Annie Vivanti - Gioia!
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– Io?… – dice, come per guadagnar tempo; – Ah! Io!… – E improvvisamente si chiude il viso nelle mani.
Vi è nella sua voce un'espressione che non comprendo. Orrore? Estasi? Disperazione? Non so.
– Dimmi, – le ordino, colla tazza di thè in mano, mentre di fuori nel crepuscolo....
(Qui leggere due pagine di un altro autore).
– Ebbene, – dice Bérangère, – ascolta.
– Ero venuta a passare un mese dalla zia Clotilde qui sopra, a Glion, dovendo poi raggiungere per le feste natalizie la famiglia del mio fidanzato a Ginevra. La sera della Vigilia vi doveva essere da loro a Château-Mirval un pranzo di famiglia seguìto da un grande ricevimento per partecipare al mondo che l'erede dei Lussain-Maldé si fidanzava.... a me. Da Parigi era annunciato, per l'occasione, l'arrivo di parenti milionari che portavano in dono a lui una Peugeot 40 HP., e a me una collana di perle con sessantotto gemme scelte. Tutta la festa doveva rivestire un carattere di grande etichetta e solennità.
Fu deciso ch'io lascerei Glion, accompagnata dalla zia, alle due del pomeriggio, arrivando a Ginevra verso le quattro. Indi, thè di gala; pranzo intimo; ricevimento fastoso.
Il giorno 23 mandammo a Ginevra bauli e valigie; il 24, alle due, uscimmo dall'albergo e ci avviammo alla stazione della funicolare per scendere a Montreux.
Ed ecco che sulla strada nevosa e ghiacciata mia zia scivola, cade, si sloga un piede.
Agitato ritorno tra le braccia del portiere all'Hôtel! affannati telefonamenti al dottore di Montreux – assente! a quello di Territet – presente ed accorrente. Compresse d'acqua vegeto-minerale. Altri telefonamenti ai de Lussain-Maldé, Château-Mirval, Ginevra. «Verrò, io sola, col prossimo treno. Arrivederci stasera alle 21,10». Disperate proteste dall'altra estremità del telefono. Laceranti gemiti dal letto di zia Clotilde. Nuove compresse d'acqua vegeto-minerale. Tristi riflessioni: niente thè di gala! niente pranzo intimo! Unico conforto: arriverò a tempo per il fastoso ricevimento.
Difatti alle 17,50, avviluppata in fluttuanti veli da viaggio, scendevo nella neve e la nebbia alla Funicolare Glion-Montreux; alle 18 e 20 m'aggiravo quaggiù nella stazione di Montreux con quaranta minuti da aspettare. Era buio; faceva freddo; la sala d'aspetto era lugubre e deserta. Nessuno viaggiava in questa serata. Pensai al pranzo di famiglia – tavola risplendente, visi sorridenti, vini spumeggianti, discorsi augurali, ed io, a fianco di Lucien, eroina di tutti i festeggiamenti.... Un'irrefrenabile tristezza mi morse il cuore e mi riempì gli occhi di lagrime. Ma subito il pensiero di arrivare in casa de Lussain cogli occhi gonfi, frenò il mio pianto, e decisi di andare nella Salle de Toilette a dare un ultimo ritocco ai miei capelli ondulati, un soffio di cipria alle mie guancie.... Quest'idea mi confortò.
M'avviai per il vasto andito deserto, percorsi un altro lungo corridoio ed arrivai davanti all'uscio della « Toilette pour Dames. (Luxe). 50 centimes ». Girai la maniglia ed entrai.
La custode aveva già lo scialle in testa per partire e stava riponendo in un armadietto il «luxe», costituito da un pacco di forcelline, una scatola di cipria e una saponetta rosa. Parve contrariata dal mio arrivo.
– Capirà, – mormorò, – è la Vigilia. I bambini aspettano ch'io vada ad accendere l'albero di Natale.
– Non occorre che aspettiate, – diss'io; – lasciatemi il sapone e un asciugamano. – E togliendo dalla borsetta (unico mio bagaglio, poichè il resto mi aveva preceduta a Ginevra) alcune monete d'argento, gliele porsi augurandole buon Natale. Essa ringraziò con effusione; indi, salutandomi e raccomandandomi di «badare alla porta», uscì.
Io udii risuonare a lungo i suoi passi per l'andito sonoro.
