Blake Pierce - Se fosse fuggita

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“Un capolavoro del thriller e del genere giallo! L’autore ha sviluppato e descritto così bene il lato psicologico dei personaggi che sembra di trovarsi dentro le loro menti, per seguire le loro paure e gioire dei loro successi. La trama è intelligente e appassiona per il tutto il libro. Pieno di colpi di scena, questo romanzo vi terrà svegli fino all’ultima pagina.”--Books and Movie Reviews, Roberto Mattos (a proposito del Killer della rosa) SE FOSSE FUGGITA (un giallo di Kate Wise) è il 5° volume di una nuova serie di thriller psicologici dell’autore di best-seller Blake Pierce, il cui primo libro Il killer della rosa (1° volume) (scaricabile gratuitamente) ha ricevuto più di mille recensioni a cinque stelle. Quando un’altra donna di cinquant’anni viene trovata morta a casa sua in un agiato quartiere periferico – la seconda vittima di questo tipo in appena due mesi – l’FBI non sa come muoversi. Si deve rivolgere alla sua mente più brillante, l’agente Kate Wise, cinquantacinque anni, ormai in pensione, perché torni al lavoro per risolvere il caso.Che cos’hanno in comune queste due donne di mezz’età? Sono state prese di mira?Quanto tempo passerà prima che il killer colpisca di nuovo?E Kate, non più nel fiore degli anni, sarà ancora in grado di risolvere casi impossibili per chiunque?Thriller pieno di azione e di suspense al cardiopalma, SE FOSSE FUGGITA è il 5° volume di un’affascinante nuova serie che vi terrà svegli tutta la notte, fino all’ultima pagina. Il 6° volume della serie gialla di Kate Wise sarà presto disponibile.

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«Sì.»

«Quanto hanno adesso?»

Dovette mordersi la lingua per non dirgli qualche parolaccia. Però era importante mantenere le apparenze. Inoltre, non sapeva quando avrebbe dovuto richiamarlo.

«Oh, adesso sono tutti grandi – venti, ventitré e ventisette anni.»

«Un bel gruppo di ragazzi, sicuro» ripose lui. Poi ammutolì. Lei lo udì muoversi nel salotto, incluso l’occasionale canticchiare basso e ripetitivo. Le ci volle un attimo per accorgersi che canticchiava seguendo la musica che veniva dall’ufficio, passata a un altro pezzo di Satie. Alzò gli occhi al cielo, desiderando che se ne stesse zitto. Certo, lo aveva chiamato lei per un servizio, ma la stava già irritando. Ma i professionisti di solito non venivano, lavoravano in silenzio e poi se ne andavano felicemente pagati? Che problema aveva quello lì?

«Grazie» riuscì a dire, trovando proprio sgradevole l’idea che le guardasse le foto dei figli.

Abbassò la testa e tornò all’email. Inutile, ovvio. Apparentemente il suo visitatore era incline a conversare attraverso i muri.

«Vivono qui intorno?» chiese.

«No» disse. Fu piuttosto breve e secca stavolta, e arrivò pure a girare del tutto la testa a destra in modo che riuscisse a udire l’irritazione della voce. Non aveva intenzione di dargli l’indirizzo dei suoi figli. Dio solo sapeva che razza di domande avrebbe potuto tirarne fuori.

«Capito» disse lui.

Se non fosse stata così assorbita dall’email che aveva davanti, forse avrebbe riconosciuto un gelo inquietante nel silenzio che seguì la domanda. Era un silenzio pregno, del tipo che promette qualcosa, in seguito.

«Oggi aspetta visite?»

Non fu certa del perché, ma qualcosa nella domanda le accese la paura. Era una domanda stramba da fare per uno sconosciuto, in particolare per uno che aveva assunto per un servizio. E non aveva forse sentito qualcosa di diverso nel tono?

Ora preoccupata, distolse lo sguardo dal laptop. Sembrava esserci qualcosa che non andava con lui. E adesso non era più solo irritata dalle domande, ma si stava pure spaventando.

«Più tardi vengono degli amici per un caffè» mentì. «Però non so bene quando. La maggior parte delle volte passano a trovarmi quando ne hanno voglia»

Qui non ebbe risposta, e la cosa fu più spaventosa che mai. Lentamente, Karen fece scivolare la sedia all’indietro e si alzò. Andò alla soglia che collegava l’ufficio al salotto. Sbirciò dentro per vedere che cosa stesse facendo.

Ma lui non c’era. Gli arnesi del mestiere erano ancora lì, ma lui non si vedeva da nessuna parte.

Chiama la polizia…

Il pensiero le sfrecciò per la testa, e lo sapeva che si trattava di un buon consiglio. Ma sapeva anche di essere incline all’esagerazione. Magari era tornato al furgone o qualcosa del genere.

Assurdo, pensò. Hai sentito aprirsi e chiudersi la porta? E poi non ha fatto che chiacchierare. Te lo avrebbe detto che usciva…

Si immobilizzò; passi nel salotto. «Ehi» disse con voce un po’ titubante. «Dove va?»

Nessuna risposta.

C’è qualcosa che non va, le urlò quella vocina nella testa. Chiama subito la polizia!

