Jack Mars - Una Trappola per Zero

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“Non riuscirete a dormire fino a quando non avrete finito AGENTE ZERO. Un lavoro superbo nella creazione di personaggi totalmente sviluppati e molto godibili. La descrizione delle scene d’azione ci trasporta in un’altra realtà, quasi come se si fosse seduti al cinema con suono surround e 3D (ne verrebbe un film hollywoodiano incredibile). Non vedo l’ora di leggere il sequel.”--Roberto Mattos, Books and Movie ReviewsNe LA TRAPPOLA DI ZERO (Libro #4) un nuovo leader fanatico sale alla guida di a cellula terroristica nel Medio Oriente, con l’intento di orchestrare l’attacco più letale mai concepito contro il suolo americano. Potrà l’agente Zero svelare il complotto e fermarlo in tempo?  Sebbene le figlie dell’agente Zero siano a casa sane e salve, l’angoscia e il terrore in seguito all’esperienza subita mettono a dura prova la serenità della loro piccola famiglia. Zero, cercando di essere un buon padre e di riparare ai danni, decide che è il momento di andare sotto i ferri per recuperare tutti i suoi ricordi. Ma funzionerà? Nel mezzo dei drammi personali, viene richiamato a compiere il suo dovere quando un’ambasciata americana viene distrutta nel Medio Oriente e viene svelato una nuova arma sperimentale. Ma senza le sue memorie, e sotto attacco da parte di alcuni dei suoi presunti alleati della CIA, di chi si può fidare veramente? LA TRAPPOLA DI ZERO (Libro #4) è un thriller di spionaggio che non riuscirete a posare fino a quando non l’avrete finito. “Il thriller al suo meglio.”--Midwest Book Review (re A ogni costo)“Uno dei migliori thriller di quest'anno.”--Books and Movie Reviews (re A ogni costo)Inoltre è disponibile la serie thriller besteller di Jack Mars LUKE STONE (7 libri), che inizia con A OGNI COSTO (Libro #1), un download gratuito con più di 800 recensioni a cinque stelle!

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Ci sarebbe stato tempo dopo, quando il suo cervello non era inibito dalla mancanza di sonno e dagli antidolorifici.

"Quindi, tutto qui?" chiese. "Posso andare?"

"Può andare". Riker sorrise di nuovo. Non gli piaceva affatto quel sorriso sulla sua faccia.

Cartwright guardò l'orologio. “Le tue figlie dovrebbero arrivare a Dulles tra circa... due ore. C'è un'auto ad aspettarti se la vuoi. Farai in tempo a lavarti, cambiarti e a farti trovare lì per accoglierle”.

I due vicedirettori si alzarono dai loro posti e si diressero verso la porta.

"Bentornato, Zero." Cartwright gli fece l'occhiolino prima di andarsene.

Solo nella stanza, Reid abbassò lo sguardo sulla chiave delle manette d'argento davanti a sé. Alzò gli occhi verso le telecamere montate agli angoli della stanza.

Stava per tornare a casa, ma c'era qualcosa di molto, molto strano.

*

Reid si affrettò verso il garage di Langley, senza manette e fuori dalla stanza di detenzione, sollevato dal compito di agente sul campo. Sollevato dalla paura di ripercussioni contro coloro che amava. Dopo aver evitato di essere gettato in un buco nel terreno a H-6.

Un'idea sorprendente lo colpì mentre varcava la porta e usciva sulla strada. Avrebbero potuto semplicemente buttarlo in Hell-Six. Avrebbero potuto almeno minacciarlo, alimentando la sua paura di non vedere più la sua famiglia. Ma non l'avevano fatto.

Perché se lo avessero fatto, avrei avuto tutte le ragioni per parlare, pensò Reid. Nulla mi impedirebbe di rivelare ogni cosa se fossi convinto di passare il resto della mia vita in una cella.

Anche se sembravano passate settimane, solo quattro giorni prima gli era tornato alla memoria un ricordo frammentato; prima che gli venisse applicato il soppressore della memoria, Kent Steele aveva raccolto informazioni su una guerra pianificata che il governo degli Stati Uniti stava progettando. Non ne aveva parlato con nessuno, anche se aveva rivelato a Maria che aveva ricordato qualcosa che poteva portare molti problemi a molte persone.

Il suo consiglio era stato semplice e chiaro: non fidarti di nessuno tranne che di te stesso.

Non ci aveva pensato prima, nella stanza di detenzione mentre veniva messo in discussione il suo destino e gli antidolorifici che gli annebbiavano il cervello. Ma se ne rese conto in quel momento. L'agenzia sapeva che lui sapeva qualcosa, ma non sapevano quanto lui sapesse o quanto avrebbe potuto ricordare. Lui per primo non era sicuro di quanto sapesse veramente.

Cercò di allontanare il pensiero dalla testa. Ora che il suo destino gli era stato svelato, tutta la tensione si era sciolta e si trovò affaticato e dolorante, pieno di emozione al pensiero di rivedere le sue ragazze.

Aveva due ore prima dell'atterraggio dell'aereo. Due ore sarebbero state più che sufficienti per tornare a casa, fare la doccia, cambiarsi e accoglierle. Ma decise di rinunciare a tutto ciò e andò direttamente all'aeroporto.

Non voleva proprio tornare in quella casa vuota da solo.

