Francesco Domenico - La battaglia di Benvenuto

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«Ma solo… Spenta la vita dell’anima, che è la speranza, la distruzione del corpo segue necessariamente, e con ambascia infinita. Or tutto sta nella scelta di sopportarla sparsa per lungo spazio di vita, o concentrarla in un punto, e morire. Guardimi il cielo da vituperare colui al quale la natura non ha dato la forza di vedersi brillare la punta del pugnale sul cuore, con lo stesso sorriso che altri accoglie l’aspetto della bellezza; – ma neppure chi lo può, sia biasimato. La via di colui che sta in cima al monte va alla pianura; altri stende il corpo sul pendio, e trasvola al termine del sentiero; altri vi perviene movendo il piede in brevi passi, tentando prima il luogo, ritraendosi, e nuovamente provando. Chi di costoro vuolsi lodare, chi riprendere? Nessuno: quegli fu ardito, questi cauto; – ma la via di ambedue tendeva alla pianura, ed ambedue la fornirono.»

«Rogiero, le vostre parole suonano come quelle del serpente.»

«Principessa, non so se fosse scellerata la favella del serpente, ma per certo fu vera.»

«No… scellerata, e fallace. Non promise egli di farci uguali a Dio? Infelici traditi! noi abbiamo imparato il duro mistero, che la nostra mente non è capace a comprendere. Atrocissima scienza! E dalla nudità della mente oseremo sollevare la fronte ribelle fino al Creatore? Ma di ciò basti, chè al cuore indurato riesce ributtare ogni argomento di salute, e lo spirito del male ragiona più sottile di quello del bene, il quale è piuttosto lieto della sua gioia che valente a dimostrarla. Poniamo che la morte deve soccorrere il disperato; ditemi, – sapete voi quale sia il momento in che la speranza vien meno?»

«Allorchè le cose presenti appaiono passate, e le passate presenti; allorchè divisando la tua via a oriente ti trovi a settentrione; allorchè gli occhi vedono senza lagrime le rovine del vulcano, e la gioia dei prati in primavera; allorchè la mano di tutti si alza contro di te, e la tua mano si solleva contro di tutti, e il saluto di tuo padre ti suona come maledizione, e quello dei figli come rampogna; e il labbro volendo profferire la preghiera, mormora bestemmie, e i cieli nessuna altra cosa presentano fuorchè una volta della terra che il caso ha fabbricato e che il caso può distruggere… ovvero l’eterna dimora del forte Signore del fulmine…»

«Santa Vergine! voi bestemmiate…»

«Io dico che allora la speranza è morta.»

«Cotesta è la vita del dannato; nè in così miser stato siete caduto, Rogiero. Le vostre parole scesero nell’anima mia, voi sarete consolato.»

«Che! Avreste voi intese tutte le mie parole? Oh! non vi badate, le profferii nel delirio… La ragion in quel punto era ebbra di dolore… Ma vivaddio! si addice a cortese donzella porgere orecchio alle parole del delirante?»

«Io trapassando nient’altro ho inteso proferire che amore…»

«Amore! sì… poichè lo intendeste… ma disperato amore… e non solo… e pure di per sè stesso potente a consumare ogni anima che ardisca nudrirlo. Un amore, di cui il pensiero è fremito, la conoscenza delitto, la rivelazione pena…»

«Ma questi sono gli attributi del misfatto!»

«Gli uomini lo direbbero tale, perocchè il delitto non compaia delitto, se non per essere perseguitato con le pene; egli però in sè stesso non è colpevole, ma alto…»

«Rogiero, il Trovatore canta spesso su l’arpa, che amore può molto più che noi non possiamo; non è la prima volta che la bellezza e il potere hanno coronato il valore; nè vi ha spazio sì ampio tra due amanti, che il buon cavaliere non possa percorrerlo con la spada.»

«Sia: ma nessuna dama mi ha cinto la spada: niun Barone mi ha stretto gli sproni; il ferro del mio Re non ha toccato la mia fronte; nè la sua voce mi ha ammesso all’ordine della cavalleria. – Io sono oscuro donzello che porto spada per ornamento, non per arnese di guerra: e la mia mano, usa a tenere la briglia del palafreno di femmina, non sa come si tratti la lancia.»

«Voi dite il falso, Rogiero;… pensate che non vi riconoscesse Yole nel torneamento della Sala verde il giorno della incoronazione di mio padre? Non portavate i miei colori, la grimpa celeste che smarrii il giorno innanzi? Volenterosa vi avrei posto sul capo il premio della vittoria, ma vostri furono soltanto gli applausi delle dame del torneo.»

