Gli diede un ceffone! Come se fosse una qualsiasi sgualdrina che aveva parlato a sproposito, non un guerriero con cui valesse la pena parlare. Non un principe!
Ma il colpo bastò comunque per farlo crollare a terra e Lucio emise un piccolo grido di rabbia.
Meglio che tu stia giù, ragazzo, gli sussurrò la voce di suo padre.
“Taci!”
Portò la mano sotto alla camicia, alla ricerca del coltello che teneva nascosto lì. Fu in quel momento che il capitano Arvan gli diede un calcio.
Il primo colpo lo prese allo stomaco, abbastanza forte da farlo rotolare dalle ginocchia alla schiena. Il secondo colpì la testa, e bastò a fargli vedere le stelle. Non fece nulla per mettere a tacere la voce di suo padre.
Chiamati guerriero. So che sai fare di meglio.
Facile a dirsi quando non era lui ad essere picchiato a morte sul ponte di una nave.
“Pensi di potermi accoltellare, ragazzo?” chiese il capitano Arvan. “Venderei la tua carcassa se pensassi che qualcuno pagherebbe per averla. Ma dati i fatti, ti getteremo in mare e vedremo se anche gli squali arricceranno il naso!” Ci fu una pausa, inframmezzata da un altro calcio. “Voi due, prendetelo. Stiamo a vedere come galleggia bene la gente di corte.”
“Io sono un re!” si lamentò Lucio mentre delle forti mani iniziavano a tirarlo su. “Un re!”
E presto sarai un ex-re, continuò la voce di suo padre.
Lucio si sentì privo di peso mentre gli uomini lo sollevavano abbastanza in alto da fargli vedere l’acqua infinita attorno a loro, nella quale presto sarebbe stato gettato per annegare. Eccetto il fatto che non era infinita, giusto? Poteva vedere…
“Terra a dritta!” gridò la vedetta.
Per un momento la tensione tenne, e Lucio fu certo che l’avrebbero comunque gettato in mare.
La voce del capitano Arvan tuonò sopra a tutto il fragore.
“Lasciate andare quel regale spreco di fiato. Abbiamo tutti dei compiti da eseguire, e molto presto ci sbarazzeremo di lui.”
I marinai non discussero. Gettarono invece Lucio sul ponte, lasciandolo per andare a sistemare le funi con il resto dell’equipaggio.
Dovresti essere riconoscente, sussurrò la voce di suo padre.
Lucio era tutt’altro che riconoscente però. Invece aggiunse mentalmente quella nave e la sua ciurma alla lista di coloro che l’avrebbero pagata non appena lui avesse riavuto indietro il suo trono. Li avrebbe visti bruciare.
Li avrebbe visti bruciare tutti.
Tano stava seduto nella sua gabbia e aspettava la morte. Ruotava e si girava sotto al sole di Delo, cucinandosi lentamente mentre dall’altra parte del cortile le guardie lavoravano per costruire le forche sulle quali sarebbe morto. Tano non si era mai sentito così inerme.
Né così assetato. Lo avevano ignorato e non gli avevano dato niente da mangiare né da bere, dirigendo verso di lui la loro attenzione solo quando volevano far vibrare le spade contro le sbarre della gogna, importunandolo.
I servitori si affrettavano avanti e indietro nel cortile, con un senso di urgenza nelle loro faccende che suggeriva che nel castello stesse accadendo qualcosa. Tano non sapeva di cosa si trattasse. O forse era solo il modo in cui le cose accadevano come conseguenza della morte del re. Forse tutta quella frenesia era semplicemente dovuta alla regina Atena che faceva andare Delo nel modo che meglio gradiva.
Tano poteva immaginarsi la regina farlo. Mentre qualcun altro sarebbe rimasto chiuso nel suo dolore, quasi incapace di agire, Tano poteva immaginare la donna che vedeva la morte di suo marito come un’opportunità.
Le mani di Tano si strinsero attorno alle sbarre della gogna. C’era una buona probabilità che lui fosse l’unico a piangere la morte di suo padre in quel preciso istante. I servitori e la gente di Delo avevano tutti i motivi per odiare il loro re. Atena era probabilmente troppo presa dai suoi progetti per curarsene. Per quanto riguardava Lucio…
“Ti troverò,” promise Tano. “Ci sarà giustizia per questo. Per tutto…”
“Oh, ci sarà giustizia, proprio vero,” disse una delle guardie. “Proprio quando ti sgozzeremo per quello che hai fatto.”
