Emilio Salgari - I minatori dell' Alaska

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– Vedo che vi preparate a lasciare questo posto.

– È vero, – rispose Bennie. – Bisogna premunirsi contro un nuovo attacco da parte degli indiani.

– Dove andate?

– Sulle rive occidentali del lago, per ora.

– Passerete accanto al nostro carro?

– Vi preme?…

– C’è là una cassa che gli indiani non hanno forse potuto sfondare e che potrebbe più tardi essere per noi, e anche per voi, d’immensa utilità, nel caso vi decideste a seguirci.

– Che cosa diavolo può contenere?… – chiese Bennie. – Ho sentito vostro zio parlare di tesori favolosi.

– Che cosa ci sia dentro, lo ignoro, ma mio zio vi pregherebbe di non abbandonarla nella prateria.

– Se lo desidera, passeremo vicino al carro e cercheremo di caricarla sul nostro. Come sta vostro zio?…

– Si lamenta di acuti dolori, però è un uomo forte, di una robustezza eccezionale, e mi ha detto che in caso di pericolo potrete contare su di lui.

– Ecco una buona promessa, giovanotto.

– Corriamo qualche pericolo?

– Lo temo.

– Disponete della mia vita.

– No, giovanotto, cercheremo di risparmiarla, – disse Bennie, ridendo. – Corna di bisonte!… Valeva forse la pena di aver giocato così bene Nube Rossa e Coda Screziata per poi farvi riprendere e aggiungervi anche le nostre capigliature?… Salite a cassetta e guidate i cavalli del carro, mentre io e Back ci occuperemo del bestiame, ma… ditemi. come vi chiamate?

– Armando Falcone.

– Benissimo, Armando, a posto e affrettiamoci a partire.

A un fischio del cow-boy i sei cavalli si misero in cammino trascinando il carro, mentre Back, armato di un lungo scudiscio, la cui correggia non misurava meno di cinque metri, sferzava vigorosamente il bestiame cercando di spingerlo dietro al pesante carro. Bennie, quando vide tutti in movimento, passò alla testa e galoppò per parecchie centinaia di metri, per esplorare le erbe della prateria, e per poter evitare il pericolo che subdorava. La luna era allora tramontata, e una fitta oscurità era piombata sull’immensa pianura. In cielo scintillavano solo le stelle, però la loro luce, velata da una leggera nebbia, non era sufficiente a rompere le tenebre. Bennie, con gli occhi bene aperti e gli orecchi tesi, ascoltava attentamente e guardava dovunque, seguendo con lo sguardo le capricciose linee di fuoco delle lucciole, e porgendo ascolto alle strida monotone dei grilli in festa, alle lontane urla dei coyote , ai muggiti del bestiame, – il quale pareva niente affatto soddisfatto di quella marcia improvvisa – e al cigolare delle ruote del pesante furgone.

Come era sua abitudine, teneva in sella il fucile, anzi, non contento, aveva alzata la fascia per mettere allo scoperto la cartucciera, per essere più pronto a ricaricare l’arma. Mentre esplorava il terreno, il carro, tirato da sei cavalli guidati dal giovane Armando, avanzava lentamente attraverso la prateria, oscillando ai due lati a causa dell’ineguaglianza del terreno, e dietro camminava confusamente il bestiame, aizzato dalle frustate di Back. Di tratto in tratto, qualche giovenca capricciosa, o qualche vitello, usciva dal gruppo mettendosi a correre tra le erbe, ma il messicano, che non li perdeva di vista, ben presto era loro addosso e, con una frustata sapientemente somministrata, li costringeva a rientrare nelle file più che in fretta. Quando Bennie potè distinguere il carro degli emigranti che giaceva ancora allo stesso posto, tornò indietro al galoppo, dicendo ad Armando:

– Ci siamo; è pesante la cassa?…

– Credo – rispose il giovanotto.

– Credete che sia proprio necessaria a vostro zio? Mi spiacerebbe perdere del tempo, specialmente in questo momento.

– Mi ha raccomandato di non abbandonarla.

– Che contenga qualche tesoro?

– Ne dubito; ma se mio zio ci tiene tanto a non lasciarla nella prateria, avrà le sue buoni ragioni.