Con il terrore che le esplodeva nello stomaco, Karen indietreggiò lentamente fino a uscire dal salotto. Fece per tornare nel suo ufficio, dove il telefono giaceva sulla scrivania.

Come si voltò, andò a sbattere contro a qualcosa di duro. Sentì odore di sudore per un solo istante, ma ebbe appena il tempo di registrarlo.

Fu allora che qualcosa le avvolse il collo, stringendo.

Karen Hopkins lottò, combattendo contro a ciò che aveva attorno al collo. Ma più lottava più quella cosa si faceva stretta. Era ruvida, le tagliava le carni e affondava sempre di più mentre lei si dimenava. Sentì una sottile scia di sangue scenderle giù per il petto nello stesso momento in cui si accorse di trovare difficile respirare.

Lottò lo stesso, facendo ciò che poteva per spingere l’aggressore nell’ufficio in modo da prendere il telefono. Sentì altro sangue scenderle per il collo, niente di che, solo un gocciolio. La cosa che aveva attorno al collo si fece ancora più stretta. Crollò lentamente mentre arrivava a qualche metro dalla scrivania, e tutto ciò che i suoi occhi riuscirono a vedere fu lo schermo del laptop davanti a lei. Quello schermo bianco, con un’email incompleta che non avrebbe mai inviato.

Guardò il cursore lampeggiare con insistenza, in attesa della parola seguente.

Che non sarebbe mai arrivata.

CAPITOLO UNO

Una delle varie cose che sorprendevano Kate Wise nei suoi cinquantacinque anni di vita (con i cinquantasei a sole poche settimane di distanza) era il fatto che prepararsi per un appuntamento non aveva mai mancato di farla sentire ancora un’adolescente insicura. Era giusto il trucco? Troppo? Avrebbe dovuto cominciare a tingersi per combattere il grigiore che lentamente sembrava vincere la guerra contro i suoi capelli? Avrebbe dovuto indossare un pratico reggiseno tutto comfort o uno che per Allen sarebbe stato semplice da togliere, giunti a fine serata?

Era una specie di ansia carina, che le ricordava che ci era già passata. Da sposata si era sentita allo stesso modo preparandosi per un appuntamento per tutto il primo anno. Però adesso con Allen, il primo uomo con cui usciva dalla morte di Michael, era stata costretta a imparare di nuovo a uscire con un uomo.

Con Allen le cose si facevano rapidamente più facili. Erano entrambi sui cinquantacinque, quindi c’era una sensazione di fretta a ogni appuntamento – la taciuta consapevolezza che se la relazione si fosse trasformata in qualcosa di diverso dall’uscire insieme, dovevano investirci appieno. Finora, pur con qualche ostacolo qua e là, avevano fatto proprio così. E fino a quel momento era stato incredibile.

L’appuntamento di quella sera doveva essere una cena, un film e poi di nuovo a casa sua, dove avrebbero trascorso la notte insieme. Quella era un’altra cosa che l’età consentiva loro: saltare tutto il tira e molla della camera da letto. Negli ultimi mesi la risposta era stata un inequivocabile sì – sì che si ripresentava quasi a ogni appuntamento (un’altra cosa che sorprendeva Kate sulle relazioni a cinquantacinque anni).

Mentre si applicava il rossetto – solo un po’, come sapeva che piaceva ad Allen – dei colpi alla porta la fecero sussultare. Guardò l’orologio e vide che erano solo le diciotto e trentacinque, venticinque minuti buoni prima dell’orario in cui lo aspettava.

Sorrise, presumendo che fosse venuto prima. Magari voleva cambiare l’ordine delle attività e passare subito alla parte in camera da letto. Sarebbe stato un dolore spogliarsi poco dopo essersi vestita, ma ne sarebbe valsa la pena. Con un sorriso in volto, uscì dalla camera, attraversò la casa e aprì la porta.

Quando vide che dall’altra parte c’era Melissa, visse molte emozioni piuttosto velocemente: sorpresa, delusione, e poi preoccupazione. Melissa teneva nella mano destra il seggiolino dell’auto e la piccola Michelle osservava. Quando gli occhi di Michelle trovarono la nonna, si illuminò e si allungò, muovendo le manine come per aggrapparvisi.

«Melissa, ciao» disse Kate. «Vieni, entra.»

Melissa fece come chiesto, accigliandosi mentre esaminava la madre. «Merda. Stai uscendo? Un appuntamento con Allen?»

«Già. Arriva tra venti minuti. Perché? Che c’è?»

Fu allora, quando si sistemarono sul divano, che Kate si accorse che Melissa sembrava turbata da qualcosa. «Speravo che stanotte potessi badare a Michelle.»

«Melissa… in qualsiasi altro momento sarebbe un piacere. Lo sai. Ma come vedi ho già altri impegni. Va… va tutto bene?»

Melissa fece spallucce. «Immagino di sì. Non so. Terry ultimamente è strano. A essere sincera, è strano da quando ci siamo presi quello spavento per la salute di Michelle. A volte è assente, sai. Negli ultimi giorni è stato peggio, e non so proprio perché.»

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