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Donald Wandrei: I giganti di pietra

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Donald Wandrei I giganti di pietra

I giganti di pietra: краткое содержание, описание и аннотация

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Quale segreto legame stringe in una sola terrificante identità il misterioso tempio preistorico di Stonehenge, in Inghilterra, al punto piú solitario dei globo, l’isola di Pasqua, sperduta con le sue enigmatiche statue antichissime nell’immensa distesa equorea del Pacifico meridionale? Perché una catena di tremende sciagure è connessa alla indescrivibile statuetta verdastra, vibrante, antica di milioni di anni, dalle origini cosmiche, trovata da un archeologo in un cimitero abbandonato? E che cosa si cela nell’intrico dell’immensa rete di gallerie sotterranee, che sembrano collegare tra loro le misteriose sedi di entità e vicende che si direbbero incomprensibili all’uomo, antitetiche al suo destino e alla sua natura? Con Giganti di Pietra, Donald Wandrei segna una tappa fulgida nella letteratura dell’orrore e del mistero cosmico, aprendo nuove prospettive alla letteratura d’anticipazione e di fantasia, e rinnovando la tradizionale materia del romanzo “gotico” con le risorse piú recenti della narrativa fantascientifica. I Giganti di Pietra è un romanzo che non si dimentica facilmente!

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Il cameriere servì loro il whisky, e Dan levò il suo bicchiere.

«Bevo al bianco e nero» esclamò. «A proposito, è così dappertutto?»

«Spetta a voi, mio caro, trovare la risposta» ribatté Joane toccando leggermente con il suo bicchiere quello del compagno.

Dan vuotò il bicchiere in un solo sorso.Igesti di Joane sembravano in sincronia coi suoi, infatti la donna posò il bicchiere vuoto nello stesso istante.

«Ottimamente» commentò Dan, e ordinò altri due whisky.

«Non so fino a che punto potrò tenervi testa» disse lei. «È la prima volta che bevo alcolici da un anno a questa parte.»

«Non è mai troppo presto per recuperare il tempo perduto.»

«Sì, voglio recuperarlo infatti. Voglio avere tutto, e subito. E con gli interessi, anche.»

Questa dichiarazione diede a Farrell una curiosa sensazione. Joane aveva messo nelle sue parole una avidità e una passione che gli suggerivano di stare in guardia, ma nello stesso tempo lo seducevano.

«Dopo tutto, questo è il vostro primo giorno di libertà» disse.

«È vero, e la cosa mi esalta.»

«Spero che la fine sarà così emozionante come il principio. Beviamo a una serata lunga e gaia.»

«E io spero che la nostra amicizia duri più a lungo, che sia per sempre.»

Dan guardò le mani che reggevano il bicchiere. Aveva dita lunghe, affusolate e nervose, e non portava fede. Mani interessanti, come tutto in lei.

«Dire sempre , è troppo» ribatté. «Diciamo fino a New York.»

«Vi fermate a New York?»

«Giusto il tempo di prendere l’aereo per Minneapolis.»

«Non mi sono mai spinta così lontano. È là che abitate?»

«A Minneapolis c’è la sede della mia ditta. È una società d’esportazione di cereali.»

«È per la vostra ditta che siete venuto in Inghilterra?»

«In parte sì. Ma avevo anche altri motivi, in particolare una visita al Museo Ludbury per consultare alcuni documenti sui metodi usati nell’Egitto dei Faraoni per macinare il grano e cuocere il pane. Abbiamo intenzione di fare una campagna pubblicitaria imperniata sulla storia del grano.»

«Il Museo di Ludbury? Ci sono andata anch’io un paio di volte con Tom. Ne avete conosciuto il conservatore? Si chiama… Vediamo se mi ricordo… Graham, mi pare.»

«Sì, lo conosco. È lui che mi ha aiutato nelle mie ricerche.»

«È un brav’uomo, se ben ricordo. Ma le donne non lo interessano molto. A proposito, non mi avete detto se siete sposato.»

«In questo momento non lo sono.»

«Lo siete stato?»

Dan si strinse nelle spalle con noncuranza dicendo: «Lei se ne è andata con un altro. Ho divorziato.»

«E non l’avete più rivista?»

«Una sola volta» rispose Dan, brusco. «Mi ha scritto, ma non mi è piaciuta la sua lettera e non le ho mai risposto. Però l’ho rivista.»

«L’avete trovata diversa?»

«Parecchio.»

«Tornereste con lei se ve lo chiedesse?»

«Gran Dio, no!» rispose Farrell, e sentì un brivido serpeggiargli lungo la schiena. Vuotò d’un fiato il suo bicchiere, e aggiunse: «Tutto questo è morto e sepolto, dimentichiamo una buona volta il passato e occupiamoci del presente.»

«Questo whisky comincia a fare effetto. Non so che cosa mi farà fare, e non me ne preoccupo.» Una piccola pausa, poi lei continuò: «Dan!»

«Sì.»

«Niente… soltanto: Dan.»

Joane distolse un attimo lo sguardo per finire il suo whisky. Dan la guardò. Non si sentiva né felice né infelice, semplicemente si lasciava andare a godere della presenza di Joane. E Joane esercitava su di lui una forza strana e sconosciuta.

