Carlo lo guardava meravigliato, ricordava il periodo in cui era stato male ed era apatico e facilmente irritabile. Certo, Libero non era un genio, ma la vita semplice che conduceva lo faceva felice e Carlo avrebbe voluto vedere così sereno anche Elio. Intanto Libero stava con il naso schiacciato sul finestrino dell’auto dello zio e faceva domande su tutto quello che vedeva.
A casa tutti aspettavano il suo arrivo.
Giulia era nervosa mentre finiva di preparare le valige, adesso era arrivato il momento e si chiedeva come sarebbero andate le cose, il suo istinto da chioccia prendeva il sopravvento.
Gaia, invece, aveva già assorbito il colpo, le correva dietro facendole mille domande su quello che avrebbe potuto vedere e fare nei dintorni della fattoria.
Non ci andavano da quando erano piccolissimi e c’erano ancora i loro nonni, non avevano quasi più memoria del posto, se non qualche vago ricordo dei campi o l’odore degli alberi con cui giocavano a nascondino.
Dopo la morte del marito, la zia aveva avuto difficoltà a riorganizzarsi e aveva deciso di trasferirsi nella vecchia fattoria dei genitori, ormai abbandonata, con i figli.
Gaia sentì il rumore della chiave che girava nella serratura della porta e corse ad accogliere il cugino che la sollevò come aveva fatto con suo padre e la fece girare come su una giostra. Gaia sorrise, non si aspettava questa dimostrazione di affetto.
- Ciao Libero, come stai? - chiese di cuore al cugino che non vedeva da parecchio tempo.
-Bene, piccola - rispose Libero.
Nel frattempo, arrivò Giulia e fu l’unica con cui Libero si comportò da gentiluomo, baciandola frettolosamente sulle guance.
- Com’è andato il viaggio? - gli chiese premurosa Giulia.
- Bene, la mucca d’acciaio è proprio comoda e veloce per viaggiare e la città è piena di cose curiose. Sono felice di essere qui!
- Siediti, sarai stanco. Ti posso offrire un gelato? - chiese ancora Giulia.
- Si, grazie zia, io amo i gelati - accettò di buon grado Libero - ma che fine ha fatto Elio?
- Elio è in camera sua, ora arriva - disse Carlo arrabbiato con il figlio che non si degnava a passare a salutare il cugino che aveva fatto quel viaggio solo per venirlo a prendere e si diresse verso la sua camera.
- No, no zio - lo fermò Libero - vado io, voglio fargli una sorpresa. Indicami solo qual è la sua camera.
Non appena Carlo gliela indicò, Libero si lanciò verso la camera dove si sentirono le sue grida di felicità mentre lo salutava.
Neanche Elio, nonostante la sua freddezza, riuscì a sfuggire all’abbraccio roteante.
Gaia guardò sorpresa la madre e le sussurrò: - Non lo ricordavo così grullo!
- Non dire così - si affrettò a rimproverarla Giulia - è un bravo ragazzo ed è anche molto buono.
- Sì, ma...sicuro che riuscirà a portarci a destinazione? - chiese perplessa Gaia.
- Certo che sì! - la rassicurò Carlo - Non sottovalutarlo, insieme alla madre manda avanti la fattoria. È forte e in gamba.
Arrivò l’ora di cena e fu molto allegra, con tutti i colori portati dalla campagna da Libero, naturalmente per tutti escluso Elio.
- Non vedo l’ora di mostrarvi tutto - concluse Libero, alla fine della descrizione della fattoria, rivolgendosi ai cugini.
- Sei sicuro di non voler rimanere qualche giorno prima di ripartire? - gli chiese Giulia.
- Non posso lasciare la mamma da sola in questo periodo, ci sono tanti lavori da fare.
- Hai ragione Libero, sei proprio un bravo ragazzo - lo elogiò Carlo battendogli affettuosamente la mano sulla spalla.
- Sai zio, mi chiedevo una cosa sulla macchina, prima di venire in città pensavo che il clacson sulle auto servisse solo in caso di pericolo...
- Certo - rispose Carlo - perché?
- Perché sembra che qui lo usino tutti per far festa, non smettono mai di suonare!
