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Anne Rice: Memnoch il diavolo

Здесь есть возможность читать онлайн «Anne Rice: Memnoch il diavolo» весь текст электронной книги совершенно бесплатно (целиком полную версию). В некоторых случаях присутствует краткое содержание. Город: Milano, год выпуска: 2002, ISBN: 978-88-304-1930-8, издательство: Longanesi, категория: Ужасы и Мистика / на итальянском языке. Описание произведения, (предисловие) а так же отзывы посетителей доступны на портале. Библиотека «Либ Кат» — LibCat.ru создана для любителей полистать хорошую книжку и предлагает широкий выбор жанров:

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Anne Rice Memnoch il diavolo
  • Название:
    Memnoch il diavolo
  • Автор:
  • Издательство:
    Longanesi
  • Жанр:
  • Год:
    2002
  • Город:
    Milano
  • Язык:
    Итальянский
  • ISBN:
    978-88-304-1930-8
  • Рейтинг книги:
    3 / 5
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Memnoch il diavolo: краткое содержание, описание и аннотация

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New York è stretta nella morsa di un inverno rigidissimo, ma i vampiri non sentono il freddo e Lestat, incontrastato principe delle tenebre, attende nella notte, pregustando il sangue della sua prossima vittima: Roger, un boss della droga. Una facile preda, se non fosse per uno strano turbamento che Lestat prova nei confronti della carismatica figlia dell’uomo, Dora. A dispetto degli inviti alla prudenza da parte dell’amico David Talbot, Lestat compie l’atto finale della caccia, affondando i denti nel collo di Roger. È un tragico errore: il fantasma del morto, infatti, minaccia di perseguitare Lestat se non si prenderà cura di Dora. Per il bene della sua nuova protetta, ma anche per liberarsi dall’angosciante sensazione di essere braccato — una sensazione che lo perseguita da tempo — il vampiro sarà costretto ad affrontare le sue paure più oscure e inconfessabili, perfino a costo di perdere la ragione. Una sfida che culminerà nello scontro con una creatura sovrannaturale, che dice di chiamarsi Memnoch e di essere nientemeno che il diavolo.

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Si avvicinò subito. Aveva lo stesso odore dell’inverno inoltra­to che regnava fuori, dove la gente scivolava sulle strade ghiacciate e la neve si era trasformata in poltiglia nei canaletti di sco­lo. Il suo viso mostrava il vago scintillio soprannaturale che solo io potevo notare, amare, apprezzare come meritava e, infine, ba­ciare.

Raggiungemmo insieme l’ammezzato rivestito di moquette. Per un attimo, detestai che fosse cinque centimetri più alto di me. Ma ero così felice di vederlo e di averlo vicino!

L’albergo era tiepido, con le luci basse e ampio, un luogo in cui le persone non si fissano reciprocamente.

«Sei venuto. Non pensavo che l’avresti fatto», esordii.

«Certo che sono venuto», rispose in tono di rimprovero, l’e­legante accento inglese che proveniva dal giovane viso bruno, causando in me la consueta sensazione di sorpresa. Era un uomo anziano col corpo di un giovanotto, di recente trasformato in vampiro, e da me, uno dei più potenti rappresentanti rimasti del­la nostra specie.

«Cosa ti aspettavi? Armand mi ha detto che mi stavi chia­mando. E anche Maharet», continuò con voce sommessa.

«Ah, questo risponde alla mia prima domanda.» Volevo ba­ciarlo e all’improvviso allungai le braccia, con una certa esitazio­ne e delicatezza in modo che potesse ritrarsi, se lo desiderava. Quando si lasciò stringere, ricambiando il mio calore, provai una felicità che non sperimentavo da mesi. Forse, sin da quando lo avevo lasciato con Louis. Noi tre ci trovavamo in una parte sconosciuta della giungla quando decidemmo di separarci, ed era successo un anno prima.

«La tua prima domanda?» chiese, osservandomi molto atten­tamente, forse studiandomi, facendo tutto ciò che è nelle facoltà di un vampiro per valutare lo stato d’animo e la condizione men­tale del suo creatore, perché un vampiro non può leggere nel pensiero del suo artefice, non più di quanto quest’ultimo possa leggere nella mente del suo novizio.

Ed eccoci qui, oppressi da facoltà soprannaturali, entrambi in piena forma e piuttosto emozionati, incapaci di comunicare se non nel modo più semplice ed efficace: a parole.

«La mia prima domanda sarebbe stata semplicemente: dove sei stato, hai trovato gli altri e hanno cercato di farti del male? Tutte quelle sciocchezze, sai, su come ho infranto le regole quan­do ti ho creato, eccetera eccetera.»

«Tutte quelle sciocchezze», ripetè lui prendendomi in giro, imitando l’accento francese che ancora conservavo, ormai però abbinato a qualcosa di decisamente americano. «Che sciocchez­ze.»

«Avanti, andiamo nel bar laggiù a parlare», proposi. «Ovvia­mente, nessuno ti ha fatto del male. Non ho mai pensato che avrebbero potuto o voluto farlo, o che ne avrebbero avuto il co­raggio. Se ti avessi creduto in pericolo, non avrei permesso che te ne andassi alla chetichella per il mondo», precisai.

Lui sorrise, gli occhi castani che, per un istante, riflessero una luce dorata. «Non me l’hai già detto circa venticinque volte, pri­ma che ci separassimo?»

