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Donald Wandrei: I giganti di pietra

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Donald Wandrei I giganti di pietra

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Quale segreto legame stringe in una sola terrificante identità il misterioso tempio preistorico di Stonehenge, in Inghilterra, al punto piú solitario dei globo, l’isola di Pasqua, sperduta con le sue enigmatiche statue antichissime nell’immensa distesa equorea del Pacifico meridionale? Perché una catena di tremende sciagure è connessa alla indescrivibile statuetta verdastra, vibrante, antica di milioni di anni, dalle origini cosmiche, trovata da un archeologo in un cimitero abbandonato? E che cosa si cela nell’intrico dell’immensa rete di gallerie sotterranee, che sembrano collegare tra loro le misteriose sedi di entità e vicende che si direbbero incomprensibili all’uomo, antitetiche al suo destino e alla sua natura? Con Giganti di Pietra, Donald Wandrei segna una tappa fulgida nella letteratura dell’orrore e del mistero cosmico, aprendo nuove prospettive alla letteratura d’anticipazione e di fantasia, e rinnovando la tradizionale materia del romanzo “gotico” con le risorse piú recenti della narrativa fantascientifica. I Giganti di Pietra è un romanzo che non si dimentica facilmente!

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La camicia stile Direttorio era sulla spalliera di una poltrona, Joane si era coricata, e la coperta lasciava nude le belle spalle. Gli occhi erano chiusi e i lineamenti rilassati, ma un rosso acceso le colorava le guance.Icapelli, allargati sul guanciale, le facevano corona. Un braccio riposava lungo il corpo, l’altro era ripiegato sul petto, e le dita stringevano la statuetta verde.

Dan si chiese come lei potesse sopportarne il peso enorme, pure, la pesante immagine si sollevava e si abbassava secondo il ritmo della respirazione di Joane.

Un mormorio indistinto usciva dalle labbra quasi immobili della ragazza. Dan tese l’orecchio ma non riuscì a capire niente dell’inintelligibile susseguirsi di sillabe gutturali: N’ga n’ga rhthl’g clretl ìtst s g’lgggar…

L’americano ebbe l’impressione che una radiazione intensa emanasse dalla statuetta che vibrava e sembrava seguire, per le sue incessanti trasformazioni, uno schema ben stabilito, suggerendo l’idea di un’immensa espansione seguita da una contrazione inverosimile. Chissà se Dan sentì, provenienti dall’infinito, le parole di risposta a quel canto bizzarro? Chissà se ascoltò le sillabe impersonali come suoni portati dal mare a riecheggiare nelle smisurate caverne dello spazio?

L’americano si avvicinò lentamente al letto. Nella ridda dei suoi pensieri, nel richiamo dell’incubo, pur terrorizzato all’idea di toccare la bambola diabolica, avanzò con le mani tese.

Joane socchiuse gli occhi filtrando tra le ciglia uno sguardo allucinato che lo stregò.

«Tom» mormorò la donna.

Dan tentò di impadronirsi dell’idolo, ma le nervose dita femminili gli afferrarono i polsi con forza sovrumana. La statuetta scivolò dal seno di Joane e Dan cercò di afferrarla con la mano libera, ma la donna lo cinse al collo con l’altro braccio, attirandolo a sé.

Un rumore proveniente dal mondo esterno trasse Dan dal suo delirio, e lui si rizzò sul gomito guardandosi attorno.

«Il rasoio elettrico!» esclamò completamente frastornato.

Attraverso la porta aperta vide, sul piano di cristallo, il rasoio elettrico vibrare emettendo il suo caratteristico ronzio. Ma la spina non era innestata nella presa.

Riportò gli occhi su Joane: serrava contro un fianco la maledetta figurina le cui vibrazioni erano adesso così intense che non era più possibile distinguerne la forma. Tutto, lì intorno, sembrava avvolto dalle magiche onde verdi.

La donna levò improvvisamente la mano con un gesto convulso, e le unghie rosse gli graffiarono il petto. Il dolore lo immobilizzò, i suoi occhi guardarono affascinati le gocce di sangue che cadevano sul seno di Joane.

«Dan» gemette lei. «Oh, Dan!»

Il mercantile Rawlins , che faceva rotta verso Plymouth, incrociò la WesternQueen a mezzanotte circa. L’ufficiale in seconda, che appoggiato al parapetto di tribordo masticava il suo sigaro concedendosi unapausa nelgirodi ispezione, fu il solo testimonio della tragedia. Il piroscafo si allontanava verso ovest. A un tratto fu avvolto da un misterioso bagliore verde. Per un attimo la gran luce sembrò sospesa sopra la nave come una fantastica nube, poi seguirono le tenebre più fitte. Un attimo più tardi, non ci fu che il ribollire furioso del mare, verso ovest, nel punto dove la WesternQueen si era inabissata.

