Forti correnti trascinavano la sua barca, minacciando di toglierle il timone di mano. Se non avesse avuto la forza che le veniva dal potere dentro di lei, Ceres dubitava che sarebbe stata capace di tenerlo stretto. Tirò il timone di lato e la sua piccola imbarcazione rispose con una grazia quasi vitale, scivolando oltre uno degli scogli, tanto vicino da poterlo toccare.
Continuò a navigare tra le rocce e a ciascuna che oltrepassava si trovava a pensare a quanto si stesse avvicinando sempre più a sua madre. Che genere di donna avrebbe trovato? Nelle sue visioni non la si poteva distinguere bene, ma Ceres poteva immaginare e sperare. Magari era gentile, delicata e amorevole, tutte cose che non aveva mai ricevuto dalla madre che aveva sempre pensato sua a Delo.
Cos’avrebbe pensato sua madre di lei? Quel pensiero colse Ceres mentre conduceva la barca ad avanzare in mezzo alla nebbia. Non sapeva cosa la aspettasse davanti. Magari sua madre l’avrebbe guardata e avrebbe visto una persona che non era stata capace di vincere nell’arena, che non era stata niente più che una schiava dell’Impero, che aveva perso la persona che amava di più. E se su madre l’avesse rifiutata? E se fosse stata dura, crudele e spietata?
O forse invece sarebbe stata fiera di lei.
Ceres uscì dalla nebbia così improvvisamente che le parve quasi un sipario che si levava. Ora il mare era piatto, sgombro da quelle rocce aguzze che prima spuntavano dalla superficie. Istantaneamente poté vedere che c’era qualcosa di diverso. La luce della luna sembrava in qualche modo più luminosa, ed attorno ad essa le nubi roteavano in macchie di colore nella notte. Anche le stelle sembravano mutate, tanto che adesso Ceres non riusciva a distinguere le costellazioni familiari che ‘cerano prima. Una cometa lasciò un scia all’orizzonte e il rosso vivo si mescolò al giallo e ad altri colori che non avevano pari nel mondo di sotto.
Cosa ancora più strana, Ceres sentì il potere dentro di lei che pulsava, come se stesse rispondendo a quel luogo. Sembrava allungarsi dentro di lei, aprendosi e permettendole di fare esperienza di quel nuovo posto in cento modi che prima non avrebbe mai pensato.
Ceres vide una forma salire dall’acqua, un collo lungo e serpentino che si sollevava prima di rituffarsi sotto alle onde in uno scoppio di spruzzi. La creatura si alzò ancora brevemente e Ceres ebbe l’impressione di qualcosa di enorme che le nuotava vicino nell’acqua prima di sparire. Bestie simili ad uccelli guizzarono alla luce della luna e fu solo quando si avvicinarono di più che Ceres poté vedere che erano falene argentate più grosse della sua testa.
Con gli occhi sempre più pesanti per il sonno, Ceres fissò il timone, si distese e lasciò che il sonno si impadronisse di lei.
***
Ceres si svegliò al grido di uccelli. Sbatté le palpebre e si mise a sedere, constatando che non erano per niente uccelli. Due creature con il corpo di grossi gatti fluttuavano sopra di lei con ali d’aquila, chiamando con i loro becchi rapaci spalancati. Non diedero alcun segno di volersi avvicinare a lei e si limitarono a volare in cerchio sopra alla barca prima di allontanarsi.
Ceres li guardò e dato che li stava seguendo con lo sguardo vide il piccolo puntino di un’isola verso la quale si stavano dirigendo all’orizzonte. Più veloce che poté Ceres issò la piccola vela, cercando di cogliere il vento che soffiava perché la spingesse verso quell’isola.
Il puntino si fece più grande e quelli che le parvero altri scogli apparvero dall’oceano mentre Ceres si avvicinava, ma non erano gli stessi che aveva visto tra la nebbia. Questi erano squadrati, artificiali, ricavati da un marmo iridescente. Alcuni di essi sembravano le guglie di qualche grandioso edificio da tempo sommerso dalle onde.
