Anton Barrili - Lutezia
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- Название:Lutezia
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- ISBN:http://www.gutenberg.org/ebooks/30043
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Vorrei dirvi qualche cosa delle aiuole di fiori, vere esposizioni orticole, di cui non si potrebbero immaginare le più splendide; ma qui c'è proprio da confondersi, tra i pelargonii dalle foglie tricolori, le araucarie imbricate, le creste di gallo sesquipedali, le jucche, le latanie, i bambù giganteschi, lo vigne nane sopraccariche di grappoli. Cesso da inutil opra, come direbbero i classici; rinunzio a questa fatica da cani, come si dice in volgare.
Entriamo, se vi piace, nel gran palazzo di cristallo, detto del Campo di Marte, perchè ne occupa tutto lo spazio, cioè a dire una superficie di quattrocento ventimila metri quadrati. Questo palazzo ha due facciate, l'anteriore e la posteriore, e per conseguenza due grandi vestiboli, ognuno dei quali è largo ventiquattro metri e lungo trecento cinquanta, cioè quanto la facciata medesima, «sotto le cui tre cupole – ei corre e si dilata – fiume di cento popoli – che fanno… un'insalata».
L'insalata dei popoli è un'immagine che il Preti e l'Achillini m'invidieranno dalla tomba. Ma per descrivere questa roba ci vuole a dirittura lo stile del Seicento. In mezzo al vestibolo, davanti all'ingresso, c'è un orologio monumentale, che fa fronte da quattro lati ed ha quattro statue, rappresentanti i quattro elementi degli antichi. Il pendolo, indipendente dall'orologio, ma pendente dalla cupola, ha una lunghezza di ventiquattro metri, e consta d'un complesso di sfere, collegate in modo da formare una specie di bilanciere. Scusate la rima; qui si diventa poeti senza volerlo.
Amate meglio diventar milionarii? Tentate un colpo su quella vetrina ottagona che si vede alla sinistra dell'orologio, sormontata da un baldacchino rosso. Ci sono dentro i diamanti della corona; il Reggente, che pesa cento trentasei carati e vale cinque milioni, non un soldo di meno; i sette diamanti del cardinal Mazarino; un diadema in diamanti e perle, che valgono cinquecento mila lire l'una; poi turchesi e brillanti; collane di perle; diamanti e rubini; stelle in diamanti, ricevute da Napoleone III in regalo da parecchi sovrani; la Giarrettiera; l'Elefante di Siam; un'impugnatura di spada, eseguita per Carlo X; un orologio tempestato di diamanti, destinato in principio al Dey di Algeri, che fu poi tempestato (il Dey, non l'orologio) di palle da trentasei e di altri oggetti sferici dello stesso valore; finalmente un diadema in diamanti che può all'occorrenza trasformarsi in collana. Vi avverto, per altro, che ad una cert'ora di sera la preziosa vetrina discende sotto il pavimento, in un misterioso nascondiglio, il cui orifizio si ricopre con spesse lastre di ferro fuso. Uomo avvisato, mezzo salvato.
Non ci perdiamo nel vestibolo d'onore, detto del ponte di Jena; usciamo all'aperto, nella via interna, detta la via delle Nazioni. Essa corre rasente alla sezione centrale, dove è l'esposizione di belle arti di tutti i popoli d'Europa, ed ha sull'altro fianco l'esposizione industriale di tutti i popoli dell'Europa, suddetta, e di parecchi dell'Asia, dell'Africa, dell'America e dell'Australia. Ognuna delle nazioni che concorrono all'esposizione ha la sua facciata su questa via. L'Inghilterra ci ha riprodotto lo stile della sua architettura ai tempi della regina Anna, o giù di lì; gli Stati Uniti un quid medium tra il dock e lo scalo di ferrovia; la Svezia e la Norvegia due casette di legno in stile romando del XII secolo; l'Italia un portico di palazzo milanese del Cinquecento; il Giappone una casa di campagna; la Cina una porta del palazzo imperiale di Pechino; la Spagna un frammento dell'Alambra; la Russia una casa di Mosca, quella stessa in cui è nato Pietro il Grande; la Svizzera una casa del cantone d'Argovia, nello stile suo del XVII secolo; il Belgio un palazzo magnifico, nello stile del Risorgimento, e in marmi e pietre delle sue cave; la Grecia una casa Policroma del tempo di Pericle; l'Austria un palazzo ad archi e colonne, che è suo come il Trentino, o come l'Istria, con una facciata a graffiti, elegantissima, di cui si potrebbe vedere il tipo originale a Pistoia, o in qualche altra città della Toscana.
