Sofia rimase sdraiata a terra, stringendo i denti contro il dolore che le pervadeva le gambe. Si mosse solo quando la suora la frustò e le diede un calcio.
“Alzati, ho detto,” disse seccamente.
Sofia si sforzò di mettersi in piedi, e le suore mascherate la presero per le braccia nel modo in cui Sofia immaginò si prendessero i prigionieri per portarli all’esecuzione. Certo non si sentiva molto meglio al prospetto di quello che la attendeva.
La portarono in una piccola cella di pietra, dove c’erano dei secchi che la aspettavano. La strofinarono e in qualche modo le suore mascherate riuscirono a trasformare anche quel processo in una sorta di tortura. Parte dell’acqua era tanto calda da ustionare la pelle di Sofia mentre lavava via il sangue, facendola gridare per lo stesso dolore che aveva provato quando sorella O’Venn l’aveva picchiata.
Altra acqua era gelata, tanto da farla rabbrividire. Anche il sapone usato dalle suore bruciava, pizzicando gli occhi mentre le strofinavano i capelli e li tiravano indietro in un rozzo nodo che non aveva nulla a che vedere con le eleganti acconciature del palazzo. Le tolsero la biancheria immacolata e le diedero da indossare le cose grigie dell’orfanotrofio. Dopo i vestiti eleganti che Sofia aveva indossato nei giorni precedenti, questi le graffiavano la pelle come insetti dal pungiglione acuminato. Non le diedero da mangiare. Probabilmente non ne valeva la pena, ora che il loro investimento su di lei era al termine.
Questo posto era così. Era come una fattoria per bambini, che dava loro quello che bastava in materia di abilità e paura per renderli utili apprendisti o servitori, poi venderli.
“Sapete che questa cosa è sbagliata,” disse Sofia mentre la scortavano verso la porta. “Non vedete le cose che state facendo?”
Un’altra delle suore le diede una sberla dietro la testa, facendola inciampare.
“Forniamo la misericordia della Dea Mascherata a coloro che ne hanno bisogno. Ora stai zitta. Ti beccherai un prezzo più basso se hai il viso con i lividi delle sberle.”
Sofia deglutì a quel pensiero. Non si era resa conto di quando accuratamente avessero nascosto i segni delle percosse sotto il grigio scuro dei suo indumenti. Di nuovo si trovò a pensare a dei contadini, anche se ora si trattava del genere di mercante di cavalli che avrebbe potuto tingere il mantello di un cavallo per poterlo vendere meglio.
La portarono lungo i corridoi dell’orfanotrofio, e ora non c’erano volti che guardavano. Non volevano che i bambini stessero lì a guardare quella parte, probabilmente perché avrebbe ricordato a troppi di loro il destino che li aspettava. Li avrebbe incoraggiati a scappare, anche se le botte della notte precedente li avevano probabilmente talmente terrorizzati da non poterlo mai osare.
Ad ogni modo stavano andando verso la sezione della Casa degli Indesiderati dove non era permesso l’accesso ai bambini: gli spazi riservati alle suore e ai loro visitatori. Per la maggior parte era un ambiente semplice, anche se c’erano note di benessere e ricchezza qua e là, nei candelabri dorati, o nel luccichio dell’argento attorno ai bordi di una maschera cerimoniale.
La stanza in cui condussero Sofia era particolarmente adorna secondo gli standard dell’orfanotrofio. Sembrava un po’ il salone da ricevimento di una qualche casa di nobili, con sedie disposte ai lati, ciascuna con un tavolino sul quale era posato un calice di vino e un piatto di carni dolci. C’era un tavolo a un’estremità della stanza, dietro al quale si trovava sorella O’Venn, con un pezzo di pergamena piegata accanto a sé. Sofia immaginò che si trattasse del conteggio per il suo contratto di vincolo. Le avrebbero almeno detto il valore prima di venderla?
“Formalmente,” disse sorella O’Venn, “dobbiamo chiederti, prima di venderti a chi ti comprerà, se hai i mezzi per ripagare il tuo debito alla dea. La somma è qui. Vieni, nullità, e scopri cosa vali veramente.”
