Morgan Rice - Amata

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Caitlin e Caleb partono insieme alla ricerca dellunico oggetto in grado di fermare lormai imminente guerra di vampiri e umani: la spada perduta. Un oggetto appartenente alla tradizione vampiresca del quale si dubita fortemente addirittura lesistenza. Se mai cè una speranza di trovarla, è necessario rintracciare gli antenati di Caitlin. È veramente lei la Prescelta? La loro impresa inizia dalla ricerca di suo padre. Chi era? Perché lha abbandonata? Mentre la ricerca si sviluppa, i due rimangono scioccati dallo scoprire la sua vera identità. Ma non sono loro gli unici ad essere alla ricerca della leggendaria spade. Anche il Covo di Mareanera la vuole, e sono sulla loro tracce. Quel che è peggio, il fratello minore di Caitlin, Sam, è ancora ossessionato dalla ricerca del padre. Ma Sam stesso si ritrova presto invischiato nel bel mezzo di una guerra tra vampiri. Metterà a repentaglio limpresa di Caitlin e Caleb? Il viaggio di Caitlin e Caleb in un turbinio di località storiche: dalla Vallata dellHudson a Salem, fino al cuore della Boston storica, proprio nel luogo in cui le streghe venivano impiccate sulla collina di Boston. Perché questi luoghi sono così importanti per la razza dei vampiri? E cosa hanno a che fare con gli antenati di Caitlin, e con il suo ceppo dorigine? Ma i due potrebbero anche non farcela. Il loro amore reciproco sta sbocciando. E la loro relazione vietata potrebbe distruggere tutto ciò che hanno programmato di raggiungere… "AMATA, il secondo libro della serie Appunti di un vampiro, è eccezionale quanto TRAMUTATA, pieno zeppo dio azione, romanticismo, avventura e suspense. Questo libro è una meravigliosa aggiunta alla seria e vi farà desiderare di continuare a leggere le opere di Morgan Rice. Se avete apprezzato il primo libro, mettete le mani anche su questo e preparatevi ad innamorarvi di nuovo."< --Vampirebooksite.

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Mentre uscivano a respirare aria fresca, lei si meravigliò di quanto fosse bello camminare fuori dalla scuola ancora una volta—e stavolta per sempre.

*

Caitlin e Caleb s'incamminarono verso la proprietà dei Coleman; la neve che ricopriva l'erba scricchiolava sotto i loro piedi. La casa stessa non era altro che un modesto ranch che si affacciava sul lato della strada di campagna. Ma alle spalle, alla fine della proprietà, c'era un fienile. Caitlin vide tutti i camioncini e pickup malconci parcheggiati a caso nel prato, e riusciva a vedere le impronte nel ghiaccio e nella neve, e sapeva che doveva esserci stato un gran viavai intorno a quel fienile .

Questo facevano i ragazzi ad Oakville – s'incontravano nei loro fienili. Oakville era tanto campagna quanto periferia, e dava loro la possibilità di giocare in una struttura abbastanza distante dalla casa dei genitori, così che non sapessero o che non importasse loro che cosa stessero facendo. Era certamente molto meglio che radunarsi in cantina. I genitori non sentivano una sola parola. E si disponeva di un'entrata personale. E di un'uscita.

Caitlin prese un lungo respiro, prima di entrare nel fienile, e aprì la pesante porta di legno.

La prima cosa a colpirla fu l'odore. Erba. Delle nuvole aleggiavano nell'aria.

Quello, mescolato all'odore della birra stantia. Ce n'era troppo.

Poi la colpì—più di ogni altra cosa—l'odore di un animale. I suoi sensi non erano mai stati così spiccati prima. Lo shock derivato dalla presenza dell'animale colpì i suoi sensi, proprio come se avesse appena sniffato dell'ammoniaca.

Lei guardò alla sua destra e mise a fuoco. Lì, all'angolo, c'era un grosso Rottweiler. Quest'ultimo si sedette lentamente, con lo sguardo fisso su di lei e ringhiò. Esplose in un ringhio basso e gutturale. Era Butch. Lei si ricordò di lui ora. L'odioso Rottweiler dei Coleman. Come se i Coleman avessero bisogno di un animale aggressivo da aggiungere alla loro immagine confusionaria.

Dai Coleman c'era sempre da aspettarsi delle catastrofi. Tre fratelli—17, 15, e 13 anni— ad un certo punto, Sam aveva fatto amicizia con il secondogenito, Gabe. Uno era peggio dell'altro. Il padre li aveva abbandonati molto tempo prima, nessun aveva idea di dove fosse andato, e la madre non c'era mai. Erano praticamente cresciuti da soli. Nonostante la loro età, erano sempre ubriachi o drogati, e passavano più tempo fuori dalla scuola che dentro.

A Caitlin non piaceva l'idea che Sam li frequentasse. Non avrebbe portato a nulla di buono.

Si sentì una musica di sottofondo. I Pink Floyd. Wish You Were Here.

Figuriamoci, Caitlin pensò.

Era buio, specie per chi, come lei, proveniva da un giorno tanto luminoso, e le occorsero diversi secondi perchè gli occhi le tornassero a posto.

Eccolo. Sam. Seduto nel mezzo di un logoro divano, circondato da una dozzina di ragazzi. Gabe da un lato e Brock dall'altro.

