Anton Barrili - Il ponte del paradiso - racconto
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Ma dov'era la ricca erede da gittar nelle braccia del suo carissimo Aldini? Non la trovava lì per lì da nessuna parte, e molto meno a Venezia. Qualche grosso patrimonio esisteva ancora sulle Lagune, specie nel ceto patrizio, e le ragazze con una dote vistosa, o con vistose speranze, non ci mancavano davvero. Ma c'era un guaio, che alla perspicacia di Raimondo non doveva sfuggire. Si poteva egli credere che le famiglie patrizie, dai nomi illustri, risalenti alla “Serrata del Gran Consiglio„, sentissero il gusto di rinunziare alle alleanze tra loro, e il bisogno di accettare un “conte di terraferma„ con seimila lire d'entrata? Non di là, dunque, non di là, bisognava orientarsi, e molto saviamente Raimondo ne aveva smessa l'idea.
La sposa, per quel conte, doveva venir di lontano alla sua immaginazione sempre sveglia; e doveva venire dopo due anni d'attesa, due anni che infine gli erano serviti per conoscer meglio l'Aldini e per stimarlo di più; tanto in quei due anni l'amico suo aveva guadagnato ancora in serietà, rompendola asciuttamente con certe galanterie da vagheggino, e a grado a grado liberandosi da tanti perditempi del suo primo anno di vita veneziana. Ah, quella figliuola del suo collega di Milano; altro che dote patrizia! E dote e spillatico, e grandi speranze in vista; ci aveva da esser tutto senza risparmio. Il banchiere Anselmo era uomo da milioni; poteva guadagnarne ancora, sebbene avesse ristretta di molto la sua cerchia d'affari; ma appunto perchè l'aveva ristretta, non c'era da temere che ne perdesse. E infine, soltanto tra due figliuoli, Federigo e Margherita, andava spartito il suo patrimonio.
Ed era bella, Margherita, il che non doveva guastare; e dotata di un carattere d'oro, senza ombra di vanità, nè d'orgoglio per la bellezza sua, o per le ricchezze della sua casa. Se si fosse potuto combinare! E perchè no? Il banchiere Anselmo era venuto su quasi dal nulla; sua moglie del pari; e formavano una coppia virtuosa, a cui la ricchezza era stata una giusta ricompensa, ma non aveva offuscato il sentimento delle sue modeste origini. Se nutrivano ambizioni, queste potevano risguardare soltanto i loro figliuoli; e già se ne scorgeva un indizio nella carriera scelta da essi per Federigo. E per Margherita? Un titolo, senza dubbio, sarebbe andato benissimo, accompagnato a quel fiore di bellezza e di grazia. E il giovane che portava quel titolo, apparteneva ad una nobiltà di vecchia data; non era neanche un pezzente; non era un vizioso, ma un gentiluomo e un galantuomo a tutta prova. Come avrebbe detto di no il signor Anselmo, trovando un partito sotto ogni aspetto così conveniente? e soprattutto quando la signorina Margherita vedesse di buon occhio il conte Aldini? Ora, di questo il signor Raimondo non dubitava neanche. Gli dava noia piuttosto di non aver pensato prima a quella stupenda occasione, col rischio di lasciarsela sfuggire di mano. Ma a farlo a posta, non che sfuggirgli, l'occasione era venuta incontro al suo desiderio. Bisognava agguantarla pel ciuffo; e Raimondo era stato pronto ad allungare la mano.
Così, senza dir nulla ad alcuno, lasciando che ogni cosa andasse da sè, come l'acqua per la sua china, Raimondo aveva condotto all'albergo Danieli il conte Filippo Aldini, presentandolo come il suo migliore, anzi l'unico amico, quasi un altro sè stesso, alle signore Cantelli. Il giovinotto era stato ricevuto benissimo, con un fare alquanto impacciato, ma con evidente bontà, dalla signora Eleonora; con grazia semplice e schietta dalla signorina Margherita. Il discorso, naturalmente, era caduto sul gran numero di belle cose che c'erano da vedere a Venezia. E perchè la signora Eleonora aveva accennato ad una fermata piuttosto lunga, più che giustificata dal desiderio di trattenersi quanto più potesse col suo Federigo, il quale tra non molto doveva imbarcarsi per un viaggio assai lungo, il conte Aldini si prese amabilmente la briga di stendere a voce una specie di elenco, distribuito per settimane, delle gite che la signorina Margherita avrebbe potuto fare, osservando, senza troppo stancare la mamma, tutto ciò che offriva Venezia allo studio di una viaggiatrice tanto intelligente, e capace di gustare ogni cosa notevole nella storia, nell'arte, ed altresì nell'industria paesana. Questa, infatti, non andava trascurata, poichè l'industria era in Venezia una cosa tutta particolare, ed artistica al sommo.
