Morgan Rice - Amata

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Caitlin e Caleb partono insieme alla ricerca dellunico oggetto in grado di fermare lormai imminente guerra di vampiri e umani: la spada perduta. Un oggetto appartenente alla tradizione vampiresca del quale si dubita fortemente addirittura lesistenza. Se mai cè una speranza di trovarla, è necessario rintracciare gli antenati di Caitlin. È veramente lei la Prescelta? La loro impresa inizia dalla ricerca di suo padre. Chi era? Perché lha abbandonata? Mentre la ricerca si sviluppa, i due rimangono scioccati dallo scoprire la sua vera identità. Ma non sono loro gli unici ad essere alla ricerca della leggendaria spade. Anche il Covo di Mareanera la vuole, e sono sulla loro tracce. Quel che è peggio, il fratello minore di Caitlin, Sam, è ancora ossessionato dalla ricerca del padre. Ma Sam stesso si ritrova presto invischiato nel bel mezzo di una guerra tra vampiri. Metterà a repentaglio limpresa di Caitlin e Caleb? Il viaggio di Caitlin e Caleb in un turbinio di località storiche: dalla Vallata dellHudson a Salem, fino al cuore della Boston storica, proprio nel luogo in cui le streghe venivano impiccate sulla collina di Boston. Perché questi luoghi sono così importanti per la razza dei vampiri? E cosa hanno a che fare con gli antenati di Caitlin, e con il suo ceppo dorigine? Ma i due potrebbero anche non farcela. Il loro amore reciproco sta sbocciando. E la loro relazione vietata potrebbe distruggere tutto ciò che hanno programmato di raggiungere… "AMATA, il secondo libro della serie Appunti di un vampiro, è eccezionale quanto TRAMUTATA, pieno zeppo dio azione, romanticismo, avventura e suspense. Questo libro è una meravigliosa aggiunta alla seria e vi farà desiderare di continuare a leggere le opere di Morgan Rice. Se avete apprezzato il primo libro, mettete le mani anche su questo e preparatevi ad innamorarvi di nuovo."< --Vampirebooksite.

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“Sto bene qui” Sam disse.

Lei poteva sentire le altre risatine dei ragazzi.

“Perchè non ti rilassi?” uno dei giovani le disse. “Mi sembri molto nervosa. Vieni a sederti. Fatti un tiro.”

Le porse il bong.

Lei si voltò a guardarlo.

“Perchè non t'infili quel bong su per il culo?” lei disse, digrignando i denti.

Un coro di incitamento giunse dal gruppo dei ragazzi. “Oh, TACI!” gridò uno di loro.

Il ragazzo che le aveva offerto il tiro, un ragazzo grosso e muscoloso, e che lei sapeva aveva giocato nella squadra di football, divenne rosso acceso.

“Che cosa mi hai detto, puttana?” le chiese, fermo in piedi.

Lei guardò in alto. Era molto più alto di quanto ricordasse, almeno 1.98cm. Riusciva a sentire la stretta di Caleb sulla sua spalla intensificarsi e non capiva a che cosa fosse dovuto, se perchè lui stesse cercando disperatamente di calmarla o perchè non era tranquillo.

La tensione nella stanza crebbe drammaticamente.

Il Rottweiler strisciò più vicino. Ora distava soltanto pochi metri. E ringhiava fortissimo.

“Jimbo, calmo,” Sam disse al ragazzone.

Quello era il Sam protettivo. Non importava il motivo, ma era protettivo con lei. “E' una rompipalle, ma non intendeva risponderti in quel modo. E' pur sempre mia sorella. Rilassati.”

“Volevo invece,” Caitlin gridò, mostrandosi più arrabbiata che mai. “Voi ragazzi credete di essere così fighi? Trascinando con voi mio fratello minore? Siete solo un branco di perdenti. Non andrete da nessuna parte. Volete solo incasinarvi la vita, fate pure, ma non ci porterete Sam!”

Jimbo sembrò persino più arrabbiato, se possibile. Si avvicinò di qualche passo verso di lei, con fare minaccioso.

“Ecco, Signorina Maestra. Signorina Mammina. Ecco che ci dice che cosa fare!”

Un coro di risate.

“Perchè tu e il tuo amico frocetto non venite qui a picchiarmi!”

Jimbo si fece più vicino e, con l'enorme palmo della sua mano, spinse Caitlin sulla spalla.

Grosso errore.

La rabbia esplose in Caitlin, al di là di ogni possibilità di controllo. Nell'attimo in cui il dito di Jimbo la toccò, a gran velocità gli prese il polso e lo girò al contrario. Si sentì un forte crack, nel momento in cui il polso si rompeva.

Lei sollevò il polso alto dietro la sua schiena e lo spinse con la faccia a terra.

In meno di un secondo, era sul pavimento, con la faccia a terra, senza alcuna speranza. Lei gli saltò sopra, mettendogli il piede dietro al collo, tenendolo stretto, impedendogli di muoversi dal pavimento.

Jimbo gridò per il dolore.

“Gesù Cristo, il mio polso, il mio polso! Schifosa puttana! Mi ha rotto il polso!”

Sam si alzò, così come tutti gli altri, guardando la scena, scioccato. Sembrava davvero scioccato. Come aveva fatto la sua piccola sorella a stendere in quel modo un ragazzo così grosso, e in modo così rapido, proprio non ne aveva idea.

