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Blake Pierce: Un Vicino Silenzioso

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Blake Pierce Un Vicino Silenzioso

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“Un capolavoro del thriller e del mistero. Blake Pierce ha creato con maestria personaggi dalla psiche talmente ben descritta da farci sentire dentro la loro mente, a provare le loro stesse paure e fare il tifo per loro. Questo libro è ricco di colpi di scena e vi terrà svegli fino all’ultima pagina.” --Books and Movie Reviews, Roberto Mattos (su Il Killer della Rosa) UN VICINO SILENZIOSO (Un Mistero di Chloe Fine) è il libro #4 di una nuova serie thriller di Blake Pierce, autore del best-seller Il Killer Della Rosa (Libro #1, download gratuito), che ha ottenuto più di 1000 recensioni da cinque stelle.Quando una nuova, appariscente vicina ostenta la sua ricchezza in una città di periferia, non passa molto tempo prima che venga trovata uccisa. Che sia stato il suo atteggiamento a turbare i vicini invidiosi?O la fortuna del marito nasconde forse un segreto più oscuro?Chloe Fine, 27 anni, agente speciale della sezione VICAP dell’FBI, si ritrova immersa in una piccola comunità fatta di menzogne, pettegolezzi e tradimenti, mentre cerca di distinguere la verità dalle bugie.Ma qual è l’unica verità?Riuscirà a risolvere il caso mentre deve si occupare anche del padre ormai libero di prigione e della sorella tormentata?Thriller psicologico dall’intensa carica emotiva, personaggi ben costruiti, un’ambientazione intima e una suspense mozzafiato, UN VICINO SILENZIOSO è il libro #4 in una nuova, avvincente serie che vi terrà incollati alle sue pagine fino a tarda notte.Il libro #5 nella serie di CHLOE FINE sarà presto disponibile.

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Mentre aspettava che il lavandino si riempisse, Rosa attraversò la cucina e le scale. L’aspirapolvere era nell’armadio della biancheria del piano superiore, poiché era l’unica zona della casa con la moquette. Pensò che forse aveva bisogno di un nuovo filtro e voleva controllare subito, prima di iniziare a pulire e dimenticarsene.

Trovò l’aspirapolvere al solito posto e controllò il filtro, scoprendo che avrebbe potuto usarlo qualche altra volta, prima di doverlo cambiare. Avendo l’aspirapolvere pronto, decise di passarlo nella camera da letto principale. Era una stanza enorme, completa di camino, scaffali a muro e un bagno annesso che era più grande del soggiorno dell’appartamento di Rosa.

La porta della camera da letto era aperta, così entrò senza bussare. Spesso non sapeva se la signora Fairchild fosse in casa o no, ma aveva imparato a bussare ogni volta che c’era una porta chiusa nella casa dei Fairchild. Spinse l’aspirapolvere davanti a sé, ma si fermò dopo aver fatto tre passi nella stanza.

La signora Fairchild era sul letto, addormentata. Il che era strano, dato che era abbastanza sicura che si svegliasse presto e andasse a correre quasi tutti i giorni. Stava per lasciare la stanza, non volendo svegliarla. Poi, però, notò due dettagli insoliti.

In primo luogo, la signora Fairchild indossava il suo completo da corsa. In secondo luogo, era sdraiata sopra le lenzuola, sul letto appena fatto.

Dei campanelli d’allarme cominciarono a suonare nella testa di Rosa e, invece di uscire dalla stanza come aveva originariamente pensato, si sentì avanzare come spinta da una mano invisibile.

“Signora Fairchild?”

Non ci fu risposta. La signora Fairchild non si mosse nemmeno.

Chiama la polizia, pensò Rosa. Chiama il nove–uno–uno. Qualcosa non va... non sta solo dormendo, e tu lo sai.

Ma doveva accertarsene. Fece altri due passi, fino a quando la faccia della signora Fairchild divenne visibile.

Aveva gli occhi aperti, rivolti verso la finestra, senza sbattere le palpebre. La bocca era parzialmente dischiusa. Una pozza di sangue, ancora relativamente fresco, macchiava le lenzuola appena sopra la testa. Un taglio grottesco era chiaramente visibile lungo il collo.

Rose sentì un piccolo gemito risalirle la gola. Le ginocchia stavano per cederle, ma riuscì a indietreggiare di qualche passo. Quando si scontrò con l’aspirapolvere, lasciò uscire l’urlo.

Ci volle un notevole sforzo per distogliere lo sguardo dalla signora Fairchild, ma non appena lo fece, corse via rapidamente dalla stanza. Andò al bancone della cucina, dove aveva lasciato il cellulare, e chiamò il 911. Appena rispose il centralino, Rosa era così inorridita da quello che aveva visto che non si fermò a pensare al lavello nell’anticamera, che si riempiva sempre di più ogni secondo che passava, vicino a tracimare.

CAPITOLO UNO

Chloe aveva sentito molti racconti ammonitori sui tentavi di mantenere una barriera tra la vita personale e la carriera. Come agente federale, le cose tendevano a diventare particolarmente spinose quando i due mondi si scontravano. Ma onestamente, viveva con la costante collisione di quei due mondi da quando si era diplomata all’accademia, grazie ai giochetti mentali di gatto con il topo di suo padre.

