Ma c’era qualcosa a guidarlo che era più forte del suo stesso istinto di sopravvivenza, dell’istinto di sopravvivenza della sua famiglia e della sua gente. Era guidato da un desiderio di giustizia. Per la libertà. Da un desiderio di eliminare l’oppressore ed essere libero, anche se solo per un momento nella sua vita. Se non per se stesso, allora per Loti. Per la sua libertà.
Dario era guidato dalla passione e non dal pensiero logico. C’era l’amore della sua vita là fuori e lui aveva sofferto un po’ troppe volte per mano dell’Impero. Qualsiasi fossero le conseguenze, non gli interessava più. Aveva bisogno di mostrare loro che c’era un uomo tra la sua gente, anche se era solo un uomo, addirittura solo un ragazzo che non aveva intenzione di abbassarsi al loro trattamento.
Dario continuò a correre, girando e svoltando facendosi strada attraverso campi che gli erano familiari, fino ad arrivare nella periferia del territorio di Volusia. Sapeva che solo essere scovato lì, così vicino a Volusia, gli sarebbe costato la vita. Seguiva le tracce raddoppiando la velocità, vedendo le orme di zerta vicine e sapendo che si stavano muovendo lentamente. Sapeva che se avesse proseguito abbastanza velocemente avrebbe potuto prenderli.
Dario svoltò dietro a una collina e finalmente, in lontananza, scorse ciò che stava cercando: lì a forse cento metri da lui, c’era Loti incatenata al collo con spesse catene di ferro lunghe quasi dieci metri che la tenevano legata ai finimenti della zerta. Sulla zerta sedeva il supervisore dell’Impero, quello che l’aveva rapita. Le dava le spalle e al suo fianco, a piedi, si trovavano altri due soldati dell’Impero con addosso la tipica armatura nera e oro che scintillava al sole. Erano grossi quasi il doppio di Dario, guerrieri formidabili, uomini con le armi migliori e una zerta al comando. Dario sapeva bene che ci sarebbe voluto un esercito di schiavi per sopraffare quei soldati.
Ma Dario non aveva paura di imbattersi in loro. Tutto ciò che aveva a trasportarlo era il suo spirito, la sua forte determinazione, e sapeva che doveva trovare un modo perché questo gli bastasse.
Continuò a correre avvicinandosi sempre più alla carovana che non si aspettava di averlo alle calcagna e presto fu alle loro spalle, correndo verso Loti da dietro, sollevando la spada in alto e colpendo con forza la catena che la teneva legata alla zerta mentre lei lo guardava con espressione sbalordita.
Loti gridò e fece un balzò indietro, scioccata mentre Dario tagliava le sue catene liberandola. Il caratteristico suo o del metallo squarciò l’aria. Loti rimase ferma, libera, le catene ancora attaccate al collo e penzolanti sul petto.
Dario si voltò e vide un’espressione di pari sbigottimento anche sul volto del supervisore dell’Impero che lo guardava dalla sua zerta. I soldati che camminavano a terra accanto a lui si fermarono, tutti sorpresi di vedere Dario.
Dario rimase lì con le braccia tremanti, tendendo verso di loro la sua spada di metallo e determinato a non mostrare paura, difendendo Loti.
“Non ti appartiene,” gridò con voce tremante. “È una donna libera. Siamo tutti liberi!”
I soldati guardarono il supervisore.
“Ragazzo,” disse questi a Dario, “hai appena fatto l’errore più grande della tua vita.”
Fece un cenno ai suoi soldati che sollevarono le loro spade contro di lui e lo attaccarono.
Dario rimase impassibile, tenendo la spada con mani tremanti, ed ebbe la sensazione che i suoi antenati lo stessero guardando. Sentiva che tutti gli schiavi uccisi in passato lo stavano guardando e sostenendo. E iniziò a sentire un forte calore crescere dentro di sé.
Percepì il suo potere nascosto che iniziava a muoversi, chiedendogli di essere usato. Ma Dario non voleva concedersi di utilizzarlo. Voleva combattere uomo contro uomo, batterli come li avrebbe battuti qualsiasi normale essere umano, mettere in pratica l’allenamento con i suoi fratelli d’armi. Voleva vincere da uomo, combattere come un uomo con reali armi di metallo e sconfiggerli con i loro stessi mezzi. Era sempre stato più veloce di tutti gli altri ragazzi più grandi, con le loro lunghe spade di legno e la struttura muscolosa, anche ragazzi che erano il doppio di lui. Rimase saldo al suo posto e si preparò mentre lo attaccavano.
