Desiderava solo che non fosse lo stesso percorso professionale che aveva fatto uccidere sua madre e aveva rovinato la relazione con suo padre.
“Allora”. Greg si schiarì la voce, sedendosi accanto a Maya sul divano mentre Zero sedeva di fronte a loro in una poltrona reclinabile. “Maya mi ha detto che lei è un contabile?”
Zero sorrise debolmente. Ovviamente Maya aveva scelto un'occupazione così blanda come copertura. “Esatto”, disse. “Finanza di impresa”.
“Interessante...” Greg ricambiò un sorriso.
Che leccapiedi. Cosa ci trova in questo ragazzo? “E che mi dici di te?” chiese. “Di cosa vorresti occuparti? Vuoi diventare un ufficiale?”
“No, no, non penso di esserne adatto. Il ragazzo agitò una mano come per allontanare quell'idea. “Vorrei entrare nel NCAVC. In particolare, nel BAU...” Ridacchiò leggermente tra sé. “Mi dispiace, signor Lawson, dimenticavo che sto parlando con un civile. Voglio essere un agente dell'FBI, nella loro unità di analisi comportamentale. Divisione per i Crimini Violenti. Sa, i ragazzi che cacciano serial killer, terroristi e cose del genere”.
“Sembra eccitante”, disse Zero in tono piatto. Ovviamente sapeva cosa fossero l'NCAVC e il BAU, praticamente chiunque accendesse la televisione in prima serata lo sapeva, ma non lo disse. In effetti, aveva pochi dubbi sul fatto che se quel ragazzo furbo di fronte a lui avesse saputo di parlare con l'Agente Zero, si sarebbe asciugato quel sorriso untuoso dalla faccia e si sarebbe trasformato in un fan accanito in meno di cinque secondi.
Ma non poteva dire nulla di tutto ciò. Invece aggiunse: “Sembra anche un progetto ambizioso”.
“Greg ne ha la capacità”, intervenne Maya. “È il migliore della seconda classe”.
“Ovvero dei giovani”, spiegò Greg a Zero. “Ma non li chiamiamo così a The Point. E Maya è la migliore nella terza classe”. Allungò una mano e strinse delicatamente il ginocchio di Maya.
Zero dovette trattenersi fisicamente dal rivolgergli un ghigno rabbioso. All'improvviso capì perché Maya aveva con sé questo ragazzo; era molto più di un semplice cuscinetto tra di loro. Con lui lì, non avrebbero potuto parlare apertamente. Non avrebbero parlato della CIA né del loro passato. Cavolo, non era nemmeno sicuro di poter chiedere l'unica cosa che gli premeva di più, ovvero di Sara.
La decisione di Maya di abbandonare la scuola lo aveva distrutto. Ma Sara... anche dopo tutto questo tempo, sembrava che quel pugnale gli fosse arrivato dritto al cuore.
Greg stava ancora parlando, dicendo qualcosa sull'FBI e sulla pulizia della Casa Bianca alla luce dello scandalo che aveva scosso l'ex amministrazione e di come la sua famiglia avesse dei legami con quelle persone, o qualcosa del genere. Zero non stava ascoltando. Guardò lei, sua figlia, la giovane donna che aveva cresciuto, a cui aveva dato tutto ciò che poteva. Le aveva cambiato i pannolini. Le aveva insegnato a camminare, parlare, scrivere, giocare a softball e a usare una forchetta. L'aveva messa in punizione, l'aveva consolata mentre piangeva, aveva rallegrato le sue giornate quando si sentiva giù, le aveva medicato le ginocchia sbucciate. Le aveva salvato la vita e aveva fatto sì che sua madre venisse uccisa.
Quando la guardò, cercò di attirare la sua attenzione, lei distolse lo sguardo.
E in quel momento, capì. Non ci sarebbe stata alcuna riconciliazione, almeno non quella sera. Era una formalità. Maya gli stava dicendo che meritava di sapere che era viva e che stava bene, ma non molto altro.
Fissava il tappeto con uno sguardo pensieroso mentre Greg parlava di qualcos'altro. Il suo sorriso vacillò e mentre svaniva, così fece anche la speranza di Zero di riavere sua figlia.
