Massimo Longo E Maria Grazia Gullo - Riflessioni Ironiche Di Un Moderno Migrante Italiano

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“Questo stato non consiste in una semplice malinconia, ma nel malessere di non ricono-scersi né nel posto da cui sei partito, né in quello in cui sei arrivato. In modo particolare, all’inizio del trasferimento, sei al nord e vor-resti essere al sud, in cambio quando sei al sud vorresti essere al nord. Ti ritrovi a non sopportare i difetti di entrambi i posti in cui vivi e, contemporaneamente, ad amarli en-trambi.”

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Ora direte, saranno stati clementi visto che tutti gli altri non ne hanno pagata quasi nessuna e beneficiato del condono? E invece NO! Si vide contestare multe enormi e senza senso per le ultime due rate, ripeto, ultime due rate. Alla fine, Settimo con sforzo riuscì a pagarle, ma questa piccola storia è esemplificativa di come vanno le cose in questo Paese, 1° comandamento: “Evadi e ti verrà condonato tutto”, 2° comandamento: “Sii onesto, paga tutto e se sgarri ti caccio solo una mora del 300%”.

Settimo, nonostante la sfiga lo colpisca ripetutamente, è come Holyfield. Chi è Holyfield?

Chi è Holyfield! Provate a cercare su internet. Io non amo la boxe, mio malgrado mi trovai, in compagnia di mio fratello, a vedere il suo incontro con Tyson. Tyson lo conoscete, vero? In quel famoso incontro, Tyson gli staccò l’orecchio per rabbia a causa della sua frustrazione, dovuta al fatto che nonostante lo colpisse con tutta la sua ferocia, Holyfield continuasse ad avanzare a testa bassa, inesorabilmente. Ed è così che posso descrivervi Settimo, inarrestabile, fiducioso verso gli altri, sorridente, pronto ad andare avanti con follia ed entusiasmo, come un Holyfield insomma.

Uno dei miei più grandi rimpianti, purtroppo ero già emigrato, fu quello di non poterlo seguire in una delle sue follie, quando, per allenarsi, in verità per fare conoscenze femminili, si iscrisse alla scuola di danza aerobica, per lo stupore di tutti. Avete capito bene, provate a chiudere gli occhi e immaginare un soldato romano in pantaloncini e maglietta, ballare con la sua leggiadria da vichingo, insieme a tutte le donnine in calzamaglia che gli giravano in tondo, me lo immagino come “Gigi la trottola”, ma più romano. E vi posso assicurare, sarà stato uno spasso, almeno come quando un giorno, entrando a casa sua, lo vidi saltare come un grillo avanti e indietro per la casa.

Il motivo?

Gli chiesi cosa stesse succedendo:

- Ho messo le gocce per la tosse!

- E allora? - domandai - Ti hanno fatto venire un'irritazione alla gola che corri così?

- Nell’occhioooo - mi urlò - non ridereeeeeeeeee c…".

Ora, voi direte, ma è un idiota. Ma io vi sfido dopo una settimana di saldatura e di schegge di metallo in entrambi gli occhi a distinguere la boccetta dell’antibiotico per la tosse posizionata da qualcuno ancora sconosciuto vicino al collirio per gli occhi nel suo frigo. No, no, non ero stato io.

Settimo, fino al mio fidanzamento e tradimento da infatuazione per mia moglie, è stato il mio inseparabile fratello, e notte e giorno compagno di giochi.

Veramente, su suo suggerimento, ero io ad invadere casa sua fino a sera inoltrata, distruggendogliela. Come quando, tirandogli un colpo con il cuscino, feci saltare una delle bocce del lampadario o come mentre, a furia di cincischiare con la mia inutile e insistente curiosità con gli attrezzi del fratello, vidi salire un leggero fumo dalla radiotrasmittente che aveva costruito con cura. Provai a spegnerla, ma era troppo tardi, era andata. A volte ero capace di invadergli casa anche a ora tarda, dopo un rientro da una festa, per chiacchierare ore nella sua camera. Suo padre per controllare l’ora del nostro rientro e mettere un freno alle mie invasioni, appoggiava a terra davanti all’uscio di casa una sveglia. Settimo conosceva il trucco ma dimenticò di avvertirmi, di conseguenza la presi in pieno scagliandola sul muro con un calcio, il rumore svegliò tutta la sua famiglia e a quel punto non mi restò che darmi alla fuga.

Parlo di giochi perché non si potevano definire avventure alla Indiana Jones, ma giochi veri e propri in ogni momento della giornata. Uno, ad esempio, consisteva nel far indispettire quegli automobilisti che allo stop, appena passa meno di un secondo da quando ti sei fermato, già iniziano a suonare il clacson per farti fretta, come se da loro dipendessero le sorti di Wall Street e dovessero correre a vendere tutte le azioni prima del crollo della borsa. Allora scattava il nostro piano di ritorsione. Facendo finta che la nostra moto o il motorino o l'auto, si spegnesse proprio in quel momento, gli facevamo prendere una “crisi d'attesa”. Mentre fingevamo di riavviare, aspettavamo che il manager iniziasse a fare manovra per cercare di evitarci e affacciarsi allo stop, ma proprio in quel momento, "miracolo", il nostro mezzo si riavviava mettendosi ancora di traverso e impedendogli di passare, facendo scattare la furia da clacson del deficiente.

Ci divertiva anche quando, nei locali affollati, mentre facevamo la fila al bancone, facevamo finta di essere una coppia gay. Lo facevamo in modo grottesco ed esagerato per vedere le reazioni dei proprietari e degli avventori. Non potevamo mai pensare che qualcuno, vedendoci, lo smilzo vatusso, cioè io, e il romano peloso, cioè Settimo, potesse veramente credere che avessimo una relazione, i gay non si comportano mica in quel modo. Eppure, mi dovetti rassegnare davanti all'evidenza, quando mia madre e mia sorella mi chiamarono di là in salotto con una faccia da funerale. Io ero stupito, non era mai successo.