“Loti!” gridò senza voltarsi. “CORRI! Torna al villaggio!”
“NO!” gli rispose lei.
Dario sapeva che doveva fare qualcosa: non poteva stare lì e aspettare che lo raggiungessero. Sapeva che doveva sorprenderli, fare qualcosa che non si aspettavano.
Improvvisamente si lanciò all’attacco scegliendo uno dei due soldati e correndo verso di lui. Si scontrarono nel mezzo della radura polverosa e Dario lanciò un forte grido di battaglia. Il soldato fece roteare la propria spada verso la sua testa, ma Dario parò il colpo. Le loro spade sprizzarono scintille nel primo impatto di metallo contro metallo che Dario avesse mai provato. La lama era più pesante di quanto si aspettasse, il colpo del soldato più forte e lui sentì una forte vibrazione, sentì tutto il braccio che gli tremava fino al gomito e alla spalla. Questo lo prese alla sprovvista.
Il soldato si voltò velocemente intenzionato a colpire Dario di lato, ma anche lui si voltò e parò il colpo un’altra volta. Non aveva niente di simile ai combattimenti con i suoi compagni: Dario sentiva che si stava muovendo più lentamente del solito e che la spada era troppo pesante. Gli ci voleva tempo per abituarcisi e sembrava che l’altro soldato si stesse muovendo al doppio della sua velocità.
Il soldato colpì di nuovo e Dario si rese conto che non sarebbe riuscito a batterlo colpo dopo colpo: avrebbe dovuto fare affidamento sugli altri poteri che possedeva.
Si fece da parte schivando il colpo anziché pararlo e poi diede una gomitata nella gola al soldato. Lo prese perfettamente. L’uomo tossì e barcollò indietro, chinandosi e portandosi le mani al collo. Dario sollevò l’elsa della spada e gli diede un colpo alla schiena mandandolo a faccia in giù nella terra.
In quel momento anche l’altro soldato attaccò e Dario si voltò, sollevò la spada e bloccò il potente colpo che stava scendendo verso il suo volto. Il soldato continuò a lanciarsi contro di lui mandando Dario a terra.
Dario sentì la cassa toracica che quasi gli si spezzava mentre il soldato si trovava sopra di lui ed entrambi atterravano al suolo sollevando una grossa nuvola di polvere. Il soldato lasciò andare la spada e allungò le mani cercando di accecare Dario con le dita.
Dario gli afferrò i polsi, tenendoli fermi con mani tremanti ma perdendo terreno. Capì che doveva fare presto qualcosa.
Sollevò un ginocchio e si girò, riuscendo a portare l’uomo di lato. Con lo stesso movimento estrasse il lungo pugnale che aveva visto alla cintura dell’avversario e lo sollevò spingendolo nel petto dell’uomo mentre rotolavano a terra.
Il soldato gridò e Dario rimase sopra di lui guardandolo morire davanti ai suoi occhi. Rimase immobile e scioccato. Era la prima volta che uccideva un uomo. Era un’esperienza surreale. Si sentiva vittorioso e rattristato allo stesso tempo.
Dario udì un grido da dietro che lo riportò alla realtà si voltò vedendo l’altro soldato, quello che aveva atterrato per primo, che si era rimesso in piedi e correva verso di lui. Sollevò la spada facendola roteare intenzionato a colpirgli la testa.
Dario attese, concentrato, poi schivò il colpo all’ultimo momento e il soldato inciampò passando oltre.
Dario prese il pugnale dal petto dell’uomo morto e si voltò mentre anche il soldato si girava e tornava indietro. Dario, in ginocchio, si chinò e lanciò il coltello.
Lo vide roteare in aria e andare a conficcarsi nel cuore del soldato, perforandogli l’armatura. Lo stesso metallo dell’Impero, secondo a nessuno, usato contro loro stessi. Forse, pensò Dario, avrebbero dovuto forgiare armi meno affilate.
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