I loro sguardi tornarono a incontrarsi, ironia e una sensazione di perdita rigorosamente controllata.
— E allora nu ? — Saul si stiracchiò. — Volevi dirmi qualcosa?
Virginia annuì, e la simulazione tirò un profondo respiro. — Il Vecchio Uomo Duro è morto.
Saul barcollò all'indietro. — Suleiman? Ould-Harrad?
— Cosa ti aspettavi? Non era più tornato nei colombari dopo le guerre dell'afelio… Ha fatto la guardia per tutto questo tempo, per assicurarsi che mantenessimo il nostro accordo, nessun incontro con nessun pianeta, salvo Giove verso l'esterno. Era molto vecchio, Saul. La sua gente lo piange.
Saul abbassò lo sguardo e scosse la testa, chiedendosi cosa sarebbe stata adesso Halley, senza il mistico nelle gallerie più basse.
Adesso… chi avrebbe avuto il coraggio di ricordare a Saul Lintz che lui non assomigliava, dopotutto, neppure lontanamente al vero Creatore?
— Ti ha lasciato un testamento — proseguì Virginia. — Sei atteso nella Profonda Gehenna.
— Non sono mai stato là sotto. — Saul avvertì una strana sensazione. Era forse paura? Si era dimenticato di quell'emozione, ma poteva essere qualcosa di assai vicino a ciò che provava.
— Neppure io — bisbigliò Virginia. Nessuno dei suoi mech si era mai avventurato laggiù, nelle distese più profonde del nucleo della cometa, dove le creature più strane si rifugiavano nel buio totale. Virginia si riscosse.
— Una guida ti aspetterà alla base del Pozzo Uno, alle cinque e trenta di domani mattina. Io…
Sollevò lo sguardo. I suoi occhi si sfocarono per un momento. — Adesso devo andare. Carl e Jeff hanno bisogno d'una simulazione, molto estesa. Ci vorrà una grande estensione di memoria. — Si lisciò il kimono sopra le gambe abbronzate. — È tempo di spogliarmi del corpo e di ridurmi ai nudi elettroni.
Saul si alzò insieme a lei. Si guardarono. La sua mano si sollevò.
— Non farlo — bisbigliò lei, la sua voce era divenuta tesa e delicata. — Saul…
Le dita di Saul descrissero una carezza, ma si arrestarono un attimo prima di toccare la liscia morbidezza che pareva la sua guancia. Per un istante le punte si accesero di un vampa rosata, e Saul sentì, quasi…
— Torna presto — disse Virginia, con un sospiro. — Oppure chiamami e parlami.
Poi, con un frusciare di seta, se ne andò.
I suoi nuovi gibboni, Simon e Sulamita, si tenevano aggrappati a lui mentre seguiva la guida, un uomo che un tempo si era chiamato Barkley, e aveva diretto le serre per le fattorie orbitali della Terra, prima di venir esiliato in una missione a senso unico nello spazio profondo. Adesso Barkley era la propria serra… il proprio habitat. Indossava un ecosistema di fibre verdi e arancione, e si nutriva di questo e di quello… un po' di luce qui, un pezzetto di sostanza carbonacea nativa lì…
Certi tipi di simbiosi spaventano perfino me pensò Saul, mentre navigavano attraverso un labirinto di passaggi stretti e contorti che li conduceva sempre più in profondità dentro il ghiaccio. Per quanto in superficie il campo gravitazionale di Halley fosse debole, Saul sentì sfumare a poco a poco la sua attrazione fino a quando essa non scomparve del tutto dalla sua sensibilità. Quello era il nucleo, il centro. Qua sotto i primi granelli si erano formati, quattro miliardi e mezzo di anni prima, dando inizio ad un processo di accrescimento a mano a mano che un numero sempre maggiore di frammenti si era raccolto, fondendosi e crescendo fino a formare una palla di materia primordiale, la materia dello spazio profondo.