Maya immerse una crosta di pane nel pasticcio e la masticò lentamente. Era delizioso, migliore del cibo servito dall'Accademia, ma non aveva molto appetito. Suo padre era seduto di fronte a lei al piccolo tavolo da pranzo, con Maria alla sua sinistra e Greg a destra.
La stava fissando ancora.
Si pentì immediatamente di essere andata. Lei non gli doveva nulla. E sapeva che non poteva guardarlo negli occhi perché vi avrebbe visto il dolore mascherato della loro separazione. Per evitarlo, si mise a fissare un pezzettino di kielbasa nel suo piatto.
Lì in quella nuova casa dove viveva con Maria suo padre le sembrava un estraneo; era ingrassato e aveva delle occhiaie sempre più pronunciate. Non aveva più quella luce negli occhi come quando lei era piccola. Non sentiva la sua risata da più di un anno. Le mancavano le loro battute sarcastiche, scherzose e, a volte, i dibattiti accesi.
“Non è vero, Maya?”
“Mmm?” Il suo nome la scosse dai suoi pensieri; quando alzò gli occhi, vide Greg che la fissava in attesa. “Oh. Sì. Certo”. Buon Dio, stava ancora parlando?
In realtà Greg non era il suo ragazzo. Almeno non lo vedeva come tale. Non avevano mai dato un nome alla loro relazione. Sapeva che gli piaceva, si erano baciati qualche volta, anche se non gli avrebbe permesso di andare oltre, eppure non poteva fare a meno di pensare che per lui fosse più una questione di status. Lui veniva da una buona famiglia, sua madre era in politica e suo padre era ai piani alti della NSA. Lei era la migliore della sua classe e (come pensavano in molti) probabilmente era meglio di lui in molte materie, in particolare quelle teoriche. Alcuni degli altri cadetti della seconda e della terza classe scherzando li chiamavano “il re e la regina di West Point”.
Era carino. Era atletico. Era abbastanza gentile. Ma era anche un duro, egocentrico e completamente ignaro dei suoi difetti.
“Secondo me”, stava dicendo Greg, “Pierson avrebbe dovuto lavorare meglio. Mia madre dice, non so se l'ho detto, mia madre è stata sindaco di Baltimora per due anni. Ad ogni modo, dice che la sua negligenza è stata sufficiente per metterlo sotto accusa, o almeno per portarlo a perdere le elezioni...”
Smettila di fissarmi. Voleva gridarlo, ma si trattenne. Percepiva quanto disperatamente suo padre volesse parlarle. Questo era parte del motivo per cui aveva portato Greg, in modo che non potessero uscire gli scheletri dall'armadio. Sapeva che voleva chiedere di Sara. Sapeva che voleva scusarsi, provare a fare ammenda, a lasciarsi alle spalle tutti i suoi errori.
La verità era che non lo odiava. Non più. Per odiare qualcuno aveva bisogno di energia e lei la stava dedicando tutta alla sua formazione. Per lei, era un non-problema. Questa visita non era riconciliante; era burocrazia. Decoro. Galateo. I valori che l'Accademia aveva trasmesso ai suoi cadetti non erano del tutto applicabili alla situazione unica di Maya, ma aveva ritenuto in ogni caso opportuno passare a salutare l'uomo che l'aveva cresciuta. Se non altro per dimostrare a sé stessa che riusciva ancora a stare nella stessa stanza con lui.
Ma ora avrebbe voluto non avere mai accettato quell'invito.
“Allora”, disse Maria all'improvviso. Greg aveva smesso di parlare per mangiare un po' di stufato, e Maria stava approfittando del silenzio temporaneo. “Maya. Hai parlato con tua sorella ultimamente?”
La domanda la prese alla sprovvista. Se l'aspettava da suo padre, ma non da Maria. Comunque, era un momento buono come un altro per esercitarsi nelle abilità che aveva sviluppato nel suo tempo libero. Combatté l'emergere di qualsiasi espressione che avrebbe potuto tradirla e sorrise leggermente.
“Sì”, rispose Maya. “Proprio ieri, in realtà. Sta bene”. Solo metà era una bugia.
“Hai una sorella?” Chiese Greg.
Maya annuì. “Di due anni più giovane. È in Florida per un progetto di scuola-lavoro. Occupatissima”. Era un'altra bugia, ma le uscì con facilità. Stava migliorando sempre di più, e qualche volta ne diceva alcune solo per fare pratica e, certamente, per divertirsi un po'.
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