E l'aveva tenuta a lungo sospesa alle sue enumerazioni, inframmezzate di giuste considerazioni, di sentenze argute o profonde, passando dall'industria antica alla moderna, che rinnovellava le bellezze dell'antica, ai musaici del Salviati, ai vetri filati di Murano, ai merletti policromi dello Jesurum. Raimondo, nell'atto di discorrere colla signora Eleonora, gongolava in cuor suo di sentire i due giovani chiacchierare con tanta animazione, come se già si conoscessero da un anno.
– Ed ora, – pensò egli, – il giovinotto farà la sua corte. Già, la paglia, messa accanto al fuoco, non può far che non bruci. —
In quella prima visita si era subito combinata una doppia gita insulare, a Murano ed al Lido; onde la necessità per Filippo Aldini di ritornare la mattina seguente al Danieli, per accompagnar le signore. Aveva fatto da cicerone artista a Murano, da cicerone paesista al Lido, trovando anche il tempo da far da cicerone erudito nell'isolotto di San Lazzaro, in quel celebre convento dei padri Mechitaristi e nella loro famosa biblioteca orientale. Due giorni dopo, faceva la sua terza visita, per condur le signore a vedere qualche palazzo sul Canal Grande; ma a questo giro storico ed artistico bisognava rinunziare, essendo la signora Eleonora leggermente infreddata e costretta perciò a star riguardata nella sua camera.
Filippo non ebbe dunque altro da fare che quattro ciarle di passata colla signorina Margherita. Voleva infatti congedarsi presto; ma non ne fece nulla, tanto la conversazione si era animata tra loro. Il discorso era caduto su Parma, dove Filippo era nato, e dove la signorina Margherita aveva passato alcuni giorni in quell'anno medesimo. Che bella città! Quante cose anche laggiù da ammirare! Margherita ricordava quel campanile alto alto, di fianco alla facciata del Duomo, quel campanile che si muoveva, oscillando visibilmente sulla sua base ad ogni rintocco della campana maggiore: poi quel battistero lì presso, così strano coi suoi fregi di marmo, tutti a rilievi di animali simbolici; e il ricco museo, coi bronzi di Velleia, e la biblioteca ricchissima, col Virgilio manoscritto, tutto di pugno del Petrarca, e la pinacoteca maravigliosa, coi capolavori del Correggio. Margherita possedeva un senso squisitissimo d'arte, tale da piacer sommamente a Filippo, che era mezzo pittore; e gli aveva notato, per esempio, nella Madonna detta di San Gerolamo, quella guancia della Maddalena, veduta in iscorcio, resa con tanta delicatezza di tocco, che nessuno, copiando, aveva potuto esprimere fedelmente, nè col pennello, nè col bulino, mai più. Finalmente, passando ad altro, gli aveva toccato della storia di Parma, della famiglia di lui, che vi era stata in grande onore nei secoli andati.
Ma come sapeva ella mai tante cose? La signorina Margherita appagò facilmente la curiosità di Filippo. Al babbo avevano proposta la compera di una tenuta sul territorio parmense, verso Montechiarugolo; ed egli, per andarla a vedere e risolversi, aveva condotta con sè la figliuola. Così ella aveva veduto, osservato, studiato tante cose; così del resto ella faceva, dovunque il babbo o la mamma la conducessero. Perciò aveva notato anche il palazzo Aldini, il quale del resto attirava facilmente gli sguardi, con quei due Telamoni di pietra che fiancheggiavano l'ingresso, sostenendo il terrazzino del primo piano.
– Ahimè! – sospirò Filippo, – il palazzo da gran tempo ha mutato padrone. Quel che possiedo ancora a Parma è in campagna.
– Lo riscatti; – disse Margherita. – È tanto caratteristico! e in una bella strada, presso Santa Lucia. —
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