Анна Радклиф - I misteri del castello d'Udolfo, vol. 4

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I misteri del castello d'Udolfo, vol. 4: краткое содержание, описание и аннотация

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– È strano, » disse Emilia, « che non siasi ancora scoperto il cantore.

– Oh! signora, se fosse una persona naturale, si conoscerebbe da molto tempo; ma chi può avere il coraggio di correr dietro ad uno spirito? E quand'anco avesse tal coraggio, cosa si scoprirebbe? Gli spiriti, come sapete, possono prender la figura che vogliono: ora son qui, ora son là, e poco dopo sono cento miglia distanti.

– Di grazia, riprendiamo l'istoria della marchesa, » disse Emilia; « informatemi del genere della sua morte.

– Sì, signora… Il marchese divenne sempre più burbero, e la signora peggiorava tutti i giorni. Una notte vennero a chiamarmi; corsi da lei, e fui spaventata dallo stato in cui la trovai. Qual cambiamento! Mi guardò in modo da muovere a compassione i sassi. Mi pregò di chiamar il marchese, che non si era fatto vedere per tutto il giorno, avendo cose segrete da comunicargli. Venne; parve afflittissimo di vederla così malata, e parlò poco. La mia padrona gli disse che si sentiva moribonda, e desiderava parlargli senza testimoni; io uscii, e non mi dimenticherò mai l'occhiata che mi lanciò in quel momento. Allorchè rientrai, dissi al padrone di mandar a chiamare un medico, immaginando che il dolore gl'impedisse di pensarvi; la signora rispose ch'era troppo tardi: ma egli pareva non crederle, e riguardare la sua malattia come leggera. Di lì a poco cadde in terribili convulsioni; urlava orrendamente. Il marchese fece partire un uomo a cavallo per cercar il medico. Io restai presso la marchesa, procurando di sollevarla. In un intervallo molto doloroso mandò a cercar di nuovo il padrone: egli venne, ed io voleva ritirarmi, ma ella desiderò che non m'allontanassi. Oh! io non mi scorderò mai quella scena. Il marchese perdeva quasi la ragione; ma la signora gli parlava con tanta bontà, e si dava tanta pena per consolarlo, che se mai egli avesse avuto qualche sospetto, doveva cancellarlo in quel momento. Sembrava oppresso dalla rimembranza de' suoi maltrattamenti, ed ella ne fu tanto commossa, che svenne fra le mie braccia. Io feci subito uscire il marchese, il quale corse nel suo gabinetto, e si gettò per terra, non volendo più veder nessuno. Quando la signora fu alquanto rimessa, chiese sue nuove, e disse in seguito che il di lui dolore l'affliggeva troppo, e che bisognava lasciarla morire in pace. Spirò nelle mie braccia colla dolcezza d'un angelo, giacchè la crisi violenta era già passata. »

Dorotea versò un torrente di lagrime. Emilia pianse con lei, intenerita dalla bontà della marchesa, e dalla rassegnazione colla quale aveva sofferto.

« Il medico giunse, » continuò Dorotea, « ma troppo tardi. Parve stupefatto nel vedere il cadavere della mia padrona, la cui faccia era divenuta livida e nera. Fece uscire tutti, e mi volse singolari domande a proposito della marchesa e della sua malattia. Scuoteva la testa alle mie risposte, e pareva giudicare sinistramente. Io lo compresi pur troppo, ma non comunicai le mie congetture se non a mio marito, che mi raccomandò di tacere: alcuni altri domestici ebbero però gli stessi sospetti che circolarono nel vicinato. Allorchè il marchese seppe che la signora era morta, si rinchiuse nel suo appartamento, e non volle vedere che il medico. Restarono insieme più di un'ora, e il dottore non mi parlò più della marchesa, la quale fu sepolta nella chiesa del convento. Tutti i vassalli assistettero piangendo al suo funerale, perchè era molto caritatevole. Quanto al signor marchese, io non ho mai veduto un'afflizione come la sua, e talvolta nell'eccesso del dolore perdeva l'uso dei sensi. Non restò molto tempo nel castello, e partì pel suo reggimento. Poco dopo, tutti furono congedati, tranne mio marito e me, nè l'ho riveduto mai più.

– La morte della marchesa pare straordinaria! » disse Emilia, desiderando saperne qualcosa di più.