Si aprirono la strada spingendosi attraverso le fronde spesse e oleose d'una pianta a foglie-serratura… una vegetazione che si comportava in una maniera molto simile al portello d'una camera d'equilibrio, giacché avrebbe reagito ad una perdita di pressione appiccicando una foglia sopra l'altra fino a quando l'aria non fosse stata ermeticamente chiusa, senza alcuna fessura, su un lato della barriera. Era una tecnica efficace, ma Saul trovava la cosa pur sempre inquietante, mentre strisciavano attraverso quella massa vischiosa. I gibboni rabbrividivano, ma sopportavano senza lamentarsi.
Qui l'energia della pila a fusione era razionata, impiegata in maniera limitata. Alla pallida luce della sua luminoampolla, i corridoi luccicavano come lui li ricordava dai primissimi giorni, con la buia, maculata bellezza della roccia nativa del carbonaceo e della neve clatrata. Il naso di Saul si arricciò all'odore di mandorle amare del cianuro e degli ossidi nitrosi… reso piacevole dai simbionati geneticamente progettati presenti nel suo sangue, ma più intenso di quanto l'avesse mai ricordato.
Si fermò per raccogliere dei campioni in diversi punti, qua e là lungo il percorso. Ogni volta, la sua guida si fermò pazientemente ad aspettarlo, imperturbata.
Le tracce si stanno facendo sempre più abbondanti, man mano scendiamo in profondità… come ormai sospettavo da anni.
Non aveva molto senso, naturalmente. Perché mai le forme di protovita dovevano pervadere il materiale primitivo con densità sempre maggiore là in basso, dove le periodiche ondate di calore dovute ai successivi passaggi accanto al Sole non penetravano mai? Era un mistero, ma era pur sempre un fatto inoppugnabile. Era vero che le forme più complesse si erano sviluppate più in alto, ma la sostanza di base era più densa vicino al nucleo.
Sospirò. Domande, sempre domande… Com'era possibile che la vita fosse così gentile, e così crudele insieme, da offrire un gran numero di meraviglie da risolvere, concedendo così poco tempo per farlo, così pochi indizi?
Il loro viaggio riprese, passando accanto a strette fenditure in cui si poteva occasionalmente vedere una figura rivestita di verde intenta ad accudire a un giardino di funghi giganti, oppure seduta davanti ad una piccola consolle baluginante, intenta a lavorare per conto della colonia, ma nel luogo prescelto da lui o da lei.
Saul si sentiva intrappolato. Il ghiaccio era pesante, massiccio, tutt'intorno a lui. Era opprimente, umido, buio. Siamo vicini, molto vicini al centro percepì.
— Siamo arrivati. — Barkley fluttuò su un lato. Saul scrutò dubbioso una stretta galleria, la cui sezione ampia quanto un uomo. Si schiarì la gola.
— Simon, Sulamita, restate qui.
I gibboni in miniatura sbatterono le palpebre, infelici. Saul fu costretto a staccarseli di dosso, appendendoli sulla parete. Lo guardarono con occhi spalancati mentre si chinava e s'infilava strisciando nel passaggio muffito.
La sensazione di claustrofobia che provava crebbe a mano a mano che avanzava. Le pareti e il pavimento erano stati sfregati e lisciati, ridotti a lastre ghiacciate dagli innumerevoli pellegrinaggi. Per qualche motivo quella galleria pareva ancora più fredda perfino rispetto ai corridoi là fuori. Era lunga soltanto pochi metri, ma quando finalmente una luminosità diffusa comparve davanti a lui, Saul provava un'acuta tensione.
Quando raggiunse lo sbocco, si fermò lì, semplicemente a guardare, per qualche istante.
Quattro minuscoli luminofosfori irradiavano sopra gli angoli di una bara scolpita nella pietra. Nella bara giaceva una figura in forma d'uomo. Suleiman Ould-Harrad.
Saul entrò fluttuando dentro la cavità. Non c'era nessuna forza di gravità ad attirarlo. Era del tutto senza peso.
Afferrò una delle corna di quella bara simile a un altare. Le halleyforme simbiotiche si erano staccate, lasciando Ould-Harrad con l'aspetto di un uomo vecchio, molto vecchio, che aveva raggiunto l'eterno riposo dopo più anni di quanti ne avesse scelti. Gli occhi chiusi nel suo sonno finale davano tuttavia l'impressione d'una severa dedizione al suo popolo e alla divinità che l'aveva tanto deluso dopo averlo creato.
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