Mia sorella con voce scossa, evidentemente mia madre non era in grado di pronunciare “gay”, mi chiese:

- Non è che sei gay?

Io rimasi di stucco, non sapevo se ridere o arrabbiarmi e risposi:

- Perché?

Non mi vollero spiegare il motivo, per cui uscii non badandogli. Riflettendo negli anni a venire, mi chiesi se quella domanda potesse essere legata a quegli scherzi e al fatto che non ci separavamo mai. In fondo noi eravamo anime serene, ci fregava poco di cosa pensasse la gente, non ci facevamo troppe pippe mentali, forse però “il paese è piccolo e la gente mormora” ed era nata la voce sui due amanti. In realtà per capire l'entità e la quantità di gente arretrata e bigotta bisogna arrivare ad un’età adulta.

Capitolo secondo

“Le tre fasi delle strutture del comune”

Anche lo sport era fra i nostri passatempi preferiti. Lotta, motocross con il motorino, tennis, un po’ di salti su muri e staccionate, adesso lo chiamano con un nome fico, parkour, insomma tutto quello da evitare con le nostre schiene. Infatti, oltre tutto, condividevamo anche il pessimo stato delle nostre colonne vertebrali, ma “Holyfield insegna” spingere avanti. Le nostre passioni erano fiorenti non come il nostro stato finanziario, insomma eravamo spiantati e senza una lira, e si! Era tempo delle lire ancora. Il tennis era una delle passioni passeggere e, viste le nostre finanze, non ci saremmo mai potuti permettere il costo del campo, figurarsi un maestro, poi a cosa serviva? Ci mettevamo noi quello che mancava. Utilizzavamo un sistema molto in voga ai nostri tempi “allargo e scavalco”. Allargo la rete e scavalco il muretto. Voglio precisare, non eravamo vandali, avevamo grande rispetto dei posti in cui entravamo, non distruggevamo niente, utilizzavamo solamente le strutture comunali nei quartieri dei dintorni, le quali, per motivi inspiegabili, erano abbandonate ma in buone condizioni. Ad esclusione di quella notte, in cui utilizzammo le reti a molla a pagamento di un privato. Durante il giorno bazzicavamo proprio nei dintorni delle reti e a volte in momenti di fortuna riuscivamo ad accumulare abbastanza soldi per fare un giro, e intendo numero 1 giro. Era frustrante, appena iniziavi a prenderci gusto, vedevi l'omone di guardia farti cenno di uscire, era già finito il tuo turno, nacque allora il piano notturno. Le reti si trovavano sotto un bellissimo castagno secolare isolato e quella sera le luci erano stranamente spente, così, con un commando di altri ragazzi, ci avvicinammo. Mentre alcuni facevano la guardia, a turno ci infilavamo sotto la recinsione, per saltare sulle reti sino a sfinirci. Fortunatamente andò bene, visto che non distruggemmo niente e non ci rompemmo niente.

Per capire perché utilizzavamo queste strutture abbandonate ho bisogno di spiegarvi alcune cose. Nel posto da cui provengo i comuni sperperavano (sperperano) i soldi per costruire strutture “utili per i giovani” solo nelle solenni occasioni pubbliche in cui le annunciano. Purtroppo, in verità servono solamente ad ingrassare i costruttori legati a chi è al potere nel Comune in quel momento. Un fatto lo rende evidente, queste strutture passano tutte per le stesse fasi, che constano in tre, prima le costruiscono, poi le inaugurano e per ultimo, terza fase, le abbandonano al degrado, non permettendo un ingresso regolare con un custode. Finita la terza fase, iniziano a progettare una nuova struttura, il tutto per ricominciare dalla prima fase. La più eclatante l'ho scoperta durante un mio rientro vacanziero dal nord. Invitato da Settimo a casa della sua famiglia per un pranzo (nonostante da ragazzo gli devastassi casa mi hanno sempre voluto bene), fui accompagnato fuori in balcone ad ammirare la nuova costruzione del Comune, non potevo credere ai miei occhi, una struttura enorme in calcestruzzo aveva consumato parte del bellissimo giardino di limoni antistante la sua casa. Era uno spettacolare campo da hockey, devo dire molto bello se non fosse già alla terza fase, cioè all’abbandono. Settimo dovette faticare non poco per farmi comprendere cosa fosse, pensavo mi stesse cogl…ando, prendendo in giro. Non potevo credere alle mie orecchie, un campo da hockey in una terra dove le pietre si crepano al sole, dove ci sono i problemi più svariati, la mancanza dell’acqua, la disoccupazione. La maggior parte dei miei compaesani sconoscevano persino l’esistenza di questo sport. L'hockey? Se avessi chiesto a qualcuno cosa fosse l'hockey avrebbe fatto segno con il pollice in alto e mi avrebbe risposto “okey”. Quale motivo poteva averli spinti a costruire uno stadio da hockey in un posto dove nelle abitazioni nessuno conosce il termosifone? Nelle costruzioni delle case non erano proprio previsti, soprattutto nelle case popolari. Mentre in alcuni paesi del centro della Sicilia l’acqua è disponibile una, due volte alla settimana? Cosa scandalosa, da riempire i telegiornali in un Paese civile. Come mi sembrano ancora attuali oggi quelle parole della meravigliosa canzone di Rino Gaetano "L’acqua che vale più del vino", naturalmente senza l’intenzione di favorire le autobotti di aziende poco trasparenti…

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