Diede un’occhiata alla macchinetta del caffè. La caffettiera di vetro era piena. Pen prese le tazze dalla credenza. Le sue mani tremavano visibilmente mentre le riempiva. Allungò una tazza a Bodie.
«Credi ancora che quel tale possa venire?» domandò lui.
Pen si strinse nelle spalle. «Che cosa glielo impedisce?»
«Adesso ci siamo noi. Immagino che la visione di Mel sia conclusa.»
«Già», convenne Pen. «Era proprio a segno, stavolta.»
«Staremo in guardia», la rassicurò Melanie. «Puoi dormire tutto il giorno, se vuoi.»
«Forse sì.»
Quando la colazione fu pronta, Melanie e il suo ragazzo insisterono perché Pen andasse a dormire. Lei andò in bagno e bevve un bicchiere di Alka Seltzer. Quando uscì, Bodie stava in ginocchio sulla porta della camera da letto per staccare il cordone.
«Non preoccuparti di niente», disse Bodie.
Pen lo ringraziò. Poi si girò verso Melanie e l’abbracciò stretta. «È fantastico rivederti, bambina», sussurrò arruffando i capelli della sorella.
Sola nella sua camera, con la porta chiusa, Pen ripiegò le coperte del letto. Le lenzuola avevano un aspetto invitante. Non c’era più bisogno di proteggersi con i vestiti. Se li levò. Ma c’era Bodie in casa, così indossò un pigiama prima di mettersi a letto.
Coprì gli occhi con il cuscino perché la luce del mattino la infastidiva. Aveva il collo rigido, ma finalmente non le faceva più male la testa. La colazione e l’aspirina le avevano fatto bene. Tirò un respiro profondo. Tutto sommato si sentiva abbastanza bene.
Finito l’incubo, almeno per il momento. Forse per sempre.
Aveva reagito eccessivamente, questo era certo.
Per poco non si fracassava il cranio. E si rompeva il collo. E per poco non accoltellava Bodie.
L’ho accoltellato.
Lui l’ha presa bene.
Simpatico ragazzo.
Fortunata Mel.
E fortunata io, che li ho qui tutti e due.
Ma quanto tempo resteranno? Non gliel’aveva chiesto. Fra poco sarebbero tornati a scuola, magari domani.
Non preoccuparti di questo, ora.
Non c’è niente da preoccuparsi, adesso.
Si girò sul fianco, il pigiama scivolò sulla pelle, le coperte attorno al collo. Si addormentò.
«Credi che ci stiamo tutti e due sul divano?» domandò Bodie.
«E chi pensa a dormire?» replicò Melanie.
«Io. Sono distrutto. Non sono mai sceso dall’auto per l’ultimo tratto del viaggio, ricordi?»
«Non so tu, ma io voglio sentire il nastro.»
«Non credo che Pen approverebbe.»
«Non c’è bisogno che lo sappia.»
Bodie era seduto sul divano. Batté il cuscino accanto a sé. «Ti dirò io le parolacce.»
«Non sei divertente. Qualsiasi cosa quell’individuo abbia detto, l’ha spaventata a morte. Non ho mai visto mia sorella in queste condizioni.»
«Credevo che fosse un po’ maniacale.»
«Vieni.»
Bodie si alzò. Il cuore gli batteva forte; aspettò che quella sensazione di capogiro passasse.
«Stai bene?»
«Preferirei restarne fuori.»
«Allora restane fuori», ribatté Melanie, piuttosto seccata. «Ascolterò il nastro da sola.»
«Va bene, vengo.»
Lui la seguì. Melanie gironzolò nell’appartamento alla ricerca della segreteria telefonica. Chiaro che Pen non l’aveva, quando abitavano insieme. Finalmente si diresse verso lo studio vicino alla camera da letto di Pen. La segreteria telefonica era sulla scrivania. Vuota.
Melanie guardò accigliata l’apparecchio. «La cassetta deve essere qui, da qualche parte», sussurrò.
Cercò nel cestino della carta straccia.
Bodie trovò la cassetta sul tappeto in fondo alla stanza. La rigirò nella mano. Non sembrava danneggiata.
«Chiudi la porta», bisbigliò Melanie.
Lui chiuse la porta senza far rumore e tornò alla scrivania. Melanie inserì la cassetta, la fermò con un colpo secco. Poi riavvolse il nastro e ascoltò.
«Ciao, bellezza. Mi dispiace che non sei in casa…»
Melanie abbassò il volume.