Trovammo posto a un tavolino addossato alla parete; il bar era semipieno, proprio la proporzione giusta. Cosa sembrava­mo? Una coppia di giovani a caccia di uomini o donne mortali? Non m’interessava.

«Nessuno mi ha fatto del male né ha mostrato il minimo inte­resse nei miei confronti», spiegò David.

Qualcuno stava suonando il piano, in modo assai raffinato, considerato che ci trovavamo nel bar di un albergo, pensai. Ed era un pezzo di Erik Satie. Che fortuna!

«La cravatta», notò lui chinandosi in avanti, i denti bianchi che brillavano, le zanne completamente nascoste, ovvio. «Que­sto ammasso di seta che hai al collo non è di Brooks Brothers! Ma guardati! E i mocassini... Santo cielo! Che ti passa per la te­sta? E di cosa volevi parlarmi?» Proruppe in una fioca risata di scherno.

Il barman proiettò un’ombra possente sul tavolino e mor­morò frasi prevedibili che, a causa della mia eccitazione e del fra­stuono, non riuscii a sentire.

«Qualcosa di caldo. Punch al rum o qualcosa del genere, pur­ché si possa riscaldare», disse David. La cosa non mi stupì.

Annuii e feci un vago gesto a quel tizio indifferente per indi­care che volevo lo stesso.

I vampiri ordinano sempre drink caldi. Non hanno nessuna intenzione di berli, ma possono sentirne il tepore e annusarne il profumo, ed è tanto piacevole.

David mi guardò di nuovo. O, meglio, quel corpo familiare che racchiudeva David mi guardò. Per colpa mia, lui sarebbe sempre stato l’uomo anziano che avevo conosciuto e amato, così come quel magnifico involucro di carne rubata che lentamente veniva plasmato dalle sue espressioni, dai suoi modi e dal suo stato d’animo.

Cari lettori, David scambiò il suo corpo umano con un altro prima che io lo trasformassi in un vampiro. Ma smettetela di preoccuparvi, quel fatto non ha niente a che vedere con questa storia.

«Qualcosa ti sta seguendo di nuovo? È questo che mi ha det­to Armand. E anche Jesse», affermò.

«Dove li hai visti?»

«Armand? L’ho incontrato per puro caso. A Parigi. Stava camminando per strada. È stato il primo che ho visto.»

«Non ha cercato di farti del male?»

«Perché avrebbe dovuto? Piuttosto, dimmi: perché mi stavi chiamando? Chi ti sta pedinando? Di che si tratta?»

«E sei stato da Maharet.»

Lui si appoggiò allo schienale della sedia. «Lestat, ho esami­nato manoscritti che nessun essere umano vede da secoli; ho po­sato le mani su tavolette d’argilla che...»

«David, lo studioso», lo interruppi. «Educato a essere il per­fetto vampiro dal Talamasca, anche se i suoi membri non hanno mai sospettato che un giorno lo saresti diventato davvero.»

«Oh, ma cerca di capire. Maharet mi ha portato là dove con­serva i suoi tesori. Cerca d’immaginare cosa significhi stringere tra le mani una tavoletta coperta di simboli che precedono il cu­neiforme. E la stessa Maharet: avrei potuto vivere per chissà quanti secoli senza nemmeno intravederla.»

Maharet era davvero l’unica che lui avesse mai avuto motivo di temere. Credo che lo sapessimo entrambi. I miei ricordi di Maharet non racchiudevano alcuna minaccia, solo il mistero di una sopravvissuta di Millennia, un essere vivente così antico che ogni suo gesto sembrava marmo liquefatto e la sua voce sommes­sa era divenuta il distillato di tutta l’eloquenza umana.

«Se lei ti ha dato la sua benedizione, qualunque altra cosa ha ben poca importanza», risposi con un debole sospiro. Mi chiesi se avrei mai posato di nuovo gli occhi su di lei. Non avevo spera­to né desiderato di farlo.

«Ho visto anche la mia cara Jesse», aggiunse David.

«Ah, avrei dovuto immaginarlo.»

«Sono andato a cercarla. L’ho chiamata spostandomi da un luogo all’altro, proprio come tu hai emesso il grido senza parole per convocarmi.»

Jesse. Pallida, ossatura minuta, capelli rossi. Nata nel XX se­colo. Molto colta e dotata di notevoli poteri psichici, quand’era ancora un essere umano. David l’aveva conosciuta come umana; ora la conosceva come immortale. Jesse era stata una sua allieva nell’ordine del Talamasca. Adesso lui le era alla pari quanto a bellezza e potere vampireschi, o quasi. Non lo sapevo con esat­tezza.

Jesse era stata portata da Maharet della Prima Stirpe, colei che era nata come essere umano prima che gli uomini comincias­sero a scrivere la loro storia o addirittura intuissero di averne una. Adesso l’Anziana, se davvero ce n’era una, la Regina dei Dannati era Maharet, mentre di sua sorella muta, Mekare, ormai nessuno parlava più.

Non avevo mai visto un novizio creato da un vampiro anziano come Maharet. Quando l’avevo vista l’ultima volta, Jesse mi era sembrata l’involucro trasparente di un’immensa forza. Ormai, doveva avere storie proprie da raccontare, proprie cronache e avventure personali.

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