Spuntava anche un mezzo arco, così grande che Ceres non poteva immaginare cosa potesse essere passato sotto di esso. Guardò oltre il lato della barca e l’acqua era così trasparente che lei poté scorgere il fondale marino di sotto. Non era molto profondo e Ceres poté vedere i resti di vecchi edifici là sotto. Erano così vicini che Ceres avrebbe potuto nuotare fino a raggiungerli solo trattenendo il fiato. Ma non lo fece, sia per le cose che già aveva visto nell’acqua e anche per quello che le stava davanti.
Eccola lì. L’isola dove avrebbe ottenuto le risposte di cui aveva bisogno. Dove avrebbe capito il suo potere.
Dove avrebbe finalmente incontrato sua madre.
Lucio fece roteare la lama sopra alla spalla, esultando per come luccicava alla fioca luce un istante prima di andare a trafiggere il vecchio che aveva osato metterglisi davanti. Attorno a lui altri paesani morivano per mano dei suoi uomini: quelli che avevano osato opporre resistenza, e abbastanza stupidi da trovarsi nel posto sbagliato nel momento sbagliato.
Sorrideva mentre le grida riecheggiavano attorno a lui. Gli piaceva quando i contadini cercavano di combattere, perché dava ai suoi uomini la scusa di mostrare loro quanto deboli fossero veramente in confronto ai loro superiori. Quanti ne aveva uccisi ormai in assalti come quello? Non si era preoccupato di tenerne il conto. Perché avrebbe dovuto sprecare anche un briciolo di attenzione per una cosa del genere?
Lucio si guardò attorno mentre i paesani iniziavano a scappare e fece cenno a qualcuno dei suoi uomini che si misero ad inseguirli. Correre era quasi meglio che combattere, perché c’era una sfida nel dare loro la caccia come fossero delle prede.
“Il vostro cavallo, vostra altezza?” chiese uno degli uomini conducendo lo stallone di Lucio.
Lucio scosse la testa. “L’arco direi.”
L’uomo annuì e passò a Lucio un elegante arco ricurvo di frassino bianco misto a corno e decorato d’argento. Mise in posizione una freccia, tirò la corda e scoccò il colpo. In lontananza uno dei contadini in fuga cadde a terra.
Non ci furono altri combattimenti, ma questo non significava che avessero ancora finito. Non per un po’. Aveva scoperto che i contadini che si nascondevano potevano essere divertenti come quelli da rincorrere e combattere. C’erano così tanti modi diversi di torturare quelli che sembravano avere dell’oro, e molti altri di uccidere coloro che potevano avere delle simpatie per i ribelli. La ruota ardente, la forca, il cappio… quale avrebbe usato oggi?
Lucio fece cenno a un paio dei suoi uomini di buttare giù le porte a calci. Di tanto in tanto gli piaceva dare fuoco a quelli che si nascondevano, ma le case valevano più dei loro abitanti. Una donna uscì correndo e Lucio la prese, gettandola a caso verso uno dei mercanti di schiavi che avevano iniziato a seguirlo da un po’, come gabbiani dietro a un peschereccio.
Entrò nel tempio del villaggio. Il sacerdote era già a terra con il naso rotto, mentre gli uomini di Lucio raccoglievano oggetti d’oro e d’argento mettendoli in un sacco. Una donna vestita da sacerdotessa si portò davanti a lui. Lucio notò una ciocca di capelli biondi uscire da sotto il cappuccio e un certo aspetto raffinato che lo fece esitare.
“Non puoi fare questo,” insistette la donna. “Siamo in un tempio!”
Lucio la afferrò e le tolse il cappuccio per poterla guardare. Non era bella come Stefania – nessuna donna di basso rango avrebbe mai potuto esserlo – ma lo era abbastanza da poter essere tenuta per un po’. Almeno fino a che non si fosse stufato.
“Mi manda il vostro re,” disse Lucio. “Non cercare di dirmi cosa non posso fare!”
Troppe persone avevano tentato di farlo nella sua vita. Avevano cercato di imporgli dei limiti, quando lui invece era la persona dell’Impero sulla quale non avrebbero dovuto esserci limitazioni. Ci avevano provato i suoi genitori, ma un giorno lui sarebbe stato re. Sarebbe stato re, nonostante quello che aveva trovato nella biblioteca quando il vecchio Cosma pensava fosse troppo stupido per capire. Tano avrebbe imparato qual era il suo posto.
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