“Lo chiami tutte le mattine?” chiese Bryn, sorpresa.
Keira percepì un accenno di disprezzo nella voce della sorella. Era una single perenne e una maniaca degli appuntamenti, cosa che la rendeva immediatamente sospettosa di chiunque dichiarasse di aver trovato l’amore.
“Già,” rispose Keira. “Di solito stai ronfando e quindi non te ne accorgi.”
“Beh, secondo me non è sano,” iniziò Bryn. “Dipendi già troppo da lui.”
Keira si alzò roteando gli occhi verso il cielo. L’attività preferita di Bryn era dare aria alla bocca, nonostante fosse un modello di comportamento tremendo. Invece lei era convinta che se solo avesse saputo, se solo avesse visto, ciò che condivideva con Shane, non sarebbe stata tanto sicura di sé.
Keira si chiuse in bagno con il telefono, consapevole che quello fosse l’unico luogo dove avrebbe potuto avere un po’ di privacy nel minuscolo appartamento di Bryn, e fece il numero di telefono di Shane. Un familiare brivido di eccitazione la attraversò tutta mentre aspettava, ascoltando il segnale di libero, in attesa di sentire di nuovo la sua voce affascinante. Non vedeva l’ora di raccontargli delle cose interessanti che aveva organizzato per la sua visita, tutte le attrazioni di New York che voleva svelargli, dagli assaggi di cibo lungo il Restaurant Row alle passeggiate sul fiume a Tribeca, per poi passare al Tenement Museum, ai giardini a Battery Park, al frutteto fuori città e le gallerie d’arte a Chelsea. L’itinerario era strapieno e sapeva che Shane sarebbe stato emozionato dalla sua visita della città quanto lei lo era di mostrargliela.
Finalmente rispose alla chiamata e il cuore di Keira prese a battere forte. Invece della solita voce allegra, Shane aveva un tono provato. E piuttosto che iniziare la chiamata con un nomignolo esagerato e buffo, come coniglietta o fiorellino, usò il suo vero nome.
“Keira, ehi,” disse, sembrando esausto, come se avesse avuto la giornata peggiore che si potesse immaginare.
La gioia di Keira si trasformò subito in angoscia. In lontananza sentiva suoni poco familiari, diverse conversazioni sovrapposte e telefoni che squillavano.
“Che cosa è successo?” chiese, iniziando a spaventarsi. “Dove sei?”
“All’ospedale.”
“Oh, mio Dio, perché?” Il cuore di Keira perse un colpo per la paura, e una miriade di possibilità le riempì la mente. “Sei ferito? Malato?”
“Non è per me,” rispose lui. “Io sto bene. È per mio padre.”
Un’immagine del padre di Shane, Calum Lawder, le apparve davanti agli occhi. Era una delle persone più gentili e dolci che avesse mai avuto la fortuna di incontrare. L’idea che gli fosse successo qualcosa era agghiacciante.
“Sta bene? Dimmi che cosa sta succedendo!”
Shane fece un profondo sospiro. “Starà bene adesso che è stato operato.”
A Keira si gelò il sangue nelle vene. “Operato?” ripeté in uno strillo.
“Sono stato tutto il giorno al Pronto Soccorso. Ha avuto un attacco di cuore. Gli hanno dovuto mettere uno stent. È un miracolo che sia ancora vivo. Se non ci fosse stato un chirurgo cardiaco qua all’ospedale per un altro appuntamento, non ce l’avrebbe fatta.”
“Oh, Shane, mi dispiace così tanto,” disse Keira, con il petto stretto dall’ansia. Avrebbe voluto poter attraversare la linea telefonica e raggiungere Shane, per stringerselo al cuore e dimostrargli tutto il suo affetto. “Come sta tua madre? E le tue sorelle?”
“Stiamo bene,” rispose Shane. “Siamo ancora tutti sotto shock, a dir la verità. Specialmente Hannah.”
Keira ripensò alla sua sorella minore, la sedicenne dai capelli dorati a cui si era tanto affezionata. “Povera ragazza,” disse. All’improvviso quello non le sembrò il momento giusto per discutere della sua futura visita a New York. Non era corretto parlare di progetti emozionanti dopo la giornata spaventosa che doveva aver appena passato. “E ora come adesso Calum?”