«Fui… sì, fui; ma qual forza mortale poteva vincere l’uomo che portava la divisa della figlia di Manfredi? Ecco: ella mi posa sul cuore, ed ella sentirà i suoi palpiti, finchè palpiti saranno in lui. Io la porto meno per vincere le battaglie terrene, che quelle del nemico infernale: perdonimi Dio! ma io non la cambierei, con la grimpa miracolosa di Sant’Agata. Io combattei, e la idea di combattere per voi mi era sufficiente guiderdone; nè io avrei sperato giammai che a voi si manifestasse. Ora tanta mi recano esultanza le parole vostre, che ogni sconforto della passata mia vita mi fanno interamente obliare. – Perchè mai non mi degnaste di uno sguardo? Perchè tenevate sempre dimessa la fronte? – Il giorno appresso io toccai la vostra mano… ella tremava… Vi offendeste forse del mio ardimento di correre lancia ornato dei vostri colori co’ più prestanti Baroni del Regno?»

«A dama di alto sangue non tornò mai disgrato il trionfo della propria divisa. Ma se quivi convenne la vostra donna, e vi conobbe, il suo cuore certamente diè sangue in vedervi combattere per altra…»

«Oh! ella v’era presente; nè le spiacque…»

«V’era dunque!» gridò Yole ponendosi una mano alla fronte. «Oh! s’ella v’era e non le spiacque, voi siete amante mal corrisposto. Manifestate chi sia. Voi già foste mio cavaliere, e il dovere più prezioso di dama cortese sta nel prendersi cura dei giorni di colui che gli ha esposti per onorarla. – Parlate, Rogiero: io vi giuro sopra la fede del sangue di Svevia, per quanto sta in me, di farvi andare contento.»

«Spirito del male, oh! come tentano feroci le tue lusinghe su la terra!…»

«Che mormorate, Rogiero? Forse vi riesco importuna? Sprezzate le mie promesse? V’infastidisce la mia voce? Ah! vogliate perdonarmi, e attribuirlo al forte amore e soverchio, che porto per… tutti gl’infelici.»

Così parlava Yole, e queste ultime parole le uscivano appena distinte dalle labbra: mesta, abbattuta, già moveva il piede per abbandonare quel luogo, allorchè Rogiero, come uomo al quale il destino abbia rapito il senno, le andò incontro, e senza nessuno rispetto afferratala violentemente pel braccio, la trasse fuori dell’arco al raggio della luna; quivi, gettando per terra la celata, si scoperse la fronte, appose sopra quella per forza la mano di Yole; e poichè alquanto ve l’ebbe tenuta ferma, in tronche parole le disse: «Che parvi, Yole, della fronte mia?»

«Che tutti i Santi del Paradiso vi guardino!» rispose esitando la figlia di Manfredi; «ella è fredda come il marmo di un sepolcro.»

«Deve esserlo. – Odimi, divina fanciulla, odi la parola di tale che saprà punirsi di avere parlato. – Io spesso nel fervore delle mie preghiere, nella rabbia delle mie maladizioni, ho sollevato un voto, inesaudito fin qui. Dammi, gridai, nè sapeva a cui, dammi un momento di gioia, e poi lascerò la vita. – Ora, sia ventura, sia destino, questo momento è venuto; questo momento è passato; nè in me dura costanza da aspettarlo lungamente, e forse indarno, nel supplizio della vita. – Concedi uno sfogo di parole e di lagrime al moribondo; esse non ti offenderanno; e quando anche ti offendessero, la mia morte non basterà alla espiazione?…»

«Rogiero!…»

«Yole, sai tu da quanto tempo io porto la tua immagine nel cuore? – Ella vi stava prima del palpito… prima del nascimento; imperciocchè prima di vederti ti amassi. Nel cammino della vita ho mirato le belle figlie degli uomini, ed ho vôlto l’occhio alla terra accorgendomi che venivano da essa. Ho veduto l’altera nell’orgoglio delle sue forme, e non ho desiato. Ho veduto il rossore della timida amorosa, e non ho sospirato… e diceva a me stesso: cuore di bronzo. non v’è grazia di amore che possa commuoverti? – Ma una immagine di bellezza turbava pur troppo il mio spirito, nè io l’aveva tolta da sembianze mortali… forse mi si affacciò alla mente, allorchè l’anima ristorata dal riposo torna agli ufficii della vita, e i suoi sogni sono ridenti come le rose dell’aurora. Io anelava angoscioso dietro la figlia della mia fantasia, e sovente nel delirio della passione le indirizzava parole, e: forma divina, – io le diceva, – esisti tu veramente? Oh! non sparirmi sul primo raggio del sole che sorge. Io per te rinunzierei alla sua luce. Vieni, celeste pellegrina, o silfide , o gnomo , o angiolo, o demone, a fare lieti i giorni della mia vita, e allora Rogiero sospirerà di amore. – Yole… un giorno ti vidi… Troni del cielo! le tue sembianze erano quelle della immagine della mia fantasia.»

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