Parcheggiò quindi nel parcheggio ad ore a Dulles e si diresse agli arrivi. Prese un caffè in un bar e si sedette su una sedia di plastica, sorseggiandolo lentamente mentre mille pensieri gli giravano in testa, senza che riuscisse a fermarsi coscientemente su alcuno di essi.

Doveva chiamare Maria, decise. Aveva bisogno di sentire la sua voce. Lei avrebbe saputo cosa dire, e anche se non l'avesse saputo, parlare con lei sembrava essere la cura più efficace per la sua mente malata. Reid non aveva con sé il suo cellulare, ma per fortuna c'erano delle cabine telefoniche all'aeroporto, qualcosa di sempre più raro nel ventunesimo secolo. Entrò immediatamente nella cabina, compose prima lo zero e poi il numero di cellulare che conosceva a memoria.

Non ricevette risposta. La linea squillò quattro volte prima di passare alla segreteria telefonica. Non lasciò un messaggio. Non sapeva cosa dire.

Finalmente l'aereo arrivò e una processione di passeggeri a passo veloce si avviò lungo il corridoio, superando i cancelli e il controllo di sicurezza e portandosi tra le braccia dei propri cari che li attendevano oppure al punto di ritiro bagagli.

Strickland lo vide per primo. L'agente Todd Strickland era giovane, ventisette anni, con un taglio in stile militare e un collo largo. Camminava con una leggera spavalderia che era in qualche modo accessibile ma autoritaria allo stesso tempo. Ancora più importante, Strickland non sembrava affatto sorpreso di vedere Reid; senza dubbio la CIA gli aveva detto che Kent Steele era stato rilasciato. Fece un semplice cenno a Reid mentre accompagnava le due ragazze alla lunga passerella.

Sembrava che Strickland non avesse detto a nessuna delle sue figlie che sarebbe stato lì al loro arrivo, e per questo Reid gli era grato. Maya lo vide subito dopo, e sebbene le sue gambe continuassero a muoversi, la sua mascella le cadde per lo stupore. Sara batté le palpebre due volte, poi le sue labbra si spalancarono in un sorriso sinceramente euforico. Nonostante il suo braccio fosse ingessato - si era rotta il braccio dopo essersi lanciata da un treno in movimento - corse da lui. "Papà!"

Reid si piegò su un ginocchio e la abbracciò forte. Maya si avvicinò subito dopo la sorella, e tutti e tre si abbracciarono a lungo.

"Come è possibile?" Maya gli sussurrò piano nell'orecchio. Entrambe le ragazze avevano molte ragioni di credere che non avrebbero rivisto il padre per molto tempo.

"Ne parliamo più tardi", promise Reid. Poi si alzò rivolgendosi a Strickland. "Grazie per averle riportate a casa sane e salve".

Strickland annuì e strinse la mano di Reid. "Ho semplicemente mantenuto la mia parola". Nell'Europa dell'Est, Strickland e Reid avevano raggiunto una forma di comprensione reciproca e il giovane agente aveva fatto la promessa di proteggere le due ragazze, indipendentemente dal fatto che Reid fosse presente o meno. "Credo di poter andare", disse loro. "Voi due state bene". Sorrise alle ragazze e si allontanò dalla famiglia riunita.

Il viaggio verso casa fu breve, durò solo mezz'ora, e Sara lo rese ancora più breve intrattenendolo con un insolito chiacchiericcio. Gli disse quanto bene l'agente Strickland le avesse trattate e come i dottori in Polonia le avevano permesso di scegliere il colore della sua benda al braccio, ma che aveva scelto comunque il classico beige in modo da poterlo colorare da sola con dei pennarelli. Maya sedeva silenziosa sul sedile del passeggero, lanciando di tanto in tanto un'occhiata alla sua sorellina e sorridendo brevemente.

Poi arrivarono a casa loro ad Alessandria, e fu come se la porta d'ingresso avesse assorbito qualsiasi pensiero allegro o gioioso. L'umore cambiò in un secondo; l'ultima volta che erano entrati nell'atrio c'era un uomo morto che giaceva proprio di fronte alla cucina. Dave Thompson, il loro vicino, era un agente della CIA in pensione che era stato ucciso dall'assassino che aveva rapito Maya e Sara.

Nessuno parlò mentre Reid chiudeva la porta e digitava il codice per disattivare il sistema di allarme. Le ragazze sembravano esitanti ad entrare in casa.

"Va tutto bene", disse Raid piano, e sebbene lui stesso quasi non ci credesse, fece strada verso la cucina per dimostrare che non c'era nulla di cui avere paura. La squadra di pulizia della scena del crimine aveva svolto un lavoro minuzioso, ma era evidente dal forte odore di ammoniaca e dal pulito immacolato tra le piastrelle che qualcuno era stato lì da poco, per rimuovere il sangue ed eliminare ogni traccia del fatto che in quel luogo si fosse verificato un omicidio.

"Qualcuno ha fame?" Chiese Reid, cercando di sembrare sereno ma risultando piuttosto teatrale.

"No", disse Maya piano. Sara scosse la testa.

“Okay”. Il silenzio che seguì fu palpabile, come un palloncino invisibile che si gonfiava sempre di più tra di loro. “Bene”, disse infine Reid, sperando di farlo scoppiare, “Non so voi, ma io sono sfinito. Penso che dovremmo riposarci".

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