Chris J. Biker
L'immagine di copertina è opera dell'artista Emiliano Movio, la conversione in file è stata realizzata dal grafico Pierluigi Paron, per Print Service.
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Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write
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Cari lettori, faccio chiarezza su un'incongruenza storica che troverete leggendo questo romanzo, ambientato intorno al 900 d.C., epoca in cui i Nativi non possedevano ancora i cavalli, poiché giunsero nelle loro vite oltre mezzo secolo più tardi. Ma ditemi: non è forse vero che quando pensiamo ai Nativi Americani nella nostra mente prende vita l'immagine di cavalieri piumati, sui loro destrieri, che cavalcano liberi sulle loro terre? Non potevo proprio rinunciare a questa meravigliosa visione.
Dedicato alle mie figlie, Sara e Janis, che giorno dopo giorno impreziosiscono la mia vita del dono più grande, dal valore inestimabile, l'Amore Puro.
Durante la grande era dei Vichinghi, nel villaggio di Gokstad in Norvegia, nasceva Ulfr, primogenito del Re vichingo Olaf.
Olaf fu svegliato all'alba da uno strano gemito, guardò al suo fianco e vide che sua moglie Herja non c'era. Si alzò a sedere, guardandosi intorno.
La intravide in piedi, vicino alla parete, fiocamente illuminata dalle prime luci del mattino che entravano dalla fenditura sul muro, il busto leggermente piegato in avanti, con una mano aggrappata all'arazzo appeso mentre con l'altra reggeva il pancione.
- Fai venire la levatrice - le parole le uscirono a denti stretti.
Olaf balzò in piedi. Con una falcata oltrepassò la porta, chiamando a gran voce le donne della servitù.
- Presto! Presto! - tuonò nel silenzio.
In pochi secondi la casa riprese vita, le donne correvano in lungo e in largo mentre Olaf continuava a ripetere agitato: - Presto! Presto! - rimanendo davanti alla porta per non perdere di vista la moglie.
Due donne entrarono a tutta velocità nella stanza, infilandosi tra gli stipiti della porta e i fianchi dell’uomo. Accesero subito dei piccoli fuochi, usando olio di pesce contenuto all’interno di alcuni recipienti semisferici in ferro che, sparsi lunghi i muri, fungevano da lampade.
- Spostatevi da lì! - intimò una voce di donna che reggeva tra le mani un recipiente fumante, avvolto nelle pezze.
Era la vecchia Sigrùn, la levatrice, l'unica donna che potesse parlargli così. Nessuno conosceva la sua età, ma doveva essere davvero vecchia, tanto da guadagnarsi il soprannome di Sigrùn “l'Immortale”, poiché aveva fatto nascere tutti in quel villaggio e godeva di indiscusso rispetto.
- Siete grande quanto la porta! - aggiunse, passandogli a fianco, seguita da un'altra donna, che la richiuse alle sue spalle.
Olaf rimase qualche istante immobile a fissare i decori intagliati nel legno, affidando le sue preghiere a Frey e Freyia, gli Dei della fertilità. A Loro ci si rivolgeva per assicurarsi la nascita di un figlio sano e forte.
La moglie era già in ottime mani, quelle della vecchia Sigrùn, considerata anche la Sacerdotessa delle Sacre Rune, che aveva incise nei palmi delle sue mani, le sue profezie non venivano mai sottovalutate...
La stanza si riempì di un profumo simile al limone, sprigionato dal decotto di verbena, o meglio degli artigli di drago, come li chiamava la vecchia. Ne versò un po' in una tazza e si avvicinò a Herja che aveva il fiato corto e gli occhi spaventati dai forti spasmi.
- Bevila, ti allevierà il dolore - la esortò.
Herja non se lo fece ripetere. Avrebbe ingurgitato qualsiasi cosa per lenire le fitte, oltretutto il profumo del decotto era fresco e invitante.
La futura mamma, assistita dalla levatrice e da altre donne, era stremata da ore di travaglio. Quando il tempo giunse venne fatta chinare sui gomiti ed esortata a spingere.