Sofia non aveva scelta: la portarono al tavolo e lei abbassò lo sguardo. Non fu sorpresa di trovare annotato sul foglio ogni pasto, ogni notte trascorsa lì. Il totale era talmente alto che Sofia si ritrasse per istinto.
“Hai i mezzi per pagare questo debito?” ripeté la suora.
Sofia la fissò. “Sapete che non li ho.”
C’era uno sgabello in mezzo alla stanza, intagliato in duro legno e completamente discorde rispetto al resto della stanza. Sorella O’Venn lo indicò.
“Allora ti siederai lì, e vedi di farlo a modo. Non parlerai se non ti verrà richiesto. Obbedirai all’istante a ogni istruzione. Se fallisci, verrai punita.”
Sofia provava troppo dolore per poter disobbedire. Andò verso il basso sgabello e si sedette, tenendo gli occhi bassi tanto da non attirare l’attenzione delle suore. Lo stesso vide delle figure che entravano nella stanza, uomini e donne, tutti con un certo senso di ricchezza ad accompagnarli. Sofia non poté vedere molto di più, perché indossavano veli poco dissimili da quelli delle suore: ovviamente nessuno voleva vedere chi fosse interessato a comprarla come un pezzo di bestiame.
“Grazie per essere venuti con così poco preavviso,” disse sorella O’Venn, e ora la sua voce era affettata come quella di un mercante che mostra le virtù di qualche bella seta o profumo. “Spero che la troverete di sufficiente valore. Vi prego di prendervi un momento per esaminare la ragazza, e poi fate pure a me le vostre offerte.”
Allora circondarono Sofia, fissandola nel modo in cui un cuoco potrebbe esaminare un taglio di carne al mercato, chiedendosi per cosa potrebbe essere buono, tentando di scorgervi la minima traccia di marciume o di eccessivo grasso. Una donna ordinò a Sofia di guardarla, e Sofia fece del suo meglio per obbedire.
“Il colorito è buono,” disse la donna, “e immagino che possa essere sufficientemente carina.”
“È un peccato che non ce la facciano vedere insieme a un ragazzo,” disse un uomo grasso con un flebile accento che lo collocava come proveniente dall’altra parte del Tagliacqua. Le sue costose sete erano macchiate di vecchio sudore, il puzzo mascherato da un profumo probabilmente più adatto per una donna. Guardò verso le suore come se Sofia non fosse lì. “A meno che la vostra opinione al riguardo non sia cambiata, sorelle?”
“Questo rimane sempre un luogo della Dea,” disse sorella O’Venn, e Sofia poté cogliere la genuina disapprovazione nella sua voce. Strano che si tirasse indietro davanti a una cosa del genere, dato che non lo faceva di fronte a tante altre cose, pensò Sofia.
Dispiegò il suo talento, cercando di cogliere quello che poteva dalle menti dei presenti. Non sapeva cosa sperava di ottenere, però, dato che non c’era modo che potesse pensare di influenzare le loro opinioni in un modo o nell’altro. Invece le diede solo un’opportunità per vedere le stesse crudeltà, gli stessi fini spietati, più e più volte. La cosa migliore che poteva sperare era la servitù. La peggiore la faceva rabbrividire di paura.
“Uhm, trema meravigliosamente quando ha paura,” disse un uomo. “Troppo delicata per le miniere, immagino, ma offrirò la mia proposta.”
Andò da sorella O’Venn sussurrandole una cifra. Uno alla volta gli altri fecero lo stesso. Quando ebbero finito, la suora si guardò attorno nella stanza.
“Al momento il maestro Karg ha l’offerta più alta,” disse sorella O’Venn. “C’è qualcuno che desidera alzare la propria?”
Un paio dei presenti parve considerare la cosa. La donna che aveva voluto guardare Sofia negli occhi andò dalla suora mascherata, probabilmente sussurrandole un’altra cifra.
“Grazie a tutti voi” disse alla fine sorella O’Venn. “I nostri affari sono conclusi. Maestro Karg, ora il contratto di vincolo appartiene a voi. È necessario che le ricordi che se dovesse essere ripagato, la ragazza sarà libera di andare.”
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