“È sveglio e fa delle battute, ma si capisce che sta fingendo di essere coraggioso per tutti noi.“
“Mi dispiace così tanto, tesoro,” disse Keira. “Vorrei essere lì con te per sostenerti, ma immagino di dover conservare tutti i miei abbracci per quando arriverai, la prossima settimana.”
Dall’altro capo del telefono, Shane rimase in silenzio. Gli unici suoni che Keira riusciva sentire erano gli squilli dei telefoni dell’ospedale in piena attività, i bip delle macchine, il rumore lontano delle sirene e il viavai generale dello staff medico che si dedicava ai propri compiti.
“Sembra molto caotico lì,” aggiunse, quando Shane continuò a non rispondere.
“Keira,” disse lui, non appena ebbe finito di parlare.
Alla ragazza non piacque il tono della sua voce. Ebbe la netta sensazione che Shane stesse per darle una pessima notizia.
“Cosa c’è…?” sussurrò la domanda, come se la facesse soffrire.
“Dovrò cancellare il mio viaggio,” annunciò Shane.
Keira capì dal suo tono quanto era devastato. La sua stessa voce si abbassò in un bisbiglio afflitto. “Davvero?”
“Mi dispiace,” continuò lui, “ma devo rimanere qui. Per mamma e le ragazze. Sono a pezzi e io mi sentirei uno stronzo se me ne scappassi a New York e le abbandonassi.”
“Ma manca ancora una settimana,” insistette Keira. “Le cose andranno meglio per allora. Calum sarà di nuovo in forma. E tu non staresti via tanto. Solo una settimana. Non è un mese o un periodo assurdo di tempo. Non avranno problemi senza di te per qualche giorno. Voglio dire, riescono a resistere senza la tua presenza una volta all’anno, quando fai il tuo lavoro di guida turistica a Lisdoonvarna.”
Si rendeva conto che stava parlando a vanvera, e che doveva sembrare decisamente disperata. Aveva atteso con tanta ansia il momento in cui avrebbe rivisto Shane, in cui lo avrebbe portato nel proprio mondo come lui aveva fatto in Irlanda. L’attesa era stata così difficile, la sua assenza tanto dolorosa da sopportare. Senza parlare dei soldi che aveva già speso per il suo volo, e tutto il resto per cui aveva speso una fortuna, le attività che aveva prenotato e che non poteva cancellare per farsi rimborsare. Avrebbe potuto usare il bonus in denaro che aveva ricevuto da Elliot per trovare casa invece che rimanere sul divano di Bryn, a rovinarsi la schiena. Sarebbero riusciti a rinviare il viaggio? Shane non aveva molti soldi per contribuire.
“Mio padre è quasi morto, Keira,” disse seccamente Shane. “È una situazione completamente diversa da un viaggio di lavoro di un mese all’anno.”
“Lo so,” rispose umilmente lei. “Non volevo essere egoista. È solo che mi manchi così tanto.”
“Anche tu mi manchi,” replicò Shane, con un profondo sospiro.
A Keira venne un nodo alla gola per l’infelicità. Ma non voleva insistere, specialmente perché a finire all’ospedale non era stato un suo parente. Decise di farsi forza.
“Immagino che non ci sia altro da fare,” dichiarò, con più calma di quanto non provasse. “Decidiamo subito un’altra data così non lasciamo il viaggio in sospeso. Non so come potrei resistere senza fare il conto alla rovescia fino al momento in cui ci rivedremo.” Ridacchiò, cercando di dare l’impressione di stare meglio di quanto non fosse.
Ancora una volta, da Shane non venne alcuna risposta. Al posto della sua voce, Keira sentì solo il suono di una receptionist che spiegava a qualcuno come andare verso il reparto dialisi.
“Shane?” lo chiamò timidamente, quando non riuscì più a sopportare il suo silenzio.
Alla fine lui rispose.
“Non credo di poter fissare un’altra data,” le disse.
“Per via di tuo padre? Shane, si riprenderà in un batter d’occhio. Si rimetterà in piedi e potrà tornare alla fattoria. Ti prometto che per novembre sarà tornato tutto come prima. Oppure se preferisci potremmo fare per dicembre. Così avrà avuto tutto il tempo per tornare a lavoro.”
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