Ho detto che a tutte questo facciate, e ad altre che ommetto per brevità, corrispondono le rispettive sezioni industriali. Ho detto altresì che nel mezzo dello sterminato edifizio è la corsia delle belle arti di tutti paesi, ed aggiungo che essa s'interrompe nel centro, per dar luogo al padiglione speciale della città di Parigi. Aggiungo ancora che dall'altro lato di questa corsìa, e parallela alla via delle Nazioni, corre la via di Francia, con tutta l'esposizione delle industrie francesi, che costituisce la metà di tutto il palazzo. Ve ne siete formati un'idea? No. Lo capisco; ma non è colpa mia.
Lo ripeto, qui c'è da confondersi. Vorrei veder voi, lettori umanissimi, dopo una prima gita, tutta consacrata a formarvi un'idea del complesso, ed anche dopo una seconda, tutta spesa a vedere di corsa statue e gruppi di zinco, stivalini, manipoli di grano, ombrelli, aratri, velluti, ostriche, porcellane, lenti telescopiche, pelliccie, rastrelli, molini a vento, borse, bauli, pietre dure, scatole, mobili, bacheche, paraventi, conserve alimentari, arnesi scolastici, sottane, guanti, concimi, seghe, farine, carboni, diamanti… e quasi quasi sarò per aggiungere, col Burchiello,
… Zaffiri ed ova sode
Nominativi fritti e mappamondi.
Io, dopo aver fatto il viaggio e perduta la bussola, sono andato a rifugio nella corsìa delle belle arti, e in quell'altra, che non è molto lungi, delle industrie italiane.
Giunto là, ho sentito il bisogno, come ora, di ricogliere il fiato.
V
Industrie italiane. – Lombardi e Genovesi. – I canditi del Giappone. – Libri e pianoforti. – Scoltura piccina. – Un primato in pericolo. — Exemplaria graeca . – Un pronostico al condizionale.
C'è del buono, mi affretto a dirlo. Non sono pessimista per progetto ed amo render giustizia a tanti bravi industriali, che modestamente, ma indefessamente, lavorano a rialzare il credito delle manifatture italiane. Gran lode va data, per esempio, a tutti quei valenti setaiuoli comaschi e milanesi che hanno esposto i loro prodotti, mirabili per bontà di tessuto e per vivezza di colore, sotto il titolo comune di Associazione della tessitura serica italiana ; allo Schlöpfer di Salerno pe' suoi tessuti ad uso di vestiario; al Piccaluga di Gavi e al Bancalari di Chiavari pei loro filati di seta, veramente notevoli; ai Gérard e ai Casa, genovesi, per la bellezza e la solidità delle loro tele; al Trapolin di Venezia e al Levera di Torino per la sfoggiata magnificenza dei loro damaschi. Firenze e Roma si sono mantenute al primo posto, per l'artistica lavorazione delle pietre dure. Nei mobili siamo giunti ad una bella altezza, e tutti, italiani e forastieri, ammirano lo stipo intarsiato del Bertolotti di Savona; il quale stipo, appunto perchè è la cosa artisticamente meglio riuscita di questo genere, che sia nella esposizione italiana, non ha avuto dal giuri, che una medaglia di terz'ordine.
Ma passiamo oltre, che i giurì son tutti compagni. Ricordo a titolo d'onore le belle mostre ceramiche e vetrarie, del Ginori di Firenze, della Società Faentina, della Società di Murano e del Salviati di Venezia; non senza notare che, rispetto a queste industrie gentili, siamo rimasti un po' stazionarii di rimpetto ai francesi. Sèvres e il Baccarat informino! Non così per l'industria dell'orafo e del gioielliere, che corre gloriosa e trionfante, con Alessandro Castellani ed altri parecchi. Le filigrane son belle, ma poche, come i versi del Torti e come in genere gli espositori genovesi, che io cito qui per ragione di cittadinanza.
A proposito di genovesi, e le paste? e i canditi? Ho veduto una piccola mostra di quelle, mandata dal Ghigliotti, ed una piccolissima di questi, mandata dal Ferro. La più parte dei canditi, di Genova e d'altre parti d'Italia, sono giunti in pessimo stato, e non sostengono il paragone dei giapponesi, che pure son venuti… dal Giappone. Ma qui bisogna osservare una cosa. Coi saggi delle industrie giapponesi son venuti a Parigi anche gli autori, che si sono presi una cura gelosissima dei loro prodotti e vi esercitano su una vigilanza quotidiana. I nostri espositori (e non parlo solamente di quelli che mandarono conserve alimentari) hanno il torto di non esser venuti loro a Parigi. I francesi sono quasi sempre davanti ai loro banchi, alle loro vetrine; e ciò si capisce, poichè questa è casa loro. Ma anche gli espositori delle nazioni vicine son tutti qui, intenti a ripulire, a cambiare, a rinnovare. La Spagna ha fatto qualche cosa di più; ha mandato un paio di soldati di tutte le armi del suo esercito, vera esposizione ambulante della sua eleganza in materia d'uniformi, e lusso non indegno di un paese che si rispetta.
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