Tana French - Nel Bosco

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Ritengo innanzitutto che il titolo "Nel bosco", ingegnosa pensata della mente della French, sia già di per se stesso deliberatamente inquietante. Nonostante ciò vi posso garantire che anche le più oscene atrocità disegnate dalla vostra mente a supporto dell'enigmatico titolo, verranno oscurate dai fatti nudi e crudi narrati dall'autrice con dovizia di particolari. Tre bambini: Jamie Elinor Rowan, Adam Robert Ryan e Peter Joseph Savage, tutti di dodici anni appena, il 14 agosto 1984 hanno scavalcato, come d'abitudine, il muro che separa la zona abitata di Knocknaree, contea di Dublino, per andare a giocare nel fitto bosco circostante. Quell'intricata ragnatela di tronchi, rami, siepi e quant'altro non li spaventava in quanto avevano fatto di quel bosco il loro rifugio. Nessuno conosceva i suoi segreti come quei tre vivaci adolescenti. O, perlomeno, così si credeva. Infatti, in quel maledetto giorno, solo Adam uscì dal bosco, scioccato, con tracce di sangue, lacerazioni e neanche il minimo ricordo di ciò che era accaduto a lui e ai suoi amici, inspiegabilmente scomparsi. Molti anni dopo questo inesplicabile fatto il detective Rob Ryan viene assegnato ad un caso di omicidio avvenuto a…Knocknaree e da quel momento, un po' per volta, è costretto a rivivere gli sconvolgenti avvenimenti di vent'anni prima. "Nel bosco" è il primo romanzo di Tana French e si può affermare, oltre ogni ragionevole dubbio, che il risultato da lei ottenuto è stato ottimo. Ci troviamo di fronte ad un thriller psicologico molto ben impostato in cui l'autrice, oltre a dedicarsi alla descrizione minuziosa di ogni singolo personaggio presentre nella storia, ha la lodevole capacità di catapultarti, senza che tu possa effettivamente rendertene conto, nella mente del protagonista. Sarete schiacciati dalle stesse paure che opprimono il detective Rob, proverete la medesima angoscia tutte le volte che l'autrice vi spingerà fino al limitare del bosco e verrete tormentati da turbini di immagini confuse e irreali. Non è sicuramente un processo facile quello che porta un essere umano a entrare nella mente di un suo simile, sia esso reale o fittizio, trovo perciò degna di nota l'abilità della French nell'ottenere tale risultato dai suoi lettori. A seguito di un inizio un po' lento perchè dedicato alla descrizione di luoghi e personaggi a noi estranei, il libro intraprenderà la sua inesorabile discesa verso la soluzione del mistero e voi non riuscirete più a staccare gli occhi dalle sue pagine. Vi assorbirà completamente. Alla fine entrerete anche voi "nel bosco".

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«Buongiorno» esordii. La maggior parte di loro mormorò qualcosa; lo "Scultore" pronunciò con voce alta e stentorea: «Buon pomeriggio!». Tecnicamente era corretto, ma mi chiesi su quale delle ragazze stesse cercando di fare colpo. «Sono il detective Ryan, e questo è il detective Maddox. Come già sapete, questa mattina, qui nel sito, è stato rinvenuto il corpo di una ragazzina.»

Uno dei ragazzi espirò forte l'aria, poi trattenne di nuovo il respiro. Era in un angolo, stretto tra due ragazze che sembravano proteggerlo, e stringeva nervosamente una grossa tazza fumante tra le mani; aveva i capelli corti, marroni e ricci, e una faccia dolce e onesta, con le lentiggini, da componente di una boy-band. Ero quasi sicuro che quello fosse Damien Donnelly; gli altri apparivano mogi mogi (tranne lo Scultore) ma non traumatizzati, lui invece, sotto le lentiggini, era pallido e stringeva la tazza con troppa forza.