Tutti, tranne Elio, scoppiarono a ridere chiedendosi in cuor loro se Libero scherzasse o fosse veramente così…
Terzo Capitolo
Accorgendosi del suo terrore, cominciò a ridere
La mattina seguente a buttare giù dal letto Giulia fu Libero, inciampando nel tappeto del corridoio. È così, lui e la zia, si ritrovarono a fare colazione prima che tutti gli altri si svegliassero. Quando il profumo del caffè inondò la camera di Carlo si aggiunse anche lui e, insieme alla moglie, si mise a raccontare quello che stava accadendo ad Elio.
- Non temete - li rassicurò il ragazzo - questa esperienza fuori casa lo aiuterà e poi mamma ha già preparato un piano d’attacco!
Alla stazione Giulia non faceva altro che raccomandarsi con i ragazzi, perché si comportassero bene a casa della zia.
Gaia non stava più nella pelle per l’emozione e la curiosità, mentre, al solito, si vedeva lontano un miglio come Elio fosse stato trascinato in quella storia. Si tirava dietro la pesante valigia di Gaia perché Libero lo aveva costretto: "Le signorine non portano pesi!", già quel cugino lo aveva stancato.
Libero, in jeans e maglietta, indossava anche un cappellino giallo ocra della protezione civile che ai cugini sembrava fuori luogo e portava tutto il resto dei bagagli come se si trattasse di valigie vuote.
Il treno lasciò la stazione in perfetto orario. Solo loro tre occupavano lo scompartimento. Libero sistemò le valigie sull’apposita rastrelliera e propose:
- Gaia vieni, andiamo al vagone ristorante a prendere il bis della colazione, arriveremo tardi alla fattoria e dovrete essere in forze. Elio farà da guardia alle valigie, vedrai che non si avvicinerà nessuno alle nostre cose. In caso ringhia! - disse sorridendo rivolto al cugino - E se non farai il muso lungo porteremo qualcosa da mangiare anche per te…
I due cugini uscirono dallo scompartimento con grande sollievo di Elio, desideroso di restare da solo.
Fissava il paesaggio fuori dal finestrino sempre uguale a se stesso, erano appena usciti dalla zona industriale ed ecco finalmente si vedevano i primi campi coltivati e poi ancora campi e poi campi e colline e poi ancora colline e campi.
D’un tratto vide, riflesso nel vetro del finestrino, un signore che se ne stava seduto sul sedile della fila accanto alla sua, appena dopo il corridoio.
Quando era entrato nello scompartimento? Non aveva sentito la porta aprirsi.
Il tizio era vestito di nero e aveva degli strani occhialini sul naso, stava leggendo un libro rilegato in pelle nera con le pagine di carta velina, che sembrava vecchio d'un centinaio di anni. Aveva in testa un cappello a falde larghe che gli copriva il viso e bisogna dire che metteva inquietudine.
Elio non si girò, continuava a tenerlo d’occhio guardando il suo riflesso sul vetro del finestrino. Gli faceva paura essere lì da solo con quel tizio. Adesso avrebbe voluto che il cugino, grande e forzuto, rientrasse al più presto nello scompartimento, ma di lui e di Gaia neanche l’ombra.
Intanto il tizio continuava a leggere, si interrompeva solo di tanto in tanto per guardare un vecchio orologio che tirava fuori dal taschino del gilè, indossato sotto il suo completo di un’eleganza di altri tempi.
Questo faceva innervosire ulteriormente Elio che si chiedeva cosa stesse aspettando, doveva essere sicuramente qualcosa di importante per continuare a guardare l’orologio tutto il tempo.
Poi, d’un tratto, il tizio, dopo aver guardato per l’ennesima volta il suo orologio, chiuse il libro e si abbassò per prendere qualcosa in una borsa nera appoggiata al pavimento fra le sue gambe. I pantaloni leggermente alzati mostravano delle caviglie nere e sottili e delle strane calze che sembravano di pelo nero.
Elio non riusciva a contenere la sua inquietudine e cominciò a tremare. Ecco che il tizio, come accorgendosi del suo terrore, cominciò a ridere mentre continuava a frugare nella borsa. Era una risata profonda e lugubre che risuonava nelle sue orecchie e per non sentirla più se le tappò con le mani. Chiuse gli occhi per non vedere nel vetro il riflesso di quell’uomo e dentro di sé pregò: "Fa che torni Libero, fa che torni Libero".
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