– Sì, signora, fu straordinaria. Vi dico tutto ciò che ho veduto, e voi potete indovinar quel che ne penso; non posso dir altro per non diffondere ciarle che potrebbero offendere il signor conte.

– Avete ragione; sapete voi dove sia morto il marchese?

– Nell'Alsazia, a quanto credo, » rispose Dorotea. « Mi rallegrai molto quando seppi che arrivava il signor conte. Questo luogo è stato lunga pezza in una trista desolazione. Noi vi udimmo rumori straordinari, poco dopo la morte della padrona, ed io, con mio marito, ci ritirammo in una casuccia poco lontana. Adesso, signora Emilia, che vi ho raccontato questa tragica istoria, vi rammenterò la vostra promessa di non lasciarne traspirar nulla ad alcuno.

– Sarò fedele alla mia parola, » rispose Emilia; « ciò che mi narraste m'interessa assai più di quanto potete supporre. Vorrei solo pregarvi di nominarmi il cavaliere che, secondo voi, s'interessava tanto per la marchesa. »

Dorotea negò assolutamente di acconsentirvi, e tornò a parlare della somiglianza di lei colla marchesa.

– « Vi è un altro ritratto di questa, » soggiunse, « ed è in una delle stanze chiuse. Fu fatto prima del suo matrimonio, e voi le somigliate assaissimo. »

La fanciulla mostrò desiderio di vederlo, e Dorotea rispose che non aveva coraggio di entrare in quell'appartamento. Emilia le rammentò che, il dì innanzi, il conte aveva parlato di farlo aprire. La custode convenne allora d'andarlo prima a vedere con lei.

La notte era molto avanzata, e Emilia troppo commossa dal racconto inteso per visitare così tardi quel luogo. Pregò dunque la vecchia di tornare la notte seguente. Oltre il desiderio di vedere il ritratto, sentiva un'ansiosa curiosità di visitare la camera ov'era morta la marchesa, e che, secondo Dorotea, era rimasta nel primiero stato. La commozione che le cagionava l'aspettativa di una tale scena, era allora conforme allo stato del di lei spirito. Oppressa dal cambiamento della sua sorte, gli oggetti piacevoli aumentavano la sua malinconia in vece di dissiparla; forse aveva torto di piangere sì amaramente un infortunio inevitabile; ma veruno sforzo della ragione valeva a lasciarle scorgere con indifferenza l'avvilimento di colui che aveva già stimato ed amato con tanto trasporto.

Dorotea promise di tornare la notte seguente colle chiavi dell'appartamento, e si ritirò.

Emilia restò alla finestra, meditando tristamente sul destino dell'infelice marchesa, ed aspettando ansiosa il ritorno della musica notturna. La calma non fu turbata se non dallo stormir delle frondi agitate da lieve brezzolina. La campana del convento suonò mattutino, e Emilia se ne andò a letto cercando nel sonno l'oblio della dolorosa storia della marchesa di Villeroy.

CAPITOLO XLII

La notte seguente, all'istessa ora circa, Dorotea venne a prendere Emilia e portò le chiavi dell'appartamento della marchesa, che si trovava dalla parte opposta, al nord. Dovevano passare vicino alle stanze della servitù, e Dorotea desiderava sfuggire alle loro osservazioni. Volle dunque aspettare un'altra mezz'ora ond'assicurarsi che tutti i servitori dormissero. Era quasi un'ora dopo mezzanotte allorchè si misero in cammino. Dorotea andava innanzi e portava il lume; ma il suo braccio, indebolito dal timore e dalla vecchiaia, tremava sì forte, che Emilia, presa ella stessa la lucerna, s'offrì a sostenere i di lei passi mal sicuri. Bisognava scendere lo scalone, traversare gran parte del castello, e salire l'altro situato al nord. Non incontrarono nulla che alterasse vie maggiormente la loro agitata fantasia, e giunte in cima alla scala Dorotea mise la chiave nella serratura. « Ah! » diss'ella sforzandosi di girarla; « è chiusa da tanto tempo, che forse la ruggine non ci permetterà di aprirla. » Emilia però, più destra di lei, girò la chiave, aprì la porta, ed entrarono in una stanza antica e spaziosa.

« Dio buono! » disse Dorotea nell'entrare; « l'ultima volta che son passata da questa porta, io seguiva la salma della mia povera padrona! »

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