«Dovremo parlare con ciascuno di voi» annunciai. «Fino ad allora, non lasciate il sito. Ci vorrà un po' prima che finiamo con tutti, quindi abbiate pazienza se vi toccherà restare più a lungo.»

«Ma siamo sospettati o qualcosa del genere?» chiese lo Scultore.

«No» risposi, «ma dobbiamo scoprire se avete informazioni di una qualche rilevanza.»

«Ahhh» fece lui, deluso, e ricadde sulla sedia. Cominciò a sciogliere un riquadro di cioccolata sul CD poi colse lo sguardo di Cassie e mise via l'accendino. Lo invidiavo: ho sempre voluto essere una di quelle persone che riescono a prendere qualsiasi cosa, e più è raccapricciante meglio è, come una gran figata di avventura.

«Un'altra cosa» aggiunsi. «È facile che tra poco arrivino i giornalisti. Non parlate con loro, dico sul serio. Dare informazioni anche apparentemente insignificanti potrebbe danneggiare l'indagine. Vi lasciamo i nostri biglietti da visita nel caso in cui vi venisse in mente qualcosa che a vostro parere dovremmo sapere. In qualsiasi momento. Domande?»

«E se ci offrono… che so… milioni?» domandò lo Scultore.

La baracca dei reperti era meno imponente di quanto avessi pensato. Nonostante ciò che aveva detto Mark a proposito del materiale che era stato trafugato, forse sulla scia di Indiana Jones dovevo essermi creato un'immagine mentale di coppe d'oro, scheletri e pezzi di mosaico. In realtà, quello che vi trovammo furono un paio di sedie, un'ampia scrivania ingombra di carta da disegno e una quantità indescrivibile di quelli che sembravano cocci di terraglie infilati in sacchetti di plastica e ammucchiati su scaffalature di metallo traforato tipo "fai-da-te".

«Reperti» spiegò Hunt, indicando con la mano gli scaffali. «Immagino… be', magari in un altro momento. Ci sono gettoni bellissimi e ganci per abiti.»

«Li vedremo volentieri un altro giorno, dottor Hunt» lo anticipai. «Tra una decina di minuti ci manda Damien Donnelly?»

«Damien» ripeté Hunt, e uscì. Cassie chiuse la porta alle sue spalle. Con un "Come diavolo fa a gestire un intero scavo archeologico?" cominciai a sgomberare il tavolo dai disegni: erano schizzi molto belli, realizzati a matita con un tratto leggero, e ritraevano una vecchia moneta, da varie angolature. L'oggetto reale dei disegni, piegata da un lato e incrostata di terriccio, giaceva in mezzo al tavolo all'interno di un sacchetto di plastica trasparente, di quelli per alimenti. Misi il tutto sopra uno schedario.

«Avvalendosi di gente come quel Mark» rispose Cassie. «Scommetto che è organizzatissimo. Mi dicevi, della molletta per capelli?»

Distesi gli angoli dei disegni. «Credo che Jamie Rowan ne portasse una che corrisponde alla descrizione.»

«Ah» disse. «Me lo stavo chiedendo. È nel fascicolo, lo sai o te lo ricordi e basta?»

«Che differenza fa?» Mi venne fuori con più arroganza di quanto non avessi voluto.

«Be', se c'è un legame non è che possiamo proprio tenercelo per noi» ragionò Cassie. «Per esempio, se dobbiamo chiedere a Sophie di eseguire un riscontro del sangue con i campioni dell'84 dovremo anche dirle perché. Le cose sarebbero molto più facili da spiegare se il legame fosse lì nelle carte.»

«Sono quasi certo che ci sia» tagliai corto. Il tavolo ondeggiò; Cassie trovò un foglio bianco e lo piegò più volte per stabilizzarne una delle gambe. «Farò un controllo incrociato stasera. Fino ad allora non dire niente a Sophie, okay?»

