“Garet, so che pensi che stia aiutando Altfor, ma non è così,” disse Genevieve. “Sono qui per aiutare te. Sono qui per aiutarti a scappare.”
Ancora nessuna risposta dalla figura rannicchiata nell’angolo. Genevieve si trovò a sperare che non fosse per quello che avevano fatto a Garet là sotto, che non lo avessero torturato al punto che lui non poteva parlarle.
“Garet, ti prego,” disse Genevieve. “Sono dalla tua parte. Voglio tirarti fuori da qui. So che tante cose che ho fatto mi fanno apparire dalla parte di Altfor, ma ti posso promettere che le ho fatte tutte perché amo Royce. Gli ho mandato dei messaggi, dicendogli dei piani di Altfor. Sai che programma di fare un finto attacco dal sud e che manderà invece delle navi da nord?
“Sì,” disse la figura, e quelle parole furono sufficienti per farle gelare il sangue nelle vene. Conosceva quella voce, e non era quella di Garet.
La figura si alzò in piedi, lasciando cadere il mantello a terra. Lì davanti a lei, illuminato a metà, si trovava Altfor, il suo sorriso reso ancora più crudele dal bagliore della candela.
“Immaginavo che avresti fatto una cosa del genere,” disse, avanzando verso di lei. Genevieve era talmente stupefatta che neanche reagì quando lui le strappò le chiavi di mano. “Immaginavo che la presenza del ragazzo ti avrebbe indotta a uscire allo scoperto, dandomi la scusa per fare quello che desidero.”
Genevieve sapeva di cosa la stava minacciando, e subito la sua mente andò all’unica protezione che sapeva di possedere. “Sono tua moglie.”
“Una moglie che ama il mio nemico!” gridò Altfor. “E anche un traditore. Essere una nobildonna non ti proteggerà adesso.”
“Sono incinta di tuo figlio,” sottolineò Genevieve.
“Sì,” disse Altfor. “È vero.”
Le passò accanto e si diresse alla porta, attraversandola e sparendo prima che Genevieve potesse reagire. Il suo volto apparì attraverso il foro nella porta.
“Deciderò cosa fare con te,” disse. “Magari aspetterò fino a che avrai mio figlio in grembo e poi ti farò giustiziare. O magari no. Ma stai certa, Genevieve, che morirai per questo.”
Mentre navigavano, Royce era consapevole del senso di speranza che aleggiava sulla barca. Avevano trovato suo padre, lo specchio stava nella sua borsa sul fondo dell’imbarcazione e ora erano diretti verso casa. Avevano davvero fatto quello che avevano programmato di fare, nonostante tutte le sfide che si erano trovati davanti sulle Sette Isole. Se erano riusciti a fare questo, probabilmente sarebbero riusciti a completare anche tutto il resto.
“È davvero il re,” sussurrò Mark, guardando verso il punto in cui si trovava seduto il padre di Royce, intento a osservare le onde. Il ragazzo sembrava stupefatto e attento a seguire ogni singola mossa di re Filippo, come se fosse in attesa di istruzioni da parte sua.
“Ed è anche mio padre,” disse Royce. Per quanto lo riguardava, quella era la cosa più importante.
“Tuo padre, il re,” confermò Mark. “Mi spiace, so come suona, e hai fatto un sacco di cose impressionanti anche tu, ma te ti conosco.”
“E con il tempo conoscerai anche mio padre,” disse Royce. Lui stesso voleva conoscere meglio suo padre. Dopo tutto quel tempo divisi, avevano tantissime cose da recuperare. Royce voleva sapere tutto ciò che suo padre aveva fatto da quando se n’era andato, e voleva capire di più che genere di uomo era.”
Iniziò ad avanzare, andando verso il punto in cui sedeva suo padre. Questo significava passare accanto a Matilde e Neave che stavano appollaiate nel mezzo. Le due sembravano discutere su una qualche storia che riguardava le imprese di suo padre.
“Te lo dico io,” disse Matilde. “Era un grande eroe. Ha lottato contro i nobili.”
“Era un nobile,” ribatté Neave. “E poi ha perso contro i nobili.”
“Ha combattuto contro dei mostri.”
“Anche noi abbiamo combattuto contro dei mostri,” sottolineò Neave.
“Ha dato la caccia ai banditi per tenere le strade sicure.”
“Alcuni di loro erano Picti.”
“È questo il problema? Non ti piace perché ha combattuto contro i Picti? Perché pure io ho combattuto contro i Picti. Ti ho battuta, ricordatelo.”
“Va tutto bene?” chiese Royce, prima che la discussione potesse decollare e andare oltre. Era sempre difficile dire se quelle due stessero davvero discutendo o meno.
“Neave non pensa che tuo padre sia qualcuno che vale la pena di seguire,” disse Matilde.
Neave scosse la testa. “Sei tu quella che pensa che dovremmo seguirlo alla cieca, senza pensare.”
“Neave?” disse Royce accigliandosi. La ragazza Picti aveva qualche genere di problema con il ritorno di suo padre?
“Sono felice che l’abbiamo trovato,” disse lei, “e so che ci tornerà utile nelle battaglie che ci saranno, ma Mark e Matilde lo stanno guardando come… è quasi il modo in cui guardavamo Lethe. Niente discussioni, nessuno pensiero: solo meraviglia.”
“Perché abbiamo ritrovato il re legittimo!” insistette Matilde. “Cosa vuoi di più? Pensavo che i Picti seguissero sempre coloro che davano mostra dei giusti segni magici.”
“Coloro che possono far cantare le pietre e che sanno manovrare la vecchia magia hanno tutto il nostro rispetto,” confermò Neave. “Ma non li seguiamo alla cieca. A volte c’è qualcuno che deve fare da guida, ma ciò non vuol dire che noi ci andiamo dietro senza pensarci, senza decidere con le nostre teste cosa sia giusto.”
“Il ritorno di mio padre porterà dei problemi tra i Picti?” le chiese Royce.
“Non lo so,” ammise Neave. “È un uomo che ha fatto un sacco di cose impressionanti, ma è stato anche quello che ha lasciato il regno nelle mani di re Carris e dei suoi nobili. Avrebbe potuto restituirci il nostro posto nel mondo e non l’ha fatto. Avrebbe potuto fare di più.”
“Magari questa volta lo farà,” suggerì Royce.
“Forse,” disse Neave. “In ogni caso, continuerò a seguire te. Ho sentito che tu fai cantare le pietre, almeno, e mi hai mostrato che sei una persona che fa le cose giuste, Royce.”
Royce provò un certo orgoglio davanti a quelle parole. Era riconoscente della fiducia di Neave dopo tutto quello che avevano passato. Dopotutto forse era un bene che ci fosse qualcuno di meno ammaliato rispetto a Mark e Matilde, perché così le cose sarebbero rimaste sotto controllo, aiutandoli ad assicurarsi di seguire la strada giusta e per i giusti motivi.
Intanto si accontentò di proseguire lungo la barca, portandosi al punto dove suo padre stava seduto, intento a guardare davanti a loro, insieme al bhargir Gwylim che gli stava accanto. Sembrava quasi che suo padre stesse discutendo qualcosa con la bestia, con la testa di Gwylim che si muoveva come in segni di assenso man mano che l’uomo parlava.
“Se potrò farti tornare ciò che eri, lo farò,” diceva suo padre. “Ma devi anche conoscere i pericoli delle cose che verranno. Senza la tua pelle, potrai anche essere in trappola ma sei pur sempre potente.
“Padre?” disse Royce, avvicinandosi di più.
Suo padre si voltò e gli sorrise. “È bello sentire che mi chiami così. Stavo giusto discutendo i piani con il nostro amico qui.”
“E pensi che abbia capito ogni cosa?” chiese Royce. Gli sembrava davvero strano parlare con un essere che assomigliava a un lupo.
“Sai cos’è un bhargir, Royce?” chiese suo padre. “Un uomo che ha potuto assumere le sembianze di una bestia imbevuta di magia e diventare essa. Una cosa antica, e potente. Una creatura come lui può guarire le proprie ferite, può combattere contro gli avversari più feroci e poi tornare al campo col corpo dell’uomo che era un tempo. Solo che questo non può.”
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