Tirò un colpo contro le sbarre, prendendo le dita di Tano così forte da farlo sibilare per il dolore. Tano fece per acciuffarlo, ma la guardia rise saltellando fuori portata e andando ad aiutare gli altri con la costruzione del palco sul quale Tano sarebbe stato ucciso alla fine.
Era un palcoscenico. Tutta quella faccenda era uno spettacolo. In un istante di violenza Atena avrebbe preso il controllo dell’Impero, sia rimuovendo il più grosso pericolo dal suo potere che mostrando che lei restava in carica, al posto di suo figlio, salendo alla corona.
Magari credeva davvero che fosse così. Se era così, Tano le augurava fortuna. Atena era malvagia e avida, ma suo figlio era un folle senza limiti. Aveva già ucciso suo padre e se sua madre pensava di poterlo controllare, allora avrebbe avuto bisogno di tutto l’aiuto che poteva trovare.
E come lei, tutti coloro che stavano a Delo, dall’ultimo dei contadini fino a Stefania, intrappolata e alla mercé della gente di corte che di misericordia proprio non ne aveva.
Il pensiero di sua moglie fece sussultare Tano. Era venuto lì per salvarla, e invece era arrivato a questo. Se non fosse stato lì, forse le cose sarebbero andate meglio. Forse le guardie si sarebbero rese conto che era stato Lucio a uccidere il re. Forse avrebbero agito, piuttosto che cercare di spazzare via tutto.
“O forse avrebbero dato la colpa alla ribellione,” disse Tano, “dando a Lucio un’altra scusante.”
Poteva immaginarlo. Non contava quanto male tutto andasse: Lucio avrebbe sempre trovato il modo di far ricadere la colpa sugli altri. E se alla fine non fosse stato lì, non avrebbe potuto sentire suo padre che riconosceva la sua identità. Non avrebbe saputo che c’erano prove di essa a Cadipolvere.
Non avrebbe avuto la possibilità di dire addio, o tenere tra le braccia suo padre mentre moriva. Ora i suoi rimorsi erano tutti legati al fatto che non sarebbe riuscito a vedere Stefania prima che lo giustiziassero, né avrebbe potuto sapere se era al sicuro. Anche considerato tutto quello che aveva fatto, non avrebbe dovuto abbandonarla al molo. Era stata una mossa egoista, indotta solo dalla sua rabbia e disgusto personali. Era stata una mossa che gli era costata sua moglie, e la vita del loro bambino.
Era stata una mossa che probabilmente sarebbe costata a Tano la sua stessa vita, dato che si trovava lì solo perché Stefania era in trappola. Se l’avesse portata con sé e l’avesse lasciata in salvo ad Haylon, niente di tutto ciò sarebbe successo.
Tano allora capì che c’era una cosa che doveva fare prima che lo uccidessero. Non poteva fuggire, non poteva sperare di evitare ciò che lo stava attendendo, ma poteva pur sempre provare a mettere le cose a posto.
Aspettò che un altro dei servitori attraversasse il cortile e gli si avvicinasse. Al primo che vide fece segno ma quello continuò a camminare.
“Per favore,” chiamò il secondo, che si guardò attorno prima di scuotere la testa e continuare per la sua strada.
Il terzo, una giovane donna, si fermò.
“Non dovremmo parlare con te,” gli disse. “Ci hanno vietato di portarti cibo e acqua. La regina vuole che soffri per aver ucciso il re.”
“Non l’ho ucciso io,” disse Tano. Allungò una mano mentre lei iniziava a voltarsi. “Non mi aspetto che tu mi creda, e non ho intenzione di chiederti dell’acqua. Potresti portarmi carboncino e carta? La regina non può aver vietato anche questo.”
“Hai in mente di scrivere un messaggio alla ribellione?” chiese la servitrice.
Tano scosse la testa. “Niente del genere. Puoi leggere quello che scriverò se vuoi.”
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