“Le mie scuse,” Caitlin ringhiò a Jimbo. Era scioccata dal suono della sua stessa voce. Sembrava gutturale. Proprio come il verso di un animale.

“Mi dispiace. Mi dispiace, mi dispiace!” gridò Jim, singhiozzante.

Caitlin voleva solo lasciarlo andare, che tutto finisse, ma una parte di lei non era d'accordo. La rabbia l'aveva sopraffatta così troppo all'improvviso, troppo violentemente. Non poteva proprio lasciarlo andare. Ancora continuava a sentire la rabbia percorrerle il corpo, esplodendo sempre di più. Lei voleva uccidere quel ragazzo. Andava ben oltre la razionalità, ma lo voleva davvero.

“Caitlin!?” Sam gridò. Lei poteva sentire la paura nella sua voce. “Ti prego!”

Ma Caitlin non riusciva a fermarsi. Avrebbe davvero ucciso il ragazzo.

In quel momento, sentì un ringhio, e con la coda dell'occhio vide il cane. Fece un balzo a mezz'aria, i suoi denti puntavano dritto alla sua gola.

Caitlin reagì istintivamente. Lasciò andare Jimbo, e con un movimento, catturò il cane sospeso a mezz'aria. Finì sotto di lui, gli afferrò lo stomaco, e lo scaraventò a terra.

Volò per aria, a circa 3 - 6 metri, con una forza tale da finire nella stanza, oltre la parete di legno del fienile. Il muro si sfasciò rumorosamente, mentre il cane guaì e volò dall'altra parte.

Tutti nella stanza guardavano Caitlin. Non riuscivano a spiegarsi a che cosa avessero assistito. Era stato chiaramente un atto di forza e velocità sovrumane, e non c'era alcuna spiegazione possibile. Se ne stettero tutti lì a guardare, con la bocca spalancata.

Caitlin fu sopraffatta dall'emozione. Rabbia. Tristezza. Non aveva idea di che cosa provasse, e non si fidava più di se stessa. Non riusciva a parlare. Doveva andare via di lì. Sapeva che Sam non l'avrebbe seguita. Lui era una persona diversa adesso.

E anche lei.

CAPITOLO TRE

Caitlin e Caleb camminavano lentamente lungo la sponda del fiume. Questo lato dell'Hudson era trascurato, inquinato da fabbriche abbandonate e dai depositi di petrolio che non erano più in uso. Quel luogo era desolato, ma avvolto dalla quiete. Guardando fuori, scorse degli enormi fiocchi di neve cadere lentamente nel fiume, in quel giorno di marzo. Il loro suono leggero e delicato riempì l'aria. Sembravano ultraterreni, riflettendo la luce nel modo più strano, mentre una lenta foschia emergeva. Lei si sentiva come se stesse camminando all'interno di una di quelle enormi lastre di ghiaccio, sedendosi e lasciando che la conducesse ovunque andasse.

Camminavano in silenzio, ognuno perso nel proprio mondo. Caitlin era imbarazzata, perchè aveva mostrato una tale rabbia di fronte a Caleb. Imbarazzata per essere stata così violenta, da non essere riuscita a controllare che cosa le stesse accadendo.

Era anche imbarazzata a causa del fratello, che si era comportato in quel modo, unendosi a una tale compagnia di perdenti. Non lo aveva mai visto agire in quel modo prima di allora. Era imbarazzata per aver costretto Caleb ad assistere a tutto questo. Che modo difficile 'per lei di incontrarsi con la sua famiglia. Doveva aver pensato le cose peggiori su di lei. Il che la feriva, più di ogni altra cosa.

Ma ancora peggio di tutto il resto, lei era spaventata perchè si chiedeva che cosa ne sarebbe stato di loro. Sam era stato la sua miglior speranza di poter trovare il loro padre. Lei non aveva altre idee. Se le avesse avute, lo avrebbe di certo già trovato da sola, anni prima. Non sapeva che cosa dire a Caleb. Ora l'avrebbe lasciata? Naturalmente sì. Non le serviva a nulla, ed aveva una spada da trovare. Era possibile che rimanesse lo stesso con lei?

Mentre camminavano in silenzio, lei avvertì un profondo nervosismo, mentre pensava che Caleb stesse solo aspettando il momento giusto per dirle, con parole scelte attentamente, che avrebbe dovuto lasciarla. Proprio come tutti gli altri nella sua vita.

“Mi dispiace così tanto,” disse infine, dolcemente, “per come mi sono comportata laggiù. Mi spiace di aver perso il controllo.”

“Non devi scusarti. Non hai fatto nulla di male. Stai imparando. E sei molto forte.”

“Mi spiace anche per come si è comportato mio fratello.”

Lui sorrise. “Se c'è una cosa che ho imparato in tutti questi secoli, è che non si può controllare la propria famiglia.”

Continuarono a camminare in silenzio. Lui volse lo sguardo verso il fiume.

“Allora?” lei chiese, infine. “Che cosa facciamo ora?”

Lui si fermò e la guardò.

“Te ne andrai?” gli chiese lei esitando.

Lui si perse profondamente nei suoi pensieri.

“Riesci a pensare ad un altro luogo in cui tuo padre possa trovarsi? Qualcun altro che lo conoscesse? Niente?”

Lei ci aveva già provato. Non c'era nulla. Assolutamente nulla. Scosse il capo.

“Dev'esserci qualcosa,”lui disse empaticamente. “Pensa più a fondo. I tuoi ricordi. Non hai alcun ricordo?”

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