«Andiamo in sala da pranzo prima che sia troppo tardi» propose. «Ho un discreto appetito. Avete intenzione di cambiarvi per la cena?»

«Avrei voluto farlo, in vostro onore, ma mi sento un po’ stordita.»

Mentre stavano uscendo dal bar, Dan si fermò al banco dicendo: «Non vi scandalizzate se ne bevo un altro?»

«In questo caso vi faccio compagnia.»

«Siete sicura che non sia troppo per voi, dopo un intero anno di astinenza?»

«Non lo credo affatto.»

Farrell ordinò due whisky lisci e si fece servire la soda a parte.

«Non so esattamente a cosa brinderò, questa volta, mia cara, ma non ho gusti particolari, purché sia per il meglio.»

«Per il meglio e per il peggio spero!» disse lei con voce sorda.

«Non riesco a capirvi» mormorò guardandola perplesso.

«Capirete…»

Un sorriso crudele affiorò sulle labbra carnose di Joane. Anzi, più che crudele, enigmatico, provocante e insieme diabolico e soddisfatto. Lui contemplò a lungo la bella bocca, poi bevve ingordamente. La ragazza si inumidì le labbra pregustando il calore piacevole dell’alcool e bevve a sua volta.

«Questo scotch è divino, caro» disse. «Io adoro bere. Devo proprio ringraziarvi per avermi procurato questo piacere.»

In sala da pranzo Joane rimase silenziosa fino all’ultima portata. A più riprese Dan sentì su di sé il peso di quegli occhi inverosimili: si sentiva studiato da uno sguardo avido e nello stesso tempo assente, lontano. Dopo una cena sontuosa, Farrell cominciò ad avvertire l’effetto dell’alcool.

Avevano appena gustato alcune meringhe glassate, con una tazza di caffè, quando Joane disse: «È meglio che vada a sdraiarmi un momento, non mi sento molto salda sulle gambe.»

Lui l’accompagnò sino alla porta della cabina, guardandola camminare con passo agile e armonioso quasi fluttuasse lungo il corridoio. La cena ottima sembrava aver addolcito il suo umore: sorrideva amabilmente.

«Siete sicura di sentirvi bene?» le chiese Dan.

«Sicurissima, mio caro» rispose ridendo. Poi: «Vi piace ballare?»

«Qualche volta. Se volete possiamo ballare questa sera. Credo che comincino alle nove.»

«Magnifico, Dan! Venite a prendermi alle nove e mezzo.»

«Con piacere, mia cara.»

Si lasciarono, e anche l’americano si ritirò nella sua cabina. Si sentiva leggermente stordito dal whisky bevuto, dal sonno pomeridiano al quale non era abituato e dal pasto abbondante, e desiderava stendersi per un paio d’ore. Stava già per sdraiarsi quando il suo sguardo cadde sulla valigia, e Farrell decise di esaminarne il contenuto per vedere se aveva avuto la mano felice. Posò la borsa sopra il letto e la aprì. Il suo contenuto lo sorprese alquanto: un piccone, una pala, un martello…

Le sue mani tremavano visibilmente quando afferrò quella roba e la lanciò dall’oblò. «Accidenti, che disdetta» brontolò fra i denti. «Se avessi pensato che questi maledetti attrezzi sarebbero venuti a ossessionarmi…»

Dalla sua valigia tolse una bottiglia e bevve una lunga sorsata di liquore. Il liquido fortissimo gli bruciò la gola. Grosse gocce di sudore gli imperlavano la fronte. Buttò giù un bicchiere d’acqua per diluire l’alcool, e tornò verso la strana valigia con i nervi più a posto. Sul fondo erano rimaste solo poche cose senza alcuna importanza e un oggetto avvolto in un pezzo di tela, assai pesante. Dan tolse ogni cosa, e con qualche sforzo riuscì a far passare anche la valigia dall’oblò. Ancora quell’oggetto, e si sarebbe liberato di quel carico sinistro. Sciolse la tela e si ritrovò tra le mani una piccola statuetta verde.

Evidentemente il whisky giocava brutti scherzi alla sua vista, perché lui non riusciva a distinguere bene i contorni della figurina né a capire cosa rappresentasse. Gli pareva che cambiasse continuamente forma, e questa sensazione lo metteva a disagio. L’oggetto che teneva fra le mani emanava una strana forza: pareva che provocasse una specie di fascino ipnotico assorbendo tutta la sua attenzione, e nello stesso tempo lo impressionava per le sue misteriose qualità.

Un brivido scosse l’americano che strappandosi al suo incantamento tornò ad avvolgere la statuetta nel pezzo di tela e si avvicinò ancora una volta all’oblò. Ma, cosa strana, non riuscì a sollevare le braccia abbastanza per arrivare all’apertura. Il sudore adesso gli colava copioso dalla fronte inumidendo le guance e il mento. Decisamente il whisky l’aveva privato di tutta la sua forza, o forse era la statuetta che pesava più di quanto non gli fosse sembrato prima.

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