«Non può esser tutto ciò che hai visto», disse Marius. «Non lo credo. Akasha, guardami. Considera con bontà quanto sto cercando di dirti.»
«Non ha importanza che tu lo creda o no!» ribattè lei, incollerita. «Non hai accettato ciò che ho cercato di dirti. Non ti sei arreso all’immagine squisita che ho presentato alla tua mente. Non capisci quale dono ti offro! Ti salverei! E che cosa sarai se non lo farò? Un bevitore di sangue, un assassino!»
Non avevo mai sentito la sua voce tanto accalorata. Quando Marius accennò a rispondere, gli impose imperiosamente di tacere e guardò Santino e Armand.
«Tu, Santino, che hai sempre governato i Figli delle Tenebre romani, quando credevano di compiere il volere di Dio quali servitori del Diavolo… ricordi cosa significava avere uno scopo? E tu, Armand, capo della vecchia congrega di Parigi, ricordi quand’eri un santo della tenebra? Avevate il vostro posto fra il paradiso e l’inferno. Io ve l’offro di nuovo, e non è un’illusione. Non potete tendere le braccia verso gli ideali perduti?»
Nessuno rispose. Santino era in preda all’orrore: la ferita che aveva dentro sanguinava. Il viso di Armand rivelava soltanto disperazione.
Un’espressione cupa e fatalista apparve negli occhi di Akasha. Era inutile. Nessuno di loro l’avrebbe seguita. Fissò Marius.
«La tua umanità!» disse. «Non ha imparato nulla in seimila anni! Tu mi parli di ideali e di mete! Alla corte di mio padre, in Uruk, c’erano uomini consapevoli del dovere di nutrire gli affamati. Sai cos’è il tuo mondo moderno? Le televisioni sono i tabernacoli del miracoloso e gli elicotteri sono gli angeli della morte!»
«Sta bene. E come sarebbe il tuo mondo?» chiese Marius. Gli tremavano le mani. «Non credi che le donne si batteranno per i loro uomini?»
Lei rise. Si girò verso di me. «Hanno lottato nello Sri Lanka, Lestat? Hanno lottato ad Haiti?»
Marius mi fissò. Attese che rispondessi e mi schierassi con lui. Avrei voluto discutere, afferrarmi ai fili che mi aveva offerto e proseguire. Ma nella mia mente si fece un gran vuoto.
«Akasha», dissi, «non continuare questo bagno di sangue. Ti prego. Non mentire agli esseri umani, non frastornarli ancora di più.»
Ecco, era brutale, ma era l’unica verità che potevo esprimere.
«Sì, l’essenza è questa», disse Marius, in tono nuovamente cauto, timoroso e quasi supplichevole. «È una menzogna, Akasha, un’altra menzogna superstiziosa. Non ne abbiamo avuto abbastanza? E proprio ora, quando il mondo si sta svegliando dalle vecchie illusioni, quando ha ripudiato i vecchi dèi.»
«Una menzogna?» Akasha indietreggiò, come se fosse offesa. «Cos’è la menzogna? Ho mentito quanto ho detto che avrei portato sulla terra il regno della pace? Ho mentito quando ho detto di essere colei che aspettavano? No, non ho mentito. Posso dar loro la prima verità della loro esistenza. Sono ciò che gli altri mi credono. Sono eterna e onnipotente, e li proteggerò…»
«Li proteggerai?» chiese Marius. «Come puoi proteggerli dai nemici più esiziali?»
« Quali nemici?»
«La malattia, mia regina. La morte. Non sei una risanatrice. Non puoi dare la vita o salvarla. Ed essi attenderanno tali miracoli! Tu puoi solo uccidere.»
Silenzio. Il viso di Akasha era improvvisamente privo di vita come l’avevo visto nel sacrario; gli occhi fìssi nel vuoto; il nulla o il pensiero profondo, impossibili da distinguere.
L’unico rumore era quello dei pezzi di legno che cadevano nel fuoco.
«Akasha», mormorai. «Il tempo, ciò che ha chiesto Maharet. Un secolo. È così poco.»
Mi guardò stordita. Sentii la morte alitarmi in volto, la morte vicinissima come tanti anni prima, quando i lupi m’inseguivano nella foresta gelida e io non riuscivo ad afferrarmi ai rami degli alberi spogli.
