Jack Mars - La caccia di Zero

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“Non dormirete fino a quando non avrete finito AGENTE ZERO. Un lavoro superbo nella creazione di personaggi totalmente sviluppati e molto godibili. La descrizione delle scene d’azione ci trasporta in un’altra realtà, quasi come si fosse seduti al cinema con suono surround e 3D (ne verrebbe un film hollywoodiano incredibile). Non vedo l’ora di leggere il sequel.”--Roberto Mattos, Books and Movie ReviewsIn LA CACCIA DI ZERO (Libro #3), quando l’agente della CIA agente Zero scopre che le sue giovani figlie sono state rapite e spedite a un giro di traffico umano nell’Europa dell’Est, si getta in un inseguimento al cardiopalma per tutta l’Europa, lasciandosi alle spalle una scia di devastazione, in cui rompe gin regola, rischia la sua stessa vita, e fa di tutto per riprendersi le figlie.Kent, nonostante gli ordini della CIA, rifiuta di farsi da parte. Senza il sostegno dell’agenzia, circondato da talpe e assassini, con un’amante di cui può a malapena fidarsi, e lui stesso nel mirino di un killer, l’agente Zero deve combattere contro un numero immenso di nemici per riprendersi le sue figlie.Costretto ad affrontare la tratta di umani più pericolosa d’Europa, con connessioni politiche molto in alto, la sua sarà una battaglia ardua—un uomo contro un esercito—e una che solo l’agente Zero potrà superare.Allo stesso tempo impara che la sua stessa identità potrebbe essere il segreto più pericoloso di tutti. LA CACCIA DI ZERO (Libro #3) è un thriller di spionaggio che non riuscirete a posare fino alla fine.“Il thriller al suo meglio.”--Midwest Book Review (re A ogni costo)“Uno dei migliori thriller di quest'anno.”--Books and Movie Reviews (re A ogni costo)Inoltre è disponibile la serie thriller besteller di Jack Mars LUKE STONE (7 libri), che inizia con A ogni costo (Libro #1), un download gratuito con più di 800 recensioni a cinque stelle!

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Maya aveva capito che cosa stava facendo: era il gioco del gatto con il topo. Lasciava i veicoli rubati in posti diversi in modo che le autorità non avessero idea di dove stessero andando. La loro stanza di motel era a meno di quindici chilometri da Bayonne, poco distante dal confine con New Jersey e New York. Il motel stesso era un edificio lungo e basso talmente malconcio e disgustoso che passandoci davanti si aveva l’impressione che fosse chiuso da anni.

Nessuna delle due ragazze aveva dormito molto. Sara aveva schiacciato qualche pisolino tra le braccia di Maya, perdendo i sensi per venti o trenta minuti alla volta prima di svegliarsi di colpo con un singhiozzo, sfuggendo ai propri sogni per ricordarsi dove fosse in realtà.

Maya aveva lottato contro la stanchezza, cercando di rimanere vigile il più a lungo possibile. Sapeva che a un certo punto anche Rais avrebbe dovuto dormire, e ciò gli avrebbe lasciato qualche minuto prezioso per provare a scappare. Ma il motel era nel bel mezzo di una zona industriale. Quando si erano fermati si era accorta che non c’erano case vicine e a quell’ora di notte nessun negozio era aperto. Non era neanche sicura di aver visto qualcuno nell’ufficio dell’albergo. Non sarebbero potute andare da nessuna parte. Si sarebbero perse nella notte, rallentate dalle manette.

Alla fine aveva ceduto alla fatica e a malincuore si era addormentata. Dopo meno di un’ora si era svegliata di soprassalto, e poi aveva sobbalzato di nuovo quando aveva visto Rais seduto in poltrona a mezzo metro da lei.

La stava fissando con concentrazione, i suoi occhi sgranati. La fissava e basta.

Le fece accapponare la pelle… fino a quando non passò un intero minuto, e poi un altro. Maya lo fissò a sua volta, lo spavento mescolato alla curiosità. Poi capì.

Dorme con gli occhi aperti.

Non sapeva se trovava più inquietante quello o svegliarsi sotto il suo sguardo attento.

Ma poi Rais batté le palpebre e lei dovette trattenere un ennesimo sussulto, con il cuore che le batteva forte nel petto.

“Nervi facciali danneggiati,” spiegò l’uomo a bassa voce, quasi in un bisbiglio. “Ho sentito che può essere piuttosto destabilizzante.” Indicò il cartone dell’asporto cinese che aveva ordinato in camera ore prima e ripeté. “Dovresti mangiare.”

Lei scosse la testa, stringendosi Sara in grembo.

Alla televisione a basso volume stavano ripetendo le principali notizie della giornata. Un’organizzazione terroristica era stata ritenuta responsabile del rilascio di un ceppo letale del virus del vaiolo in Spagna e altre parti d’Europa. Il loro leader, insieme al virus e vari membri dell’organizzazione, era stato preso e ora era in custodia. Quel pomeriggio gli Stati Uniti avevano rimosso ufficialmente il divieto di viaggio internazionale verso tutti i paesi, a eccezione del Portogallo, la Spagna e la Francia, dove si continuavano a trovare casi isolati del vaiolo mutato. Ma tutti sembravano certi che la World Health Organization avesse la situazione sotto controllo.

