Annie Vivanti - Naja tripudians
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«La cancrena mi ha fatto cadere un dito. Il morbo mi s'infiltra negli occhi; non ho più palpebre. Fa presto! In nome di Dio!… Cerca! trova! inventa....».
E il dottor Harding studiò, cercò, inventò. Fece venire le opere di Bibb, di Koch, di Hutchinson, di Schmal; andò in cerca d'indigeni lebbrosi e fece su loro degli esperimenti, pericolosi a sè stesso e a loro; tentò inoculazioni, vaccinazioni, cure di arsenico, di mercurio, di olio di chaulmoogra.... Visse tra mostri deformi e animaleschi, studiando tubercoli e ulceri, cancrene e necrosi....
E già da anni la terra, scura e pietosa, aveva ricoperto il volto spaventoso di Vital, che ancora il suo amico, sulle lontane coste dell'India, cercava, studiava, inventava, ossessionato dall'idea di guarirlo, fisso nel pensiero di vincere il più antico, il più atroce morbo che affligga l'umanità.
Il dottor Harding aveva oltrepassato di poco la quarantina, allorquando l'unica sua parente – una sorella di suo padre, vecchia solitaria ed eccentrica ch'egli appena conosceva – si ammalò e lo chiamò in patria. Per devozione alla memoria di suo padre, egli, lasciando a malincuore i suoi studi e l'India, vi andò, e trovò la vecchia donna, colpita da paralisi, nella sua casetta rustica, «Rose Cottage».
Al capezzale, mite, timida, pietosa, vegliava la bionda figlia del pastore anglicano di Wild-Forest.
E quando la vecchia ebbe chiuso gli occhi – lasciando ad Harding la sua esigua sostanza, la casetta e i limitati poderi – Harding tese la mano alla mansueta e silenziosa infermiera per ringraziarla.
Quella mano era piccola e tiepida e tremante. E Francis Harding la trattenne nella sua.
V
Ma traverso gli anni – troppo brevi! – di calma dolcezza con lei, e nella vedovanza che gli straziò il cuore e lo lasciò, solo in un mondo che poco conosceva, con due fanciullette sulle braccia, l'idea fissa di Harding non gli uscì mai dalla mente: trovare un rimedio alla spaventosa elefantiasi greca, distruggere il bacillo di Hansen, liberare la terra da quella mostruosa impurità. Studiò tutte le nuove pubblicazioni di Pasini e di Borthen, di Moreno e di Padilla; si mise in corrispondenza con Filippo Rho, con Castellani e Chalmers; si creò un piccolo laboratorio in fondo al giardino dove, con bacilli mandatigli da Londra, fece degli esperimenti su conigli, topi e porcellini d'India. Intraprese dei viaggi a Parigi e a Bieberich sul Reno; mantenne delle corrispondenze agro-dolci coi collaboratori di giornali scientifici e riviste mediche; e non cessava mai di rammentare le sue passate esperienze indiane, rimpiangendo amaramente di non poterne sapere i risultati.
– Avevo trovato!… sono certo che avevo trovato.... – diceva talvolta, la sera alzando i miti occhi dai suoi fogli e fissandoli sulle teste bionde delle sue figliuole che, chine al lavoro sotto la luce diffusa della lampada famigliare, alzavano a lui i soavi occhi celesti. – Mi basterebbe avere qui otto o dieci lebbrosi....
– E dove li terresti? – chiedeva Myosotis, non senza un poco d'inquietudine.
– Già – rifletteva il dottore scotendo la testa bianca; – dove li terrei?
VI
Lieti volavano i giorni, portando anemoni d'opale e iridi azzurre e candidi narcisi al giardino di Rose Cottage; allungando i tralci di edera che stringevano in un verde abbraccio tutto il piano inferiore della casetta.
Avrebbe dovuto esserci anche un'aiuola di giacinti; ma questi, comperati allo stato di bulbo dal dottore a Leeds, e da lui e le sue figlie piantati con più cura che esperienza, non fiorirono perchè erano stati messi in terra colla testa all'ingiù.
Nel piccolo orto, cura speciale di Jessie, si seminarono colla consueta regolarità cavoli, spinacci, cicoria e piselli, e colla medesima regolarità gli otto polli bianchi, cari al cuore del dottore, andarono a mangiare i semi appena messi in terra, e se ne tornarono all'aia soddisfatti, facendo cenno di «sì» col capo ad ogni passo.
