Анна Радклиф - I misteri del castello d'Udolfo, vol. 1
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- Название:I misteri del castello d'Udolfo, vol. 1
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I misteri del castello d'Udolfo, vol. 1: краткое содержание, описание и аннотация
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Il medico s'intenerì, promise di obbedire, e disse un po' ruvidamente a Sant'Aubert che non bisognava sperare. La filosofia di questo sventurato non era tale da resistere alla prova di un colpo tanto fatale; ma riflettendo che un aumento di afflizione, nell'eccesso del suo dolore, avrebbe potuto aggravare maggiormente la consorte, prese forza bastante per moderarla alla di lei presenza. Emilia cadde svenuta, ma appena riprese l'uso dei sensi, ingannata dalla vivacità dei suoi desiderii, conservò fino all'ultimo momento la speranza della guarigione della madre.
La malattia faceva rapidi progressi; la rassegnazione e la calma dell'inferma sembravano crescere con essa la tranquillità con cui attendeva la morte, nasceva da una coscienza pura, da una vita senza rimorsi, e per quanto poteva comportarlo l'umana fragilità, passata costantemente nella presenza di Dio e nella speme d'un mondo migliore; ma la pietà non poteva annientare il dolore che provava, lasciando amici tanto cari al suo cuore. Negli estremi momenti, parlò molto col marito e con Emilia sulla vita futura ed altri soggetti religiosi; la di lei rassegnazione, la ferma speranza di ritrovare nell'eternità i cari oggetti che abbandonava in questo mondo; lo sforzo che faceva per nascondere il dolore cagionatole dalla momentanea separazione, tutto contribuì ad affliggere siffattamente Sant'Aubert, che fu costretto ad uscire dalla camera. Pianse amare lagrime, ma in fine fece forza a sè stesso, e rientrò con una ritenutezza che non poteva se non accrescere il suo supplizio.
In alcun tempo Emilia non aveva meglio conosciuto quanto fosse prudente di moderare la sua sensibilità, nè mai erasene occupata con tanto coraggio; ma dopo il momento terribile e funesto dovè cedere al peso del dolore, e comprese come la speranza al par della forza avessero concorso a sostenerla. Sant'Aubert era troppo afflitto egli stesso per poter consolare la figlia.
CAPITOLO II
La spoglia mortale della Sant'Aubert fu inumata nella chiesa del villaggio vicino; sposo e figlia accompagnarono il corteggio funebre, e furono seguiti da un numero prodigioso di abitanti, che piangevano tutti sinceramente la perdita dell'ottima donna.
Ritornati dalla chiesa, Sant'Aubert si chiuse nella sua camera, e ne uscì colla serenità del coraggio e col pallore della disperazione; ordinò a tutte le persone che componevano la sua famiglia di riunirsi vicino a lui. La sola Emilia non compariva: soggiogata dalla scena lugubre ond'era stata testimone, erasi chiusa nel suo gabinetto per piangervi in libertà. Sant'Aubert l'andò a cercare; le prese la mano in silenzio, e le sue lacrime continuarono: egli stesso stentò molto a riacquistare la voce e la facoltà di esprimersi; finalmente disse tremando: « Cara Emilia, noi andiamo a pregare per l'anima della tua buona madre; non vuoi tu unirti a noi? Imploreremo il soccorso dell'Onnipotente: da chi possiamo noi attenderlo se non dal cielo? »
Emilia trattenne le lacrime, e seguì il padre nel salotto ov'erano riuniti i domestici. Sant'Aubert lesse con voce sommessa l'uffizio dei morti, e vi aggiunse preghiere per l'anima dei defunti. Durante la lettura, gli mancò la voce, e le lacrime inondarono il libro; si arrestò, ma le sublimi emozioni d'una devozione pura innalzarono successivamente le sue idee al disopra di questo mondo, e versarono infine il balsamo della consolazione nel suo cuore.