«Certo» disse Cassie. «E se non c'è, troveremo un modo.» Testò nuovamente il tavolo: meglio. «Rob, sei a tuo agio con il caso?»

Non risposi. Dalla finestra, vidi i ragazzi dell'obitorio che avvolgevano il corpo nella plastica e Sophie che, a gesti, indicava cosa fare. Non faticarono molto per sollevare la barella – sembrava quasi senza peso – e trasportarla verso il furgone in attesa. Il vento fece vibrare il vetro contro la mia faccia. Mi girai di scatto. D'un tratto, con tutta la forza che avevo dentro, avrei voluto gridare: "Chiudete quella cazzo di bocca" o "Vaffanculo questo caso, io mollo"; qualsiasi cosa, qualcosa di sconsiderato e irragionevole e drammatico. Ma Cassie se ne stava lì appoggiata al tavolo e aspettava, osservandomi con i suoi occhi marroni e fermi, e io ho sempre avuto un ottimo autocontrollo, il dono di saper sempre scegliere tra sdrammatizzazione e irrevocabile.

«Nessun problema» risposi. «Dammi un calcio se divento troppo lunatico.»

«Con piacere» disse Cassie con un largo sorriso. «Dio, però… guarda tutta questa roba… Spero che avremo la possibilità di dare un'occhiata da vicino. Quando ero piccola volevo diventare archeologa, te l'avevo mai detto?»

«Solo un milione di volte» risposi. Una o due, in realtà.

«Allora sei fortunato ad avere la memoria di un pesce rosso, no? Scavavo sempre nel giardino sul retro, ma l'unica cosa che abbia mai trovato è stata una paperetta di ceramica col becco rotto.»

«Forse sarei dovuto essere io quello a scavare sul retro» dissi. Di norma, mi sarei lasciato andare a un commento sull'occasione persa da tutti i poliziotti di diventare archeologi, ma mi sentivo ancora troppo irrequieto e disorientato per qualcuno dei nostri abituali scambi di battute. Avrei finito solo per dire cose sbagliate. «Avrei potuto avere la collezione di pezzetti di terraglie più grande del mondo.»

«Ecco, questo potrebbe essere un buon argomento per chattare on-line» commentò Cassie, ed estrasse il blocco.

Damien entrò con aria goffa. Si portava dietro una sedia di plastica e nell'altra mano stringeva ancora la tazza con il tè, lo sentivo dall'odore. «Ho portato questa…» disse e usò maldestramente la mano con la tazza per indicare la sua sedia e le due sulle quali stavamo seduti noi. «Il dottor Hunt ha detto che volevate vedermi?»

«S-s-sì» confermò Cassie. «Ti direi di trovarti da sedere, ma vedo che ci hai pensato da solo.»

Gli ci volle un momento, poi ebbe una risatina, controllando i nostri volti per capire se andava bene. Si sedette, fece per appoggiare la tazza sul tavolo poi cambiò idea, se la tenne in grembo e ci guardò con i suoi occhioni azzurri ubbidienti. Era decisamente materiale per Cassie. Aveva proprio l'aspetto di uno che è abituato a lasciare che siano le donne a prendersi cura di lui; era già abbastanza scosso ed essere interrogato da un uomo l'avrebbe sconvolto a tal punto che non ci avremmo più tirato fuori nulla di utile. Senza dare nell'occhio, tirai fuori una penna.

«Senti» cominciò con tono suadente Cassie, «so che lo shock è stato forte per te. Mettici il tempo che ci vuole e spiegaci tutto dall'inizio, per bene. Parti da quello che stavi facendo stamattina, prima di andare alla pietra.»

Damien inspirò profondamente e si passò la lingua sulle labbra. «Eravamo… ehm… stavamo lavorando al canale di scolo medievale. Mark voleva vedere se riuscivamo a seguire il percorso un po' più giù lungo il sito. Vedete, ora noi stiamo facendo le ultime cosette, perché ormai lo scavo sta per finire…»

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