I quattro grossi conigli bianchi e neri diventarono i genitori di trentadue piccoli conigli bianchi e neri.
I due cani, Whisky e Soda, per tutto un giorno non ebbero fame, e si fu molto in pena per la loro salute, finchè non si scoprì che avevano mangiato dodici dei piccoli conigli. Allora Myosotis e Leslie piansero molto per i piccoli conigli; e piansero ancor più per Whisky e Soda durante la punizione inflitta loro dalla inesorabile Jessie col battipanni.
Il dramma dei conigli fu l'episodio più saliente di quella primavera.
L'evento principale dell'estate fu una visita della signora Russel, moglie dello Squire del paese; ella arrivò a Rose Cottage un mattino con sua figlia Nelly ad invitare le due fanciulle ai bagni di mare a Felixstowe.
– Partiamo lunedì, Nelly ed io, – disse, amichevole e vivace, al dottor Harding; – le sue due figliole potranno essere pronte per quel giorno?
Il dottor Harding parve assai incerto. Pur ringraziando dell'invito, non pareva troppo incline ad accettarlo. L'idea di affidare ad altri, anche per breve tempo, le sue dilette, lo turbava assai.
– Ma sapete pure, – insistè Mrs Russel, un poco impaziente – che questa è un'usanza entrata ormai in tutte le nostre migliori famiglie. Anche la mia Nelly fa ogni anno il suo giro di visite in casa dei nostri amici più intimi. Solo così le nostre ragazze possono imparare a stare al mondo, a conoscere gente, a non trovarsi timide ed impacciate quando vanno in società.
Pur riconoscendo la saggezza e i vantaggi di questa abitudine inglese, il dottore non sembrava troppo disposto a conformarvisi.
Allora la signora Russel, già sulla porta in procinto di partire, tentò un altro argomento.
– Pensate, dottore, di quanto vantaggio per la loro salute saranno i bagni di mare....
Il dottore ringraziò, e promise che ci avrebbe pensato.
Jessie che teneva aperta la porta, la richiuse con forza non appena Mrs Russel e sua figlia ebbero voltato le spalle; indi entrò nel salotto con ciò che le bimbe chiamavano «la sua faccia di policeman».
– I bagni di mare! – esclamò. – Già. Non mancherebbe altro.
– E perchè no? – fecero in coro Myosotis e Leslie.
– Perchè è pericoloso – dichiarò essa.
– Ma Jessie!… Tutti vanno a fare i bagni!…
– Ci vanno, ci vanno; e per lo più si annegano, – sentenziò Jessie, lugubre e caparbia. – Vostro padre deciderà come vorrà. Ma se lo domandate a me, dico che finchè voi non saprete nuotare non dovete entrare nell'acqua.
– E dove vuoi che impariamo a nuotare? Per istrada? nel prato? – esclamò Leslie, sarcastica.
Ma la vecchia domestica volse le spalle quadrate e inesorabili, e tornò in cucina.
Le due fanciulle la seguirono.
– Jessie!… Sei proprio illogica… – ragionarono.
– Sì, sì, illogica – fece quella; – quando avrete la mia età sarete illogiche anche voi.
Myosotis rise. E rise anche Leslie all'idea di avere giammai l'età di Jessie.
– Scommetto che Jessie, – osservò Myosotis – non sa neppure il significato della parola «illogica»!
– Non lo so, nè lo voglio sapere – ribaltò Jessie. – Non ho tempo, io, di riempirmi la testa di parole nuove.
E staccò dal gancio una casseruola, sbattendola sul tavolo con molto rumore.
– Lasciamola stare! – fece Leslie, traendo pel braccio la sorella. – Sai bene.... È come la storia del pianoforte.
La storia del pianoforte! Le ragazze la rammentavano a Jessie ogni volta che volevano farla stizzire.
– Rose Cottage sarebbe perfetta – aveva detto un giorno Myosotis, guardandosi intorno nella casetta, che dopo la vigorosa pulizia pasquale di Jessie era linda e lucida come un bambino a cui si sia lavato con molto sapone la faccia, – sarebbe perfetta.... se ci fosse un pianoforte.
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