Sam era curvo su un bong. Aveva appena finito di inalare; lo mise giù e si poggiò allo schienale, succhiando l'aria e trattenendo il fiato troppo a lungo. Alla fine rilasciò il fumo.

Gabe gli diede un colpetto, e Sam guardò in alto. Stordito, posò lo sguardo su Caitlin. I suoi occhi erano iniettati di sangue.

Caitlin ebbe una fitta di dolore allo stomaco. Era più che delusa. Credeva che fosse tutta colpa sua. Ripensò all'ultima volta che si erano visti, a New York, quando avevano litigato. Le sue parole dure. “E allora vai!” gli aveva gridato. Perchè doveva essere sempre così dura? Perchè non poteva avere la possibilità di rimediare?

Ora era troppo tardi. Se lei avesse scelto delle parole diverse, forse le cose ora sarebbero state differenti.

Provò anche un'ondata di rabbia. Rabbia verso i Coleman, rabbia verso tutti i ragazzi in quel fienile, che se ne stavano seduti su quel divano e su sedie logore, su balle di fieno, tutti lì a bere, fumare e a non fare niente della propria vita. Erano liberi di non fare nulla della propria vita. Ma non erano liberi di trascinare anche Sam con loro. Lui era migliore di loro. Non aveva mai avuto una guida. Non aveva mai potuto contare su una figura paterna, non aveva mai ricevuto una forma di gentilezza da parte della loro madre. Era un figlio meraviglioso, e lei sapeva che avrebbe potuto essere il primo della classe ora, se avesse avuto una casa anche solo semi-stabile.

Ma ad un certo punto, era troppo tardi. Lui aveva appena smesso di preoccuparsi.

Fece diversi passi verso di lui. “Sam?” chiese.

Il ragazzo si limitò a fissarla, senza dire una sola parola.

Era difficile stabilire che cosa ci fosse in quello sguardo. Era causato dalle droghe? Stava fingendo che non gli importasse? O semplicemente non gli importava?

Il suo sguardo apatico le fece più male di ogni altra cosa. Lei credeva che sarebbe stato felice di vederla, alzandosi e abbracciandola. Ma non questo. Sembrava che proprio non gli importasse. Come se lei fosse una perfetta estranea. Si stava comportando in quel modo solo per compiacere gli amici? Oppure lei aveva rovinato tutto per sempre stavolta?

Trascorsero diversi secondi, e infine, il ragazzo rivolse altrove il suo sguardo, passando il bong ad uno degli amici. Continuò a guardare gli altri amici, ignorandola.

“Sam!” disse lei, alzando la voce, con il volto corrugato dalla rabbia. “Sto parlando con te!”

Lei ascoltò le risatine dei suoi amici sfigati, e sentì la rabbia salirle ad ondate nel suo corpo. Stava cominciando a provare qualcos'altro. Istinto animale. La rabbia dentro di lei stava raggiungendo dei livelli talmente alti, che difficilmente sarebbe riuscita a controllarla e iniziò a temere che presto sarebbe esplosa. Non era più umana. Stava diventando animale.

Questi ragazzi erano grossi, ma la forza che le stava aumentando nelle vene le suggerì che avrebbe potuto sbarazzarsi di ognuno di loro in un istante. Stava faticando a contenere la sua rabbia, e sperò di essere abbastanza forte da riuscirci.

Al contempo, il Rottweiler riprese a ringhiare, e si avvicinò a lei lentamente. Sembrava come se avvertisse l'arrivo di qualcosa.

Lei sentì una mano gentile posarsi sulla sua spalla. Caleb. Lui era sempre lì. Doveva aver sentito la rabbia crescerle dentro, l'istinto animale tra di loro. Stava cercando di calmarla, dicendole di controllarsi, di non esplodere. La sua presenza la rassicurò. Ma non era semplice.

Sam alla fine si voltò e la guardò. C'era disprezzo nei suoi occhi. Era ancora fuori di sè. Era ovvio.

“Che cosa vuoi?” le chiese di scatto.

“Perchè non sei a scuola?” fu la prima cosa che lei si sentì pronunciare. Non era proprio certa di averlo detto, specialmente data l'enorme portata delle cose che avrebbe voluto chiedergli. Ma l'istinto materno era emerso. Ed era stato quello che le era venuto fuori.

Altre risatine. La rabbia emerse.

“Che cosa te ne importa?” le disse. “Mi hai detto di andarmene.”

“Mi dispiace,” lei disse. “Non intendevo questo.”

Era contenta di aver avuto una possibilità di dirlo.

Ma non bastò a scuoterlo. Lui se ne stava semplicemete a guardarla.

“Sam, ho bisogno di parlarti. In privato,” gli disse.

Voleva che lui lasciasse quell'ambiente e uscisse all'aria fresca, da soli, dove avrebbero potuto parlare veramente. Lei non voleva soltanto sapere del loro padre; voleva anche solo parlare con lui, proprio come avevano sempre fatto. E voleva avere la possibilità di dirgli della mamma. Gentilmente.

Ma non sarebbe successo. Lei riuscì a rendersene conto ora. Le cose si stavano capovolgendo. La ragazza sentì che la forza in quel fienile sovraffollato era davvero troppo oscura. Troppo violenta. Sentiva che stava perdendo il controllo. Nonostante la mano di Caleb, non riusciva a fermare quello che sentiva montarle dentro, qualunque cosa fosse.

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