Juan Moisés De La Serna - La Lista Dei Profili Psicologici

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La Lista Dei Profili Psicologici: краткое содержание, описание и аннотация

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―Al principio non c’era nulla, tranne la luce. Almeno così mi avevano raccontato, e anche che sarebbe stato così, precisamente quello che ho visto nei miei ultimi momenti. Ma non era proprio come speravo. Mi sentivo stranamente leggero, come se tutte le preoccupazioni che mi stavano logorando in quei giorni stessero svanendo . ―Al principio non c’era nulla, tranne la luce. Almeno così mi avevano raccontato, e anche che sarebbe stato così, precisamente quello che ho visto nei miei ultimi momenti. Ma non era proprio come speravo. Mi sentivo stranamente leggero, come se tutte le preoccupazioni che mi stavano logorando in quei giorni stessero svanendo . »Neppure la fretta che mi aveva fatto correre in autostrada, ora aveva alcun interesse per me. Mi sentivo leggero, tranquillo, senza compiti nè legami. Mi pareva allora di vedere tutto con più chiarezza e prospettiva. In verità, avevo perso molto tempo della mia vita, con tanti sforzi inutili per sembrare, per ottenere, per arrivare più lontano degli altri, e ora tutto mi sembrava così banale.

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“Forse lo vedrò meglio alla luce”, pensai, mentre lo alzavo in direzione di una lampada che a svariati metri d’altezza faceva quello che poteva per illuminare la strada.

–Niente, così non si può ―dissi, dopo aver cercato di osservare il biglietto da diverse angolazioni.

Ero ancora lì quando la strada iniziò a illuminarsi e vidi che arrivava una macchina, quindi intascai rapidamente quel pezzo di carta e mi preparai a fermarla.

–Taxi!,taxi!…― urlai, facendo cenni con le mani per farmi vedere.

–Taxi, signore?― mi disse il conducente fermandosi accanto a me.

–Sí, grazie― risposi sollevato, mentre mi sedevo sul sedile posteriore.

–Dove la porto?

–All’ Hotel Plaza.

–Ha avuto fortuna che sia passato di qui!, non è una zona molto raccomandabile.

–Sí, sto iniziando a rendermene conto― dissi mentre l’auto procedeva e vedevo che era un quartiere un po’ trascurato.

–E’ qui in vacanza?― chiese il tassista.

–Cosa?― chiesi, mentre osservavo il quartiere che stavamo attraversando.

–E’ la sua prima volta in città?― insistette.

–Abito qui.

–Dove?, in hotel?― chiese il tassista con derisione.

–Sí, esatto― affermai categoricamente.

–Mi scusi, ma non capisco― disse l’uomo, sorpreso.

–Abito lì da anni, in questo modo posso concentrarmi sul lavoro senza distrarmi per cose necessarie come i lavori di casa.

–Che lavoro può essere così totalizzante?― chiese curioso il tassista.

–Faccio lo psichiatra,― risposi, mentre mi abbassavo il colletto della giacca.

–Psi…cosa?, lo strzzacervelli?― chiese mentre si faceva una bella risata.

–Colui che si prende cura della salute mentale degli abitanti di questa città― puntualizzai senza avermene a male per quel commento scherzoso, che non era certo il più offensivo che avevo dovuto sopportare.

–Bene, comunque sia, le da abbastanza per vivere in un hotel? Guadagnerà molto― disse mentre faceva un gesto con indice e medio, per indicare il denaro.

–Non tanto, ma poichè non ho molte spese, me lo posso permettere.

–Ah!, sí, certo― disse il tassista con un sorriso burlone.

–Se si rende conto di ciò che spende per affitto o mutuo, più le bollette di luce, acqua, assicurazione e cibo, probabilmente sceglierà una soluzione come la mia― dissi, tentando di illustrargliene i vantaggi.

–Se dicessi ai miei parenti che vado a vivere in hotel, la prima cosa che mi chiederebbero è se ho vinto al lotto ― ribattè scherzosamente il tassista.

–E la seconda? ―chiesi, continuando la battuta.

–Cosa farei con mia madre?― rispose ridendo.

–Ha una famiglia numerosa?―chiesi, curioso.

–Numerosa?, contando mia moglie, la suocera, gli zii e i cugini, quando ci riuniamo tutti insieme siamo in dieci, e un altro in arrivo. E lei non ha moglie? ―chiese in tono scherzoso.

–No, ecco, l’avevo, ma ora non c’è.

–Ah!, mi spiace― disse, cambiando tono.

–Allora non si dispiaccia, se è stata con un altro mentre io ero a un congresso.

–Dice sul serio?

