Il mio amico Alberto Sorel ha messo in evidenza l'idea madre, ormai accettata da tutti gli storici, che deve regolare i nostri giudizi quanto all'opera della Rivoluzione e dell'Impero oltre le frontiere francesi. Gli uomini del 1789 e i loro violenti continuatori avevano un ideale nobile, generoso, ma chimerico quanto mai; i primi volevano largire al mondo e gli altri imporgli per forza cotesto ideale di libertà, d'uguaglianza, d'emancipazione umana nella fusione di tutti i popoli fratelli. Ma la sementa che i soldati della Rivoluzione e dell'Impero portarono nei loro zaini cambiò natura – per dir così – nelle terre straniere dove fu sparsa: l'idea di libertà astratta vi germogliò e fruttificò sotto altra forma, con l'idea dell'indipendenza nazionale, e con il risveglio dello spirito particolare a ciascun gruppo etnico; e così la Rivoluzione che credeva di unificare l'Europa preparò, in fatto, la ricostituzione delle nazionalità che dalla voce di quella furon richiamate alla coscienza dell'esser loro. Gli ultimi avanzi dell'Epopea, testimoni di cotesto infrenabile movimento delle nazionalità, non poterono riaversi dallo stupore: rimasero come la gallina che si avvede di aver covato le uova d'un'anatra. Quindi malintesi infiniti: e quel che il Sorel comprende oggi così chiaramente, non fu mai capito da uno storico come il Thiers.
Nell'ora dei primi contatti tra la Francia rivoluzionaria e l'Italia, quest'Italia degli antichi governi aveva sentito aleggiare uno spirito precursore: le sorde speranze, affiochite da secoli, ritrovavano la voce. Il Muratori insegnava di nuovo agl'Italiani le loro origini: Pietro Verri e l'Alfieri con il fuoco della poesia tenevano accesa la fucina dove si preparavano le sorti della patria italiana; e quando il Vico con i suoi occhi veggenti perlustrava la storia, ne' grandi orizzonti dove chiamava a raccolta l'umanità, altro non vedeva che l'Italia rigenerata. Nel 1789 il conte Napione parlava già come un precursore del Cavour: e anche fuori della penisola, si presentiva cotesta futura possibilità. La grande Caterina scriveva col suo spirito perspicace: “L'Italia attende e spera.„ E cotesta intuizione politica coincideva col primo risveglio del Romanticismo, uscito dall'anima di Gian Giacomo Rousseau: e la terra della bellezza classica doveva per prima profittare di questo nuovo modo di considerare il mondo. Già lo Chénier esclamava in una delle sue elegie:
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