5

Le circostanze che avevano provocato il naufragio della WesternQueen rimasero uno di quei misteri non risolvibili come quello che circondò il destino del Cyclope.

L’accenno che i giornali facevano alla nube verde attirò l’attenzione di Graham che indovinò la presenza a bordo della statuetta perduta. Pensò che nella confusione creatasi dopo l’incidente ferroviario qualcuno doveva erroneamente aver scambiato la sua valigia con la propria, portandola poi con sé a bordo della nave. E se l’idolo verde si trovava sul piroscafo, era colato a picco con esso. A meno che…

Ricordando le singolari qualità della statuetta, Graham si chiese se era possibile che potesse veramente andare persa. Dove si trovava in quel momento? In fondo all’Atlantico? Come era già tornata una volta al. Cimitero del Diavolo, avrebbe potuto tornarvi ancora!

Tra un paio di giorni, Alton gli avrebbe consegnato la relazione riguardante i curiosi simboli, e anche una traduzione parziale avrebbe avuto un valore inestimabile.

Graham continuò a sfogliare le vecchie annotazioni, perricavarne più notizie possibili. Possedeva rapporti particolareggiati sugli scavi di Stonehenge,Angkor,l’Isola di Pasqua e il Grande Quadrante Dorato di Nyamba. Avrebbe anche dovuto consultare alcuni grossi volumi sui riti, le cerimonie religiose di certe tribù, le superstizioni, i tabù e la magia nera, ma gli sembrò preferibile riprendere le sue ricerche dal punto in cui le aveva interrotte nel tentativo di scoprire che cosa si celava sotto la pietra verde di Isling.

Passò tutto il pomeriggio nei preparativi. Sapeva esattamente quali erano gli attrezzi dei quali avrebbe avuto bisogno, ma ci voleva tempo per radunarli tutti.

Gli occorreva anche l’assistenza di almeno due uomini, e Graham esitò a lungo prima di fare la sua scelta. Infine si decise per Bjort Liska, giovane archeologo, dipendente del Museo Ludbury, con il quale aveva già effettuato alcune ricerche in Inghilterra, e per il figlio del portiere, Thomas, uomo robusto e fidato anche se non molto intelligente.

Itre uomini partirono per Isling il mattino seguente, e a mezzogiorno arrivarono al Cimitero del Diavolo. Anche quel giorno l’aria era umida e soffocante, e il cielo appariva offuscato da un velo di vapore dovuto al gran caldo.

Graham e i suoi compagni fecero un rapido spuntino a base di panini imbottiti e di caffè nero di cui si erano abbondantemente provvisti riempiendone alcuni thermos.

«Vi giuro che è la prima volta che faccio colazione in un cimitero» disse Thomas, guardando le lapidi che lo circondavano.

«Non c’è posto più tranquillo» commentò Liska, calmo, con l’evidente intenzione di fargli coraggio. «Nessuno vi disturba, e potete restarci finché vi pare. Non dimenticherò mai quando, nella sala anatomica dell’Università, ho appoggiato distrattamente il mio panino imbottito di prosciutto su…»

«Non so come avete potuto mangiare in un luogo simile» si affrettò a interromperlo Thomas, scuotendo la testa disgustato. «A me passerebbe di colpo l’appetito.»

«Oh, è tutta questione di abitudine. Lo stomaco umano non si cura gran che di quello che succede intorno.»

«Non il mio, però» borbottò Thomas.

«Io comincio a scavare» disse Graham alzandosi. «Quando avrete finito sarà bene che scarichiate dalla macchina il materiale. Ma non c’è bisogno che vi affrettiate, io ne avrò almeno per un’ora.»

Graham cominciò a rimuovere la terra. Lavorava senza fretta, metodicamente, arrestandosi spesso per asciugarsi la fronte. Il caldo era davvero snervante. Di tanto in tanto gli arrivavano le voci di Liska e di Thomas intenti a scaricare l’equipaggiamento dal camioncino preso a noleggio.

Quando finalmente la pala urtò la lastra verde, Graham uscì dalla buca. L’argano era già stato sistemato in posizione giusta. Lo scienziato si assicurò che fosse piantato solidamente nel terreno, verificò il meccanismo con attenzione, poi si assicurò ai fianchi la cintura alla quale era attaccata un’estremità del cavo.

«Tenete sempre la cima ben tesa» raccomandò a Thomas, «o mi farete cadere in questa specie di trappola che ora cercherò di aprire. C’è una chiusura segreta, e se si spalanca improvvisamente, mi troverò sospeso nel vuoto, e non ci tengo affatto a precipitare per chissà quanti metri.»

«Né a essere tagliato in due dal cavo» disse Thomas ridendo.

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