Chiusi con cura la porta ch'essa aveva lasciata semi-aperta e mi dedicai alla mia toilette. Non fu spiacevole occupazione; m'incipriai; mi lucidai le unghie; constatai che i miei occhi non erano per niente gonfi; appena un leggero arrossamento delle palpebre tendeva a darmi – colla mia carnagione bianca e i miei capelli color rame – un'aria un poco tizianesca. Pensai con soddisfazione alla mia entrata nel gran salone di Château-Mirval, all'effetto che produrrei sui parenti milionari, al primo sguardo di Lucien.... Indi mi disposi a tornare sul quai ad aspettare il treno.
Richiusi la borsetta, gettai un ultimo sguardo nello specchio e m'avviai alla porta.
Afferrai la maniglia. Non girò. Spinsi la porta – non cedette. Tirai la porta – non si mosse. Tentai di scuoterla – era rigida, solida, incrollabile. Mi guardai d'intorno in cerca d'una finestra. Non ve n'era.
Allora chiamai. Chiamai: «Custode!… Facchino!… Portiere!…» Nessuno rispose; nessuno venne. Tutti erano a casa a fare il pranzo della Vigilia. Tutti erano intorno agli alberi di Natale accesi; ed io ero qui rinchiusa nella «Toilette pour Dames, luxe, 50 centimes».
Udii da lontano un fischio, seguìto quasi subito dal fragore del treno che entrava nella stazione. La disperazione mi colse; poi rinacque la speranza: qualcuno sarebbe venuto; qualche «dama» che per 50 centesimi....
Nulla. Nessuno venne. Urlai, strillai, diedi dei calci nella porta e nel muro, corsi in su e in giù, aprii e richiusi una porticina in fondo su cui spiccavano due lettere maiuscole dell'alfabeto inglese....
Un altro fischio, un rintocco di campana, un rullìo: il treno usciva dalla stazione – andava a Ginevra senza di me! La festa del fidanzamento avrebbe luogo senza la fidanzata.
Colla calma della completa stupefazione sedetti sull'unica seggiola – quella della custode – e cercai di riordinare i miei pensieri sconvolti. Non c'era più treno per Ginevra fino alle 2 del mattino. Viceversa c'era un treno proveniente da Ginevra alle 23,28. Pensai: Lucien prenderà quel treno e verrà a cercarmi. Chiederà, cercherà; interrogherà il bigliettario, il capostazione.... Il bigliettario non mi aveva veduta, poichè avevo preso il biglietto direttamente da Glion; ma il capostazione, sì. Durante quei pochi minuti in cui avevo girato per la stazione prima di venir qui, l'avevo scorto col suo berretto rosso; ed anch'egli mi aveva veduta. Era un capostazione giovane, con baffetti biondi.... e se li era arricciati, guardandomi. Sì, sì! il capostazione direbbe a Lucien d'avermi veduta; mi cercherebbero, mi troverebbero, mi salverebbero!
Ma erano le 19,10. Come far passare le ore fino alle 23,28? Non avevo altra occupazione che di lucidarmi le unghie; non avevo altro da guardare che il lavabo di marmo, la saponetta rosa, l'asciugamano e la tavola; non avevo altro da leggere che le due lettere maiuscole sulla porticina in fondo.
Mi chiusi nei miei pensieri. Pensai a Lucien, al mio avvenire con lui.... pensai al pranzo di famiglia.... agli alberi di Natale accesi per il mondo....
E lentamente – oh! come lentamente! – le ore passarono. Ogni tanto emettevo qualche strillo per il caso che qualcuno potesse udire. Ma la mia voce in quel silenzio mi gelava il sangue. Cominciai ad aver paura, a guardarmi attorno; mi pareva di veder muovere delle ombre negli angoli della stanza.
Allora provai a dire tutte le preghiere che sapevo; poi tutte le poesie che ricordavo. Cominciai con « Napoléon écolier ».
«À genoux, à genoux au milieu de la classe,
L'enfant mutin,
Dont l'esprit est de feu pour l'algèbre, et de glace
Pour le latin!…».
Ma il terrore mi riprese, mi agghiacciò. Il cuore mi batteva così forte che pensai: «Adesso morirò di sincope. Mi troveranno domani, giorno di Natale, seduta qui, morta – tragica e ridicola in questa esecrabile «Toilette».
Le 22. Le 22 e un quarto. Le 22 e mezzo. Le 23. A momenti sarebbe arrivato il treno da Ginevra.... e Lucien! Questo pensiero mi agitò tanto che mi misi a gridare e non smisi più; gridai, gridai frenetica e forsennata, e i corridoi vuoti echeggiarono dei miei urli stridenti.
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