Sapeva di aver trascorso troppo tempo a speculare su suo padre e su quello che poteva o meno aver fatto a sua madre quasi diciotto anni prima. Grazie alla scoperta da parte di Danielle del diario di sua madre, Chloe aveva vissuto le ultime settimane in un’atmosfera di confusione. Ora si sentiva abbastanza sicura che il padre avesse ucciso la madre, tanti anni prima. Gli aveva concesso tutti i benefici del dubbio fino a quel momento, al punto da provare ad attribuire l’omicidio di sua madre a un capro espiatorio, Ruthanne Carwile.

Ma ora lo aveva davanti scritto nero su bianco, per mano della madre. Adesso aveva prove più che sufficienti a dimostrare che suo padre non solo era un assassino, ma che aveva ucciso sua madre.

Il colpo era stato molto duro. Anche se Chloe aveva fatto del suo meglio per non lasciare che questo influisse sul suo lavoro, aveva consumato quasi ogni momento libero che aveva avuto. Aveva trascorso i primi due fine–settimana dopo la scoperta sfuggendo alle chiamate di tutti – di Danielle, della sua partner, l’agente Nikki Rhodes, e di suo padre.

Tutto quello che devo fare è renderlo pubblico, pensava più volte tra sé. Esci allo scoperto, rivolgiti al Bureau e affondalo. Chiudi questo sordido capitolo della tua vita e rimetti quel bastardo dietro le sbarre.

Ma era rischioso. Poteva influire sulla sua stessa carriera. E, soprattutto, c’era quella bambina ancora ribelle dentro di lei, una versione più giovane di se stessa che insisteva che forse c’era qualcosa che le sfuggiva... che non poteva essere davvero un assassino, suo padre.

Era una lotta interna che la potò ad arrivare al lavoro con la sbornia più volte. Erano passati solo venti giorni da quando aveva fatto la scoperta nel diario. E, anche al lavoro, pur rimanendo professionale e non lasciando che i suoi demoni personali interferissero con il suo ruolo, gli appunti del diario le venivano in mente di continuo.

Mi ha strangolato stasera... e mi ha dato uno schiaffo in faccia. Prima di capire cosa succedesse, mi ha spinta contro il muro e mi ha stretto le mani al collo. Ha detto che se mai gli avessi mancato di nuovo di rispetto, mi avrebbe uccisa. Ha detto che aveva già qualcosa di meglio pronto per lui, una donna migliore e una vita migliore...

Il diario era sul suo tavolinetto. L’aveva lasciato lì in modo da ricordarselo sempre... in modo da non potersi concedere la comodità di averlo fuori dalla vista. Lo teneva lì a ricordarle che era stata una stupida e che suo padre le aveva gettato sabbia negli occhi per molto tempo.

Erano passati venti giorni, quasi tre intere settimane, da quando lei e Danielle erano finalmente giunte alla conclusione che il padre aveva ucciso la madre, quando Chloe pensò di andare a casa sua e ucciderlo. Era un sabato. Aveva iniziato a bere alle undici di mattina, guardando fuori dalla finestra del suo appartamento mentre il traffico di Washington scorreva sotto i suoi occhi.

Conosceva abbastanza bene il sistema per sapere come farlo sembrare un suicidio. Oppure, se non altro, sapeva come nascondere bene le proprie tracce. Poteva assicurarsi che lui morisse senza che nulla fosse riconducibile a lei.

Ci aveva pensato molto attentamente. Nella sua testa si agitava un piano, che era per lo più valido.

Ma questa è follia, non è vero? Si chiese.

Poi pensò a quanto profondamente l’avesse ingannata. Ricordò quanto gli era stata fedele, anche quando Danielle aveva provato ad avvertirla che il padre non era l’uomo che pensava. E quando tutto ciò penetrava nel suo cervello, no... l’idea di ucciderlo non sembrava poi così drastica.

Stava sognando ad occhi aperti di premere il grilletto contro il padre e di iniziare la sua terza birra del giorno, quando qualcuno bussò piano alla sua porta. Fece una smorfia; suo padre era venuto quattro volte negli ultimi venti giorni, ma lei era sempre rimasta in silenzio dall’altra parte dell’uscio. I colpi erano diversi stavolta – come il ritmo della batteria all’inizio di “Closer”, dei Nine Inch Nails, una delle canzoni preferite di Danielle. Erano i colpi che avevano concordato in modo che Chloe sapesse che era sua sorella dall’altra parte della porta.

Con un sorriso stanco, Chloe aprì l’uscio. Danielle aspettava dall’altra parte, con la mano sollevata e pronta a bussare ancora. La abbassò e fece un sorriso alla sorella. Sembrava strano; Danielle era di solito quella cupa che Chloe cercava di rallegrare. Era stato così per la maggior parte della loro vita, soprattutto da quando Danielle aveva scoperto quanto possono essere stronzi gli uomini.

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