E ci mettemmo a ridere per quella situazione così assurda. Poi ci zittimmo, un silenzio molesto quasi quanto quello che sentii quando tornai a casa e trovai un biglieto di mia moglie che diceva: “Spero che tu ragginga sempre ciò che desideri, io voglio provarci e per questo me ne vado”.

Un biglietto che tenevo sempre nel portafoglio, ma che non avevo mai fatto vedere a nessuno, non so se per vergogna o per paura di condividere i miei sentimenti. Era chiaro che lei non era felice con me e che voleva “esplorare nuove possibilità”.

Non appena arrivai a casa, e dopo essermi reso conto della situazione, feci le valigie e andai all’Hotel Plaza, dove sono rimasto.

Non mi è neppure venuto in mente di prendere una casa senza di lei. Tanto silenzio, tanta solitudine, nella casa che avevamo comprato con tante illusioni. Dovevamo avere dei figli, vederli crescere, e quella sarebbe stata la nostra dimora per il resto della nostra vita, e in due anni di matrimonio tutto è finito in questo modo. Nè una chiamata di scuse, nè una spiegazione, solamente un biglietto.

E’ certo che gli ultimi mesi erano stati frenetici da parte mia, concentrati sul nuovo progetto di essere cofondatore di un’associazione internazionale di psichiatri, nella quase volevamo offrire una nuova prospettiva a persone estranee alla nostra specializzazione, creare una rivista trimestrale, cercare finanziamenti per progetti di ricerca, occuparmi delle mie sedute…forse ho trascurrato ciò che amavo di più, ma non ho visto alcun segnale.

Quando tornavo a casa lei era sempre felice e contenta, mi raccontava del suo lavoro di professoressa, delle difficoltà che incontrava,e che c’era qualche bambino che la faceva impazzire.

Ricordo anche che avevamo parlato delle prossime vacanze, facendo progetti di trascorrere una settimana in una qualche isola tropicale, piene di palme da cocco e spiagge bianche, dove il cielo si confonde col mare, per poter stare da soli condividendo quel pezzetto di paradiso sulla Terra. E all’improvviso, da un giorno all’altro, solo un biglietto.

–Eccoci qui!― disse il tassista mentre si fermava di fronte all’ingresso principale dell’hotel.

–Grazie!― dissi, pagandogli la corsa e scendendo dall’auto.

–Buona notte!― disse il facchino dell’hotel.

–Buona notte!― risposi mentre mi tiravo su il collo della giacca ed entravo con una certa fretta perchè aveva iniziato a far freddo.

Dopo aver salito le scale ed aver superato la porta girevole mi diressi alla reception.

–Buona sera, stanza 311, c’è posta per me? ― chiesi, mentre aspettavo che mi dessero la chiave della stanza.

–No, dottore, ma c’è il giornale di oggi, come aveva chiesto.

–Molte grazie, buona serata― dissi, mentre prendevo i giornali internazionali che mi piaceva leggere prima di ritirarmi.

–Quale piano?― chiese il ragazzo dell’ascensore.

–Il terzo― risposi sapendo che lui già conosceva la risposta, perchè tutte le sere mi faceva la stessa domanda.

–Una buona giornata?― chiese ancora.

–Beh!, è stato un pomeriggio particolare.

–Lo dice per il tempo?

–Sí, anche per quello― risposi, con un sorriso forzato.

–Siamo arrivati!, le auguro una buona notte.

–Ci proverò, molte grazie― dissi, uscendo dall’ascensore e dirigendomi verso la mia stanza.

In fondo al corridoio, c’era una piccola suite, che disponeva di uno studiolo e un a stanza da letto. Non era molto grande, ma era il meglio che ero riuscito a concordare con il direttore dell’hotel, perchè non era normale avere clienti che alloggiavano per anni nella stessa stanza.

Non appena aprii la porta della suite mi accorsi che c’era qualcosa che non andava. Un forte odore di tabacco inondava la stanza, che di certo non era mio perchè non fumavo, e neppure invitavo amici nella stanza, così non ho potuto fare a meno di lasciarmi scappare un:

–Chi c’è?

Provai ad accendere le luci, ma non successe nulla, nonostante abbia premuto ripetutamente l’interruttore.

–Non si preoccupi dottore, va tutto bene― disse una voce dal mio divano.

Avevo trascorso talmente tanto tempo in quella stanza che ero capace di riconoscere ogni spazio e sapevo che da dove mi parlavano c’era solo un divano sotto una lampada dove di solito mi sedevo a leggere i quotidiani prima di coricarmi.

–Chi è lei?― chiesi, facendo un passo indietro e spostandomi verso l’uscita per aprire la porta e illuminare la stanza.

Ero sul punto di farlo, con la mano sulla maniglia, quando all’improvviso notai che qualcuno me la teneva chiusa impedendomi di abbasare la maniglia.

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