Maya aveva sospettato che il padre fosse stato mandato ad aiutare in quel caso. Si chiese se fosse stato lui a catturare il capo dell’organizzazione, e se fosse già tornato nel paese.

Si domandò anche se avesse già trovato il corpo del signor Thompson e se si fosse accorto che erano state rapite. O se chiunque si fosse accorto della loro sparizione.

Rais non si muoveva dalla sua poltrona gialla. Aveva un cellulare appoggiato su un bracciolo. Era un modello vecchio, praticamente preistorico per gli standard attuali, che serviva solo a chiamare e a mandare messaggi. Un cellulare usa e getta, così Maya li aveva sentiti chiamare nelle serie televisive. Non aveva un collegamento a internet né un GPS. Le sue serie le avevano insegnato che ciò significava che poteva essere rintracciato solo con il numero, che quindi bisognava avere.

A quanto pareva l’assassino stava aspettando qualcosa. Una chiamata o un messaggio. Maya voleva disperatamente sapere dove stavano andando, o anche solo se avevano una destinazione. Stava cominciando a pensare che Rais volesse che suo padre li trovasse, li rintracciasse, ma in ogni caso quell’uomo non pareva avere fretta di fare la sua mossa. Qual era il suo gioco? Avrebbe continuato a rubare auto e a cambiare direzione, eludendo le autorità nella speranza che suo padre li trovasse per primi? Avrebbero continuato a muoversi da un posto all’altro fino allo scontro finale?

All’improvviso uno squillo monotono si alzò dal cellulare usa e getta accanto a lui. Sara sobbalzò leggermente tra le sue braccia al suono acuto.

“Pronto.” Rais rispose con tono piatto. “Ano.” Si alzò dalla poltrona per la prima volta in tre ore, passando dall’inglese a una lingua sconosciuta. Maya conosceva solo l’inglese e il francese, e sapeva riconoscere qualche altra lingua sentendo parole e accenti, ma quella le mancava. Era gutturale, ma non del tutto sgradevole.

Russo? pensò. No. Polacco, forse. Non aveva senso tirare a indovinare. Non poteva esserne sicura, e saperlo non l’avrebbe aiutata a capire quello che stava dicendo.

Lo stesso origliò, notando l’uso frequente di suoni “z” e “-ski”, cercando di captare parole simili all’inglese, anche se non sembravano essercene.

Riuscì a identificare solo un nome, che le fece gelare il sangue nelle vene.

“Dubrovnik,” disse l’assassino, in tono d’assenso.

Dubrovnik? La geografia era una delle sue materie preferite; Dubrovnik era una città nel sud-ovest della Croazia, un porto famoso e una popolare destinazione turistica. Ma la cosa più importante era ciò che quella parola implicava.

Voleva dire che Rais aveva intenzione di portarle fuori dal paese.

“Ano,” ripeté (che sembrava una conferma; Maya intuì che fosse un “sì”). E poi: “Port Jersey.”

Durante tutta la conversazione udì solo quelle due parole inglesi, oltre a “pronto”, e le riconobbe facilmente. Il loro motel era già vicino a Bayonne, a un tiro di schioppo dal porto industriale chiamato Port Jersey. Lo aveva visto diverse volte, mentre attraversava il ponte per andare verso il Jersey da New York o viceversa. Era un vasto spazio pieno di container colorati per il trasporto merci, impilati uno sopra l’altro. Li aveva osservati svanire nella stiva buia delle grandi navi che li avrebbero trasportati dall’altra parte dell’oceano.

Il cuore le batté all’impazzata contro le costole. Le voleva portare fuori dagli Stati Uniti, caricandole a Port Jersey per un viaggio fino alla Croazia. E da lì… non aveva idea, e non l’avrebbe avuta nessun altro. Non avrebbero più potuto ritrovarle.

Non poteva permettere che accadesse. La sua determinazione a lottare si rafforzò; la decisione di ostacolare quella situazione tornò alla vita con un ruggito.

Il trauma causato dall’immagine di Rais che tagliava la gola alla donna nel bagno dell’area di sosta persisteva; lo rivedeva accadere ogni volta che chiudeva gli occhi. Lo sguardo morto e vuoto. La pozza di sangue che le arrivava quasi ai piedi. Ma poi toccò i capelli della sorella e capì che avrebbe accettato lo stesso destino se significava allontanare Sara da quell’uomo.

Rais continuò la sua conversazione nella lingua straniera, pronunciando frasi brevi e secche. Si voltò per scostare leggermente le pesanti tende, solo di un centimetro o due, per sbirciare fuori verso il parcheggio.

Le stava dando la schiena, forse per la prima volta da quando erano arrivati allo squallido motel.

Maya allungò una mano ed estrasse con molta attenzione il cassetto del comodino. Era l’unica cosa che riusciva a raggiungere, ammanettata alla sorella e senza alzarsi dal letto. Spostò nervosamente lo sguardo dalla schiena del suo rapitore al cassetto.

Dentro c’era una Bibbia, un volume vecchio con il dorso spaccato e quasi staccato. E vicino c’era una semplice biro blu.

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