– Così deve essere, ma… ditemi, voi non siete americani.

– No, signore.

– Me ne accorgo dal modo con cui storpiate la lingua inglese – disse il cow-boy , ridendo.

– Siamo emigranti italiani.

– Ah!… Italiani?… E da dove venivate?…

– Da Blattleford, dove mio zio Guglielmo era direttore d’una officina meccanica che poi fu distrutta da un incendio.

– E dove andavate?…

– Nell’Alaska.

– Corna di bisonte!.... Avete detto?…

– Nell’Alaska.

– Quella regione è ben lontana, mio caro!… Corna d’antilope!… Voi avete avuto il coraggio d’intraprendere un simile viaggio!… Non sapete che ci vogliono almeno due mesi per arrivare alle frontiere di quel territorio?…

– Lo sapevamo e contavamo di arrivare verso la metà di giugno, salvo imprevisti, ossia al principio della buona stagione. Siamo ai primi d’aprile, dunque vedete…

– Silenzio, giovanotto!…

– Che cosa avete?…

– Corna di bisonte!… Ecco un’altra banda di lupi che fugge!… Chi può aver spaventato quei predoni? Uhm!… Ecco un mistero che mi mette addosso delle serie inquietudini. Giovanotto, occupatevi della cassa e non dimenticatevi, al primo sparo, di tagliare le corregge ai sei cavalli e d’inforcarne uno voi e uno vostro zio.

– Contate su di me.

Bennie lanciò il mustano al galoppo, dirigendosi verso il carro degli emigranti, e oltrepassatolo, si arrestò al margine del bosco, mettendosi in ascolto. Rassicurato dal silenzio che vi regnava, si inoltrò lentamente scrutando le macchie vicine. Aveva appena fatti pochi passi, quando gli sembrò di udire uno smuovere di foglie secche. S’arrestò di colpo puntando il fucile, però ogni rumore era cessato. Rimase alcuni istanti immobile, sapendo quanto gli indiani siano pazienti all’agguato, ma senza alcun risultato.

– Forse sarà stato qualche tacchino selvatico – mormorò. – Bah!… Non commetterò l’imprudenza di avventurarmi in questo bosco e mi terrò nella prateria finché spunta l’alba.

Tornò indietro e vide Back e il giovane Armando che si affaticavano a trascinare giù dal carro abbandonato una cassa di quercia lunga un metro, che pareva piuttosto pesante.

– È quella? – chiese.

– Sì, – rispose Armando.

– Potete portarla?

– Il giovanotto è forte, – rispose il messicano. – Sorveglia i dintorni e lascia fare a noi.

Mentre trasportavano la cassa, Bennie era tornato nel bosco, curioso di sapere se era stato un animale o un uomo a far muovere le foglie. Era assai inquieto e tanto più lo crucciava l’assenza completa dei coyote che aveva sempre trovati numerosi in quel luogo. Spronato da quei timori, era nuovamente avanzato sotto gli alberi, guardando attentamente a destra e a sinistra, fermandosi per ascoltare, quando gli sembrò di udire, in direzione del lago, un sordo rumore che pareva prodotto dal galoppo accelerato di un grosso numero di animali forniti di zoccoli.

– Toh!… – mormorò. – Che siano dei bisonti?…

– Balzò a terra, appoggiò un orecchio al suolo e ascoltò, trattenendo il respiro. Stava per alzarsi, quando il suo mustano si mise a nitrire.

– Sono cavalli!… – esclamò. – Caribou ha l’orecchio acuto e li ha sentiti.

Balzò in sella e spronò il mustano, mentre si guardava alle spalle con ansietà. Ormai aveva compreso di che cosa si trattava: i suoi timori si erano avverati. Attraversò la foresta come un fulmine, e appena vide i compagni, i quali stavano per riprendere la marcia, avendo caricata la cassa, gridò loro:

– Preparatevi a fuggire!… Tagliate le corregge e lasciate il carro!… Gli indiani stanno per piombarci addosso!…

Back si era precipitato verso i sei cavalli; mentre il giovane Armando era scivolato nel carro per avvertire suo zio del grave pericolo che correvano. Lo scotennato, nonostante i suoi dolori, si era affrettato a lasciare il suo giaciglio, dicendo con voce ferma:

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