Era una voce sgradevole. Sarebbe stata sgradevole anche se avesse letto un menu da McDonald’s, pensò Bodie. Ma le cose che diceva… Immaginò Pen che ascoltava, immaginò che cosa doveva aver provato. Sola in casa. Esposta alla mente malata di un estraneo, violata e impaurita.
Il nastro trasmise solo un breve messaggio. Ma il bastardo ebbe il tempo di dirle che cosa avrebbe voluto fare prima che un bip lo interrompesse a metà frase.
«Non capisco perché sia tanto sconvolta», mormorò Melanie. «Sono solo oscenità standard…»
«Ti piacerebbe se ti cacciassi il mio…»
«È semplicemente disgustoso», sussurrò Bodie sulla voce che continuava a parlare.
«Non è poi così terribile», decretò Melanie. «Pen dev’essere pazza a lasciarsi sconvolgere a questo modo. Anch’io ho ricevuto telefonate del genere, ma non mi sono mai spaventata così.»
Il tempo era scaduto, ma l’uomo aveva chiamato di nuovo. «Succhia, tesoro. Apriti. Voglio godere in bocca, inondarti fino in gola. Andiamo, apriti. Su, puttana. Sì, sì. Prendilo in bocca e… Bip .»
Tre chiamate, una non ascoltata.
Bodie tirò un profondo respiro.
Cominciò il quarto messaggio.
«Pen, sono Joyce. Tuo padre ha avuto un incidente terribile. Sono al Pronto Soccorso del Beverlywood Medical Center in Pico Boulevard. Vieni più presto che puoi.»
Pen stentò a svegliarsi. Qualcuno bussava alla porta. Perché la porta era chiusa e chi… Poi si ricordò. Era arrivata Melanie. E il suo ragazzo. Quel poveretto che ho accoltellato.
E se l’avessi ucciso?
Pen fu scossa da un brivido.
La porta si aprì e nella fessura apparve il viso di Melanie. Appariva turbata e confusa. «Ti conviene vestirti.»
«Che cosa è successo?»
«Abbiamo ascoltato il nastro.»
Pen sentì un nodo alla gola. «Maledizione, grazie infinite! Tu e Bodie insieme?»
«C’era anche la voce di Joyce.»
«Eh?»
«Sul nastro. Papà è rimasto ferito, l’hanno portato al Pronto Soccorso. Joyce non ha detto come stava, solo che aveva avuto un incidente terribile.»
«Oh Dio, no!»
«Sarà meglio andare all’ospedale.»
«Sì, sì. Sarò pronta fra un minuto.»
La porta si chiuse.
Pen balzò giù dal letto e si levò il pigiama.
Un incidente. Papà.
Con la mente confusa, prese un paio di mutandine dal cassetto e le indossò. Stava ancora tirandole su mentre si precipitava all’armadio. Staccò un paio di pantaloni bianchi dalla stampella, li infilò e afferrò la camicetta più vicina. Era color borgogna, troppo elegante per i pantaloni, ma non se ne curò. Se la mise e calzò i sandali mentre se l’abbottonava. Lasciò fuori la camicia dai pantaloni. Fece scorrere la lampo mentre correva alla porta.
«Chiamarla…» stava dicendo Bodie quando entrò in soggiorno. «Potrebbe dirti come sta.»
«Penso di sì.»
«Chiamare Joyce?» chiese Pen. «Sicuro.» Andò in cucina. Il telefono staccato dalla presa era ancora in cima al frigorifero. Lei lo tirò giù e lo attaccò alla parete. Con mano tremante compose il numero. Melanie si mise accanto a lei.
Segnale di occupato.
Pen riappese. «È occupato.»
Melanie chiuse gli occhi e si lasciò sfuggire un profondo sospiro, come se il fatto di rimandare le notizie rappresentasse una benedizione.
Pen attirò dolcemente la sorella verso di sé. Melanie l’abbracciò e posò la fronte contro il collo di Pen. Il suo respiro alitava caldo attraverso la camicetta. «Non preoccuparti, va bene?»
«Ho paura.»
«Anch’io.»
«E se è morto?»
«Non è morto, altrimenti Joyce l’avrebbe detto.» Ma io avevo i telefoni staccati, pensò Pen. Joyce potrebbe aver richiamato. «Coraggio, Mel, andiamo», e trascinò via la sorella. «Sai dove l’hanno portato?»
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