voi parra stupida e sdolcinata. Le donne che forse sposerei volentieri… be' non ho quel che ci vuole, per loro. E le altre non e necessario sposarle. E sufficiente sedurle… sempre che non vi battano in velocita e non siano loro a sedurre voi.

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