Finito l'uffizio, e ritirati i domestici, egli abbracciò teneramente la sua Emilia. « Mi sono sforzato, » le disse, « di darti fino dai primi anni un vero impero su te stessa, e te ne ho rappresentata l'importanza in tutta la condotta della vita; questa sublime qualità ci sostiene contro le più pericolose tentazioni del vizio, ci richiama alla virtù, e modera parimente l'eccesso delle emozioni più virtuose. Vi è un punto in cui esse cessano di meritare questo nome, se la loro conseguenza è un male; qualunque eccesso è vizioso; il dispiacere medesimo, sebbene amabile ne' suoi primordi, diviene una passione ingiusta, quando uno vi si abbandona a spese dei propri doveri. Per dovere io intendo parlare di ciò che si deve a sè stessi, al par di quello che si deve agli altri, un dolore smoderato infiacchisce l'anima, e la priva di quei dolci godimenti che un Dio benefico destina all'ornamento della nostra vita. Emilia cara, invoca, fa uso di tutti i precetti che hai da me ricevuti, e di cui l'esperienza ti ha così spesso dimostrato la saviezza… Il tuo dolore è inutile; non riguardare questa verità come un'espressione comune di consolazione, ma come un vero motivo di coraggio. Non vorrei soffocare la tua sensibilità, figlia mia, ma moderarne soltanto l'intensità. Di qualunque natura possano essere i mali, ond'è afflitto un cuore troppo tenero, non si deve sperar nulla da quello che non lo è. Tu conosci il mio dolore, sai se le mie parole sono di quei discorsi leggieri fatti a caso per arrestare la sensibilità nella sua sorgente, e il cui unico fine è di far pompa d'una pretesa filosofia. Ti dimostrerò, cara figlia, ch'io posso mettere in pratica i consigli che do. Ti parlo così, perchè non ti posso vedere, senza dolore, consumarti in lacrime superflue e non fare veruno sforzo per consolarti; non ti ho parlato prima, perchè avvi un momento in cui qualunque ragionamento deve cedere alla natura. Questo momento è passato, e quando lo si prolunga all'eccesso, la trista abitudine che si contrae, opprime lo spirito al punto di togliergli la sua elasticità, tu urti in questo scoglio, ma son persuaso che mi proverai col fatto di volerlo evitare. »
Emilia, piangendo, sorrise al genitore. « O padre! » esclamò, e le mancò la voce. Avrebbe aggiunto senza dubbio: Io voglio mostrarmi degna del nome di vostra figlia. Ma un movimento misto di riconoscenza, di tenerezza e di dolore l'oppresse di nuovo: Sant'Aubert la lasciò piangere senza interromperla, e parlò di altre cose.
La prima persona che venne a partecipare alla sua afflizione fu un certo Barreaux, uomo austero, e che sembrava insensibile; il gusto della botanica li aveva legati in amicizia, essendosi incontrati spesso sui monti. Barreaux erasi ritirato dal mondo, e quasi dalla società, per vivere in un bellissimo castello, all'ingresso de' boschi, e vicinissimo alla valle. Come Sant'Aubert, egli era stato crudelmente disingannato dall'opinione che aveva avuta degli uomini, ma, al par di lui, non si limitava ad affliggersene ed a compiangerli; sentiva più sdegno contro i loro vizi, che compassione per le loro debolezze.
Sant'Aubert fu sorpreso nel vederlo. Lo aveva invitato spesso a venire a visitare la sua famiglia, senza avervelo mai potuto decidere; quel giorno venne senza riserva, ed entrò in casa come uno dei più intrinseci amici della famiglia. I bisogni della sventura parevano averne addolcita la ruvidezza e domati i pregiudizi. La desolazione di Sant'Aubert parve l'unica sua occupazione; le maniere, più che le parole, ne esprimevano la commozione: parlò poco del soggetto della loro afflizione, ma le sue attenzioni delicate, il suono della sua voce, e l'interesse dei suoi sguardi esprimevano il sentimento del suo cuore; e questo linguaggio fu benissimo inteso.
A quell'epoca dolorosa, Sant'Aubert fu visitato dalla sua unica sorella, la signora Cheron, vedova da qualche anno, la quale abitava allora nelle proprie terre vicino a Tolosa. La loro corrispondenza era stata poco attiva: le espressioni non le mancarono però; ella non intendeva quella magia dello sguardo, che parla così bene all'anima, e quella dolcezza di accenti, che versa un balsamo salutare nei cuori afflitti e desolati. Assicurò il fratello che prendeva il più sincero interesse al suo dolore, lodò le virtù della sua sposa, ed aggiunse quanto immaginò di più consolante. Emilia non cessò dal piangere fin ch'essa parlò. Sant'Aubert fu più tranquillo, ascoltò in silenzio, e cambiò tenore di conversazione.
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