«Siete tutti miei nemici, no?» mormorò Akasha. «Persino tu, mio principe. Tu mi sei nemico. Il mio amante e il mio nemico nello stesso tempo.»
«Ti amo!» dissi. «Ma non posso mentirti. Non posso credere al tuo piano! È sbagliato. Sono la sua eleganza e la sua semplicità a renderlo sbagliato!»
Girò rapidamente gli occhi sugli altri. Eric era nuovamente sull’orlo del panico, e sentivo la collera che ingigantiva in Mael.
«Non c’è uno solo di voi che si schieri con me?» mormorò Akasha. «Nessuno disposto a realizzare il sogno abbagliante? Nessuno pronto a rinunciare al suo piccolo mondo egoistico?» Fissò Pandora. «Ah, tu, povera sognatrice che rimpiangi la perduta umanità: non vorresti riscattarti?»
Pandora la guardava come attraverso un velo. «Non amo essere portatrice di morte», rispose con un bisbiglio ancora più sommesso. «Mi basta vederla nelle foglie che cadono. Non posso credere che dallo spargimento di sangue possa derivare il bene. Questo è il punto cruciale, mia regina. Gli orrori avvengono ancora, ma dovunque c’è chi li deplora; e tu vorresti portare il dialogo alla fine.» Sorrise tristemente. «Per te sono inutile. Non ho nulla da dare.»
Akasha non rispose. Girò di nuovo lo sguardo sugli altri, come se misurasse Mael, Eric. E Jesse.
«Akasha», dissi, «la storia è una litania d’ingiustizie, e nessuno lo nega. Ma quando mai una soluzione semplice non è stata malvagia? Noi troviamo le risposte solo nella complessità. Tramite la complessità gli uomini tendono all’equità: è un percorso lento e faticoso, ma è l’unica strada. La semplicità richiede un sacrificio troppo grande. È sempre stato così.»
«Sì», disse Marius. «È esatto. Semplicità e brutalità sono sinonimi nella filosofìa e nelle azioni. Ciò che proponi è brutale!»
«Non c’è umiltà in te?» chiese all’improvviso Akasha. Si girò verso di me. «Non c’è la volontà di comprendere? Siete così orgogliosi, tutti, così arroganti. Volete che il mondo rimanga immutato, in nome della vostra avidità!»
«No», disse Marius.
«Che cosa ho fatto perché vi siate schierati contro di me?» chiese lei. Guardò me, poi Marius e infine Maharet. «Da Lestat mi attendevo arroganza, banalità e retorica e idee non collaudate. Ma da molti di voi mi aspettavo di più. Oh, come mi deludete. Come potete voltare le spalle al destino che ci aspetta? Voi che potreste essere i salvatori, come potete negare ciò che avete visto?»
«Ma loro non vogliono sapere che cosa siamo in realtà», disse Santino. «E quando lo sapessero, insorgerebbero contro di noi. Vorrebbero il sangue immortale, come sempre.»
«Anche le donne vogliono vivere per sempre», disse freddamente Maharet. «Anche le donne ucciderebbero per questo.»
«Akasha, è una follia!» disse Marius. «È irrealizzabile. Per il mondo occidentale sarebbe impensabile non resistere.»
«È una visione selvaggia e primitiva», disse Maharet in tono di freddo disprezzo.
Il volto di Akasha si oscurò di nuovo per la collera; tuttavia non perse la sua grazia. «Ti sei sempre opposta a me!» disse a Maharet. «Ti annienterei, se potessi. Farei soffrire coloro che ami.»
Vi fu un silenzio sgomento. Sentivo la paura degli altri anche se nessuno osava muoversi o parlare.
Maharet annuì e sorrise.
«L’arrogante sei tu», rispose. «Tu non hai imparato nulla, non sei cambiata in seimila anni. La tua anima è rimasta imperfetta mentre i mortali si avviavano verso regni che non potrai mai comprendere. Nel tuo isolamento hai sognato come fanno milioni di mortali, protetta da ogni sfida e da ogni contestazione; e ora emergi dal silenzio, pronta a rendere reali quei sogni per il mondo? Li porti qui, a questo tavolo, tra un gruppo di tuoi simili, e si sgretolano. Non puoi difenderli. Com’è possibile che qualcuno li difenda? E ci dici che neghiamo ciò che vediamo!»
Maharet si alzò lentamente. Si protese un poco in avanti, appoggiandosi sulla punta delle dita.
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