Morgan Rice - La Legge Delle Regine

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In LA LEGGE DELLE REGINE, Gwendolyn è a capo di ciò che rimane del suo popolo in esilio mentre navigano tra gli ostili porti dell’Impero. Accolti dal popolo di Sandara, cercano di insediarsi di nascosto per costruire un nuovo paese senza che Volusia lo sappia. Facendosi più vicini alla gente di Sandara capiranno di avere uno scopo comune nella lotta contro l’Impero. Dario rischia tutto per salvare l’amore della sua vita, anche se ciò lo costringe ad affrontare l’Impero da solo. Continua nel suo percorso per diventare un grande guerriero, sempre che sopravviva nella sua spericolata impresa. Thor è determinato a salvare Guwayne, e la sua impresa lo porterà insieme ai compagni della Legione, ad attraversare il mare fino ai confini dell’Impero, incontrando mostri inimmaginabili e paesaggi esotici. Nelle Isole del Sud Alistair si sacrifica per Erec, eppure un colpo di scena inaspettato potrebbe salvarli entrambi. E Volusia sorgerà, dopo l’assassinio di Romolo, per consolidare la sua stretta sull’Impero e diventare la grande e spietata regina che era destinata ad essere. Scoprirà Gwendolyn e la eliminerà una volta per tutte? Gwen e il suo popolo sopravviveranno? Guwayne verrà trovato? Alistair ed Erec vivranno? Dario salverà Lotti? Thorgrin e i suoi fratelli d’armi sopravviveranno? Con la sua sofisticata struttura e caratterizzazione, LA LEGGE DELLE REGINE è un racconto epico di amicizia e amore, di rivali e seguaci, di cavalieri e draghi, di intrighi e macchinazioni politiche, di maturazione, di cuori spezzati, di inganno, ambizione e tradimento. È un racconto di onore e coraggio, di fato e destino, di stregoneria. È un fantasy capace di portarci in un mondo che non dimenticheremo mai, in grado di affascinare persone di ogni sesso ed età. Un grande intreccio, è proprio il genere di libro che farete fatica a mettere giù per dormire. Il finale è ad alta tensione, talmente spettacolare che vorrete comprare all’istante il libro successivo, anche solo per vedere cosa succede. The Dallas Examiner {parlando di Amata}

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Volusia si girò verso il suo comandante che stava pazientemente in attesa di un suo ordine e gli fece cenno con la testa.

L’uomo immediatamente si voltò e fece un cenno ai suoi uomini: si udì il rumore di decine di migliaia di frecce che venivano incendiate e scoccate.

I dardi riempirono il cielo, oscurandolo e disegnando un arco di fiamme andando ad atterrare sulla nave di Romolo. Accadde tutto velocemente perché chiunque a bordo potesse reagire e presto l’intera nave era in fiamme, con uomini che gridavano, il loro comandante più di tutti, mentre si dimenavano senza avere un posto dove scappare, cercando di spegnere il fuoco.

Ma non servì a nulla. Volusia fece una altro cenno e raffica dopo raffica altre frecce volarono in aria, coprendo la nave in fiamme. Gli uomini gridavano trafitti, cadendo dal ponte. Altri continuavano a dimenarsi a bordo. Fu una carneficina, nessun sopravvissuto.

Volusia stava a guardare sorridendo, osservando con soddisfazione mentre la nave bruciava lentamente dalla base fino all’albero maestro. Alla fine non rimasero che pochi pezzi anneriti.

Calò il silenzio quando gli uomini di Volusia si fermarono, tutti guardandola, in paziente attesa di un suo ulteriore comando.

Volusia fece un passo avanti, sguainò la spada e tagliò la spessa fune che teneva la nave ancorata al pontile. La corda si spezzò liberando l’imbarcazione e Volusia sollevò uno dei suoi stivali ricoperti d’oro e diede una spinta alla prua.

Guardò la nave che iniziava a muoversi, presa dalla corrente, una corrente che lei sapeva bene l’avrebbe portata a sud, nel cuore della capitale. Avrebbero tutti visto la barca bruciata, il cadavere di Romolo, le frecce dei volusiani. Tutti avrebbero capito che era opera sua. Avrebbero capito che era iniziata la guerra.

Volusia si voltò verso Soku che le stava accanto a bocca aperta e gli sorrise.

“È così,” gli disse, “che io offro la pace.”

CAPITOLO QUATTRO

Gwendolyn si inginocchiò a prua, tenendosi stretta al corrimano, le nocche bianche mentre cercava di raccogliere le forze necessarie per sporgersi e guardare l’orizzonte. Tutto il corpo le tremava, era debole per la mancanza di cibo e mentre guardava oltre si sentiva barcollante e con la testa leggera. Si mise in piedi trovando in qualche modo la forza e guardò con meraviglia la vista che aveva davanti.

Strizzò gli occhi nella nebbia chiedendosi se di trattasse di realtà o di un miraggio.

Lì all’orizzonte si allungava una costa interminabile e al centro di essa un fulcro trafficato con un enorme porto, due grandissimi pilastri d’oro scintillante che incorniciavano la città che sorgeva subito dietro, levandosi alti fino al cielo. Le colonne e gli edifici assumevano una tinta giallastro-verdognola mentre il sole si muoveva. Le nuvole si spostavano velocemente. Gwen non sapeva se ciò fosse dovuto al fatto che il cielo lì da quella parte del mondo era totalmente diverso o se dipendesse dal suo continuo perdere e riprendere conoscenza.

Nel porto della città si trovavano attraccate un migliaio di belle navi, tutte con alberi maestri che non aveva mai visto così alti, tutti ricoperti d’oro. Era la città più prospera che avesse mai visto, costruita proprio sulla costa e allungata all’infinito mentre l’oceano le scrosciava contro. Faceva apparire la Corte del Re come un paesino al confronto. Gwen non avrebbe mai immaginato che così tanti edifici potessero trovarsi allo stesso tempo in un luogo. Si chiese quanta gente potesse viverci. Doveva trattarsi di una grande nazione. La nazione dell’Impero.

Gwen provò un’improvvisa fitta allo stomaco rendendosi conto che le correnti li stavano spingendo proprio lì. Presto sarebbero stati risucchiati in quel grande porto, accerchiati da tutte quelle navi e fatti prigionieri, se non addirittura uccisi. Gwen ricordò quanto crudele fosse stato Andronico, quanto crudele fosse stato Romolo e sapeva che così erano fatti nell’Impero. Forse sarebbe stato meglio morire in mare.

Gwen udì un movimento di piedi sul ponte e voltandosi vide Sandara quasi svenuta per la fame ma pur sempre in piedi, attaccata al corrimano mentre teneva in mano un grosso cimelio dorato. Aveva la forma di corna di toro e lei lo rigirava in modo da farlo luccicare al sole. Vide come la luce veniva raccolta dallo strano oggetto e poi rispedita verso la costa come a trasmettere dei segnali. Sandara non lo stava indirizzando verso la città, ma più a nord, verso quello che sembrava essere un isolato gruppo di alberi lungo la costa.

Mentre gli occhi di Gwen, così pesanti, iniziavano a chiudersi e lei continuava a perdere e riprendere conoscenza, mentre si sentiva accasciare sul ponte, delle immagini cominciarono a scorrerle nella mente. Non era più sicura di cosa fosse realtà e cosa fosse invece generato dalla sua mancanza di cibo. Gwen vide delle canoe, ne vide a decine che emergevano dalla densa giungla di vegetazione e si dirigevano verso il mare aperto, verso la loro nave. Ne scorse un fuggevole scorcio mentre si avvicinavano e fu sorpresa di vedere non la razza dell’Impero, non enormi guerrieri con corna e pelle rossa, ma individui di tipo diverso. Vide uomini e donne fieri e muscolosi con la pelle color cioccolata e scintillanti occhi gialli, con volti compassionevoli e intelligenti. Tutti stavano remando verso di loro per accoglierli. Gwen vide che Sandara li guardava riconoscendoli e si rese conto che erano persone del suo popolo.

Gwen udì il suono sordo di qualcosa che sbatteva contro la nave e vide degli uncini che si attaccavano al ponte, delle funi che venivano gettate imbragando l’imbarcazione. Sentì che la nave cambiava direzione e abbassando lo sguardo vide la flotta di canoe che trascinava la barca guidandola controcorrente, in direzione opposta rispetto alla città dell’Impero. Gwen si rese lentamente conto che la gente di Sandara era giunta in loro aiuto. Stavano conducendo la loro nave verso un porto diverso, lontano dal porto dell’Impero.

Gwen sentì che la nave veniva fatta virare seccamente verso nord, verso la fitta vegetazione, verso un piccolo porticciolo nascosto. Chiuse gli occhi sentendosi colmare dal sollievo.

Subito dopo riaprì gli occhi e si ritrovò in piedi, china sul corrimano, a guardare la propria nave che veniva attraccata. Completamente esausta, Gwendolyn si ritrovò a sporgersi troppo perdendo la presa e scivolando: sgranò gli occhi per la paura e si rese conto che stava per cadere fuori bordo. Si aggrappò al corrimano ma era ormai troppo tardi: lo slancio la stava già portando oltre il bordo.

Il cuore di Gwen batteva per la paura: non poteva credere che dopo tutto quello che aveva passato sarebbe morta a quel modo, affondando silenziosamente nel mare quando erano ormai così vicini alla terra.

Mentre si sentiva cadere, Gwen udì un improvviso ringhio e improvvisamente sentì dei forti denti che le stringevano la camicia. Udì poi un mugolio e si ritrovò trascinata indietro, tirata lontano dall’abisso e finalmente adagiata sul ponte. Atterrò con un tonfo sul ponte di legno e si ritrovò stesa sulla schiena, sana e salva.

Sollevò lo sguardo e vide Krohn che stava sopra di lei e il suo cuore si riempì di gioia. Krohn era vivo e lei era felicissima di rivederlo. Sembrava più magro rispetto all’ultima volta che l’aveva visto, emaciato e si rese conto che aveva perso le sue tracce in tutto quel caos. L’ultima volta che l’aveva visto era stata quando era sceso sottocoperta durante una tempesta particolarmente impetuosa. Si rendeva conto ora che probabilmente era rimasto lì nascosto per tutto quel tempo trattenendosi dal mangiare così da non rubare provviste agli altri. Così era fatto Krohn. Sempre così altruista. E ora che si stavano riavvicinando alla terra era tornato in superficie.

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