La vecchia Sigrùn intonò una nenia di parole incomprensibili, mentre imponeva le sue mani ossute sul corpo della giovane, premendo e massaggiandole il ventre.
Il respiro di Herja si fece affannoso e le sue grida di dolore fecero aumentare ancora di più il passo di Olaf, che camminava nervosamente, avanti e indietro, davanti alla porta.
L'ultimo grido della moglie bloccò il suo passo e trattenne il respiro fino al momento della nascita, quando il primo vagito di suo figlio fu accompagnato da un coro di canti magici.
La vecchia Sigrùn, dopo il taglio del cordone ombelicale, lavò il piccolo corpo con l'acqua, lo asciugò e gli spalmò un unguento di trifoglio che difendeva dalla cattiva sorte, apportando sapienza e saggezza, e levandolo al cielo lo affidò alle forze della natura e al loro Dio Odino...
Finalmente la porta si aprì.
- Potete entrare - annunciò la levatrice, mentre si accingeva a uscire con le altre donne al seguito.
Olaf si avvicinò alla moglie che teneva tra le braccia il loro primogenito.
- E' un maschio! - disse sorridendo, porgendogli il piccolo tra le sue forti braccia.
Olaf ricambiò il sorriso e guardando il figlio con orgoglio disse: - Dobbiamo dargli un nome che sia degno della sua stirpe. -
Ma lui lo pensava da mesi quel nome, sperando che fosse un maschio.
- Sono sicura che hai già scelto il nome giusto per lui - aggiunse Herja, con lo sguardo complice di chi ha già capito tutto.
Olaf le rivolse uno sguardo ammiccante, scoppiando in una sonora risata.
Con il piccolo tra le sue grandi mani alzò le braccia al cielo e con voce solenne pronunciò il suo nome.
- Ulfr! Possano gli Dei donarti la vita gloriosa che ha vissuto tuo nonno! -
La scelta del nome era ritenuta molto importante per i Vichinghi, poiché credevano che ne avrebbe influenzato il carattere e il destino: per questo motivo gli venne dato il nome del nonno paterno, stimato Re, valoroso condottiero e abilissimo mercante, che passò gran parte della sua vita al comando del suo Knorr, splendida imbarcazione vichinga dalla prua magistralmente intagliata con la forma della testa di animale feroce, ricoperta d'oro e d'argento, sulla sua vi era quella di un lupo, perché Ulfr significa “lupo”...
Nello stesso istante, nelle pianure del Nord America, presso la Tribù del Grande Cielo, nasceva Falco Dorato, primogenita del Capo-Tribù Grande Aquila.
Le prime luci dell'alba si stavano affacciando al nuovo giorno.
Fiore di Bosco fu svegliata da una fitta lancinante. Si alzò a sedere con il fiato corto, e nella penombra cercò il viso del marito, che giaceva al suo fianco. Grande Aquila non si era accorto di nulla e lei decise di non svegliarlo.
Lentamente si alzò e uscì, cercando di non fare rumore. L'aria era fresca e leggera, fece un gran respiro e lentamente s’incamminò verso il tepee della madre.
A carponi scostò il lembo di pelle dell'entrata.
- Mamma... - chiamò con voce sommessa, per non svegliare suo padre, Tre Alci.
- E' l'ora? - chiese Rugiada del Mattino, alzandosi a sedere.
- Sì - rispose la giovane, contraendo il viso, mentre stringeva con forza il lembo di pelle.
Sua madre uscì in tutta fretta, per aiutarla a rialzarsi.
- Aspetta qui! Vado a chiamare la zia - le disse prima di allontanarsi correndo verso il tepee di sua sorella.
Fiore di Bosco annuì, ma senza ascoltare le parole della madre, e si avviò, adagio, verso un'apposita capanna, dove partorivano le donne della Tribù.
Un'altra fitta arrivò, all'improvviso, facendola piegare dal dolore: le due donne corsero per raggiungerla e offrendole un appoggio, la accompagnarono all'interno della capanna.
La zia, Stella Azzurra, si precipitò al fiume per prendere l’acqua, mentre la madre le preparò un morbido giaciglio